NEWSLETTER n.11, marzo 2021
«Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. 
La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi
perché è proprio la crisi a portare il progresso. 
La creatività nasce dall'ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi violenta il proprio talento e rispetta più i problemi che le soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. 
Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza. Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo. Invece di questo, lavoriamo duro! L’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla».


Albert Einstein, 1879-1955
PRIMO PIANO

Oltre la pandemia: quale mondo
Grazie COVID-19

Tempo di lettura 10 minuti

A un anno dall’inizio della pandemia, riportiamo l’estratto di un ampio contributo del Prof. Vitale che cerca di fare un bilancio guardando in alto, ai risvolti positivi che è sempre possibile scovare, sempre, anche negli eventi peggiori. Il testo integrale è scaricabile al link in calce a questa sintesi.

Ricominciare a pensare

Nel corso degli ultimi vent’anni, anni di crisi ininterrotte, è riemerso più volte il pensiero di Einstein sul valore positivo delle crisi che abbiamo come introduzione della nostra Newsletter. Per questo, dopo aver pianto i suoi gravi lutti, le sue profonde amarezze e la paura, la crisi da Covid-19 non mi ha impedito di chiedermi che cosa di positivo poteva nascerne. Perché è nel mezzo delle macerie che bisogna progettare cosa vogliamo costruire dopo. Ed è in questa prospettiva, del potenziale positivo delle crisi, che io posso rivolgere al Covid-19 anche un ringraziamento per averci aiutato ad aprire gli occhi sulla nostra fragilità, su quelle che da più di trent’anni io chiamo le nostre piaghe bibliche che rendono più duro l’impatto di tutte le crisi, e ogni volta più arduo il recupero, sia che si tratti di crisi finanziarie, sia che si tratti dell’attuale crisi sanitaria.

Il risveglio nella fragilità

Ci siamo resi conto di essere fragili nel funzionamento delle istituzioni, con una classe politica molto mediocre, con una finanza pubblica e un debito pubblico che supera qualsiasi parametro ritenuto ragionevole. Siamo fragili nella lotta alle tre “male bestie” che Sturzo denunciava sessant’anni fa: statalismo, partitocrazia e sperpero di denaro pubblico. Restiamo fragili nella lotta alla malavita organizzata, siamo fragilissimi nella giustizia civile e nel funzionamento di parti importanti della PA che si sente padrona del Paese e non al suo servizio. Siamo fragili nella scuola. Siamo fragili nell’occupazione. Siamo fragilissimi nella demografia, per la storica assenza di una politica per la famiglia. Ma dal risveglio sono emersi anche alcuni punti di forza.

La forza dell’Europa

«Anche questa volta l’Europa non c’è!», titolavano i giornaloni, un anno fa; mentre pseudo economisti spiegavano come l’uscita dall’euro avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Diciamocelo: eravamo a un passo dal baratro. Ma lo shock del Covid-19 ci ha salvati. Il popolo italiano ha ritrovato solidarietà, energie e capacità sorprendenti. Sono emersi nuovi politici, come Conte, che hanno saputo ridare all’Italia un posto dignitoso in Europa. In UE si sono avviati processi culturali, politici e operativi coraggiosi, di vasta portata, che hanno dato al processo di solidarietà e integrazione una forte accelerazione. Per la prima volta l’Unione ha ideato un piano comune di rilancio finanziato sul mercato internazionale con emissione di titoli europei come da anni auspicavano i più lungimiranti studiosi. Senza Covid-19, non sarebbe accaduto. Quindi, non solo «Per fortuna questa volta l’Europa c’è», come avevo scritto già il 6 aprile 2020, ma stavolta anche l’Italia c’è, con dignità, nella grande famiglia europea.

La forza della manifattura

L’industria manifatturiera di medie dimensioni ha mostrato grande capacità e produttività, che in molti settori non è inferiore a quella tedesca. E Brescia è un pilastro di questa industria. Nella primavera scorsa mi ribellai a un articolo del Sole 24 ore che parlava di rischio «desertificazione industriale». Oggi si comincia a capire che, con l’eccezione di pochi settori più duramente colpiti sui mercati internazionali, l’industria manifatturiera italiana non ha mai mollato e anche nel periodo di blocco delle attività ha lavorato strenuamente con coraggio e creatività per tenere testa alla crisi. Il consuntivo 2020 lo conferma. Oggi questo comparto è, in molti casi, migliore di quello che era prima della crisi, grazie al lavoro di riorganizzazione e innovazione che le buone imprese hanno saputo svolgere. Il problema è che questa Italia innovativa e produttiva non supera il 20% del PIL. È sul resto, sull’80% residuo, che bisogna agire. 

La forza del risparmio delle famiglie

Nel dopoguerra la scarsità di risparmio era tra le maggiori difficoltà per l’avvio della ricostruzione. Il piano Vanoni degli anni ’50 voleva proprio avviare la formazione di risparmio per mobilitare, con esso, energie di lavoro ancora inattive. Oggi questa disponibilità c’è, forse in misura eccessiva, e sarà rafforzata dal piano Next Generation Europe. Il problema starà, quindi, nell’indirizzare parte del risparmio privato nazionale verso il circuito produttivo, per affiancare l’intervento UE. Il debito pubblico però è aumentato e aumenterà con i prestiti europei. Io sono con quelli che pensano che sarà sicuramente necessaria una manovra di finanza pubblica straordinaria per riportare il debito entro limiti ragionevoli. Le forme tecniche di questa manovra possono essere molto diverse, ma sulla sua necessità tecnica e politica concorda un gruppo minoritario ma significativo di studiosi e operatori che ricordo alle pagine 266 e seguenti del mio libro Al di là del Tunnel, in Il ricatto del debito pubblico e il prestito della Rinascita. Ricatto, perché c’è una linea di pensiero prevalente, che coinvolge il Tesoro, la Banca d’Italia e loro adepti (e temo anche Draghi), che racconta la fiaba che il riequilibrio del debito si realizzerà con il solo sviluppo del PIL. Per il Ministero dell’Economia, anche con il Recovery Fund ci vorranno dieci anni per riportare il debito a livelli pre-Covid, cioè al 130% del PIL, parametro già considerato troppo elevato. Sono questi futuri dieci anni, e forse di più, destinati a essere vissuti ancora sul ciglio del burrone, il ricatto del debito pubblico. Ed a questo ricatto io mi ribello anche a nome dei miei nipoti. Sappiamo che il debito non va cancellato, né rimborsato e che, se contenuto in una misura sostenibile, è una benedizione dei popoli (copyright Hamilton, primo ministro del Tesoro USA, inventore del dollaro). Va ridotto per recuperare flessibilità strategica e di sviluppo, per togliere la corda del ricatto dal collo. Sappiamo che questa riduzione non si fa dalla sera alla mattina. Essa richiede di agire su altri strumenti: contenimento della spesa corrente, cessione di cespiti patrimoniali non produttivi, ripresa dello sviluppo. Richiede tempo e progettualità. Abbiamo bisogno di un piano pluriennale che includa anche l’emissione di un Prestito della Rinascita. Nessuno chiede miracoli ma un piano credibile di buone regole. E i primi a chiederlo, anzi a pretenderlo, devono essere gli italiani. Per questo e per i loro figli e nipoti devono essere pronti a lottare. Basta giocare alle tre tavolette. Il ricatto del debito pubblico può fare molto più male del Covid-19.

La capacità di fare degli italiani

Altro punto di forza che è emerso, una volta di più, è la capacità degli italiani. Non solo capacità imprenditoriali, ma in generale quelle dell’homo, e donne, faber italiani, in tutti i mestieri, come tecnici, manager, artigiani, operai, agricoltori. Potrei riempire un libro di mille pagine con le storie bellissime che ho raccolto, girando l’Italia e gran parte del mondo, di tutti i manager e ricercatori italiani che hanno fatto, nelle multinazionali e nei laboratori di ricerca delle più grandi università internazionali, quelle brillanti carriere che il loro Paese negava loro, per via delle tante corporazioni che lo strangolano.

Il rischio di non ottenere i fondi UE, di usarli male, o di adagiarvisi

Ma corriamo altri rischi. Il primo è di usare male i fondi UE o di non ottenerli. Questo rischio era alto con il governo Conte perché le bozze di piano erano frutto di un metodo inadeguato. Erano liste di progetti isolati, senza una strategia visibile, senza un’organizzazione affidabile. Non era colpa di Conte, ma di chi, avendo trascorso la vita tra burocrazie di partito o pubbliche, non conosceva l’ABC dell’organizzare e guidare processi operativi complessi. Gentiloni, commissario europeo per l’economia, che pure aveva sostenuto Conte per ottenere i contributi, il 26 gennaio 2021 ha avvertito: «L’Italia avrebbe bisogno di un governo che sappia dare qualità al Recovery». Un’ottima sintesi l’ha fatta, lo stesso giorno, Vito Gamberale, manager che ho sempre stimato per competenza e integrità, che, sempre su Il Sole 24 Ore, lanciava un articolo-allarme che va letto (disponibile nella versione integrale al link sotto riportato). Ora, con Draghi e col ristretto gruppo di validi manager che, con lui, gestiranno l’intero Recovery Plan, questo pericolo è in gran parte scongiurato. E anche il piano vaccini troverà un ritmo ed una gestione più tranquillizzante. Ma con ciò non si può disconoscere a Conte il merito di aver ottenuto la solidarietà UE. Né si deve pensare – altro rischio – che i contributi UE risolveranno tutti i nostri problemi. Essi saranno preziosi per rimettere in moto la macchina, ma sono piccola cosa a fronte delle immense necessità del sistema Italia. Le risorse pubbliche avranno ben poco effetto se non riusciranno a mobilitare anche gli investimenti e le energie dei privati. Sarebbe un errore mortale tornare a impigrirci, pensando che, tanto, l’Europa e Draghi ci pensano loro. L’impegno che ci attende non è inferiore a quello del dopoguerra.

La minaccia delle rendite di posizione

Altro grave rischio è che le rendite di posizione che vincolano larga parte della nostra società ed economia, con la loro forza economica, politica e di corruzione, riescano a impedire le innovazioni strutturali necessarie. Alla luce della debolezza del nostro mediocre sistema politico e del nostro scarso livello civico, è questo il pericolo più grande. Sergio Fabbrini, tra i migliori editorialisti del Sole 24 Ore, il 7 febbraio 2021 ha scritto: «La frammentazione della politica è l’espressione del particolarismo che caratterizza da tempo la società italiana. Nel nostro Paese non c’è un gruppo di interesse (neppure uno) che abbia uno sguardo più largo del proprio interesse. Basti ricordare l’esito degli “Stati generali dell’economia” organizzati a Villa Pamphili dal governo Conte II nel giugno dello scorso anno per “progettare il futuro”. Centinaia di associazioni che, per una settimana, si sono succedute ad avanzare richieste particolaristiche, come se l’interesse del paese emergesse dalla loro somma o aggregazione. Da non credere». È una visione reale. La stessa Confindustria, rappresentante del potere economico, sul giornale della quale sono state scritte queste parole, non l’ho mai vista, durante la crisi, assumere una posizione costruttiva nei confronti del Governo e delle esigenze del Paese. Sempre solo pretendere, criticare, rimproverare. E mai dare, mai rinunciare a qualcosa, mai pagare qualche ticket per i propri privilegi. Anche qui, come nella politica generale, c’è una frattura tra il mondo delle imprese reali che lavorano e fanno il loro dovere con dignità, in qualunque circostanza (il che è emerso proprio nel 2020) e la loro rappresentanza politica e burocratica che, come tutte le rappresentanze politiche e burocratiche, sono impegnate solo a difendere i propri privilegi, a far sì che tutto cambi purché nulla cambi. Non è questo un male solo italiano. Anche negli USA attuali: «Le troppe rendite di posizione strangolano il capitalismo USA». Lo ha recentemente scritto Angus Deaton, Nobel per l’economia nel 2015, che il 2 gennaio 2021, su Il Sole 24 Ore ha scritto: «La fine del mandato del Presidente Donald Trump di certo ridurrà il capitalismo clientelare e il saccheggio del portafoglio pubblico da parte della sua famiglia e dei suoi amici. Ma non servirà ad aggiustare un sistema che non funziona. (…) I rent seeker sono, e probabilmente rimarranno, troppo potenti per il bene del Paese». In effetti quello che più preoccupa di Draghi è la sua forte attrazione per il mondo americano, che è, come per molti di noi, un amore giovanile per un’America che non c’è più. Draghi si è molto abbeverato al neoliberismo dei grandi banchieri americani e questo è un pericolo grave.

L’errore di chiedere al governo ciò che non può dare

L’ultimo rischio è di chiedere a questo governo, e a questo capo di governo, ciò che non possono dare, invece di concentrarci su quello che noi cittadini dobbiamo fare. La sarabanda è già cominciata con manifestazioni grottesche, come quella di chiedere a un europeista di lunga data, già governatore della Banca europea, già salvatore dell’euro in uno dei suoi momenti più critici, uomo chiamato al governo per disperazione, garante di un patto europeo che lancia un grande piano Marshall del quale l’Italia è importante beneficiario, chiedere a lui di dichiarare che l’euro è reversibile. 

Insomma, non si può chiedere a Draghi di essere diverso da ciò che è. Non possiamo chiedergli di non essere un banchiere, di non essere un liberale, di non essere un partitante, non possiamo addebitargli di non avere dietro di sé una massa di accattoni da alimentare con posti di lavoro immeritati e tangenti, di non essere europeista e di non sostenere l’euro. Draghi ha mostrato in varie occasioni decisive, come nella sua coraggiosa sfida ai falchi della Banca Centrale tedesca e contro la speculazione finanziaria internazionale che tentava di scardinare l’euro, di essere non solo un bravo banchiere ma un grande politico, anche se di una pasta ben diversa da quella dei nostri politici che ci avevano portato a pochi passi dalla catastrofe. Per ora possiamo accontentarci. Ma certamente non possiamo pensare che sia lui da solo a dover risanare tutte le piaghe bibliche italiane. Per questo ci vuole un grande impegno corale di tutti noi italiani. Oltre a mettere in sicurezza il piano Next Generation, a porre su una base più seria il piano di vaccinazioni e, forse, ad avviare qualche importante riforma, il governo Draghi ci assicura un po’ di tempo, diciamo un paio d’anni, per sistemare un po’ la sgangherata politica italiana.

La crisi del Covid-19 ci ha mostrato che, messo con le spalle al muro, il popolo italiano c’è, ha coraggio, disciplina, capacità innovativa. È una nuova conferma di quanto scrive Vasco Pratolini: gli italiani non lo sanno, ma la loro dote migliore è quella di essere capaci di ricominciare sempre da capo. Dobbiamo tutti, uomini e donne, donare la nostra intelligenza, la nostra capacità di fare, la nostra volontà, il nostro amore, per rifondare la politica del nostro Paese, per avere un Parlamento più degno, una democrazia più rispettabile, dei partiti seri, organizzati e fondamentalmente onesti come in Germania, che resta il nostro punto di riferimento. Dobbiamo impegnarci subito in questa ricostruzione mentre Draghi sarà concentrato soprattutto alla ricostruzione economica. Se sapremo usare questa tregua per una svolta decisiva nell’alzare la qualità della nostra politica, allora potremo, con convinzione, dire: grazie Mattarella, grazie Draghi, grazie Covid-19.

1. Marco Vitale, Al di là del tunnel. Se non ora quando?, Marco Serra Tarantola Editore, Brescia 2020, pag. 36.

2. Marco Vitale, Al di là del tunnel. Se non ora quando? Marco Serra Tarantola Editore, Brescia giugno 2020, pagg.288

Il testo integrale di Marco Vitale è scaricabile cliccando qui.

Un nuovo approccio al controllo di gestione

Nel nostro primo numero della Newsletter abbiamo individuato le imprese che per noi sono un modello di riferimento. Si tratta delle imprese del c.d. quarto capitalismo italiano, la forza portante del sistema industriale italiano, quello di cui si è presa coscienza abbastanza di recente. Sono imprese dinamiche, a vocazione internazionale, che non fanno parte di gruppi industriali o finanziari stranieri, sono essenzialmente imprese in cui il controllo e spesso anche la gestione fanno riferimento a famiglie imprenditoriali.

Una delle caratteristiche che le contraddistingue dicevamo essere un sistema gestionale forte e robusto, con un controllo di gestione al servizio della verifica continua della coerenza della Formula Imprenditoriale. In questo caso i dati (reddituali, finanziari, commerciali, industriali, ecc.) sono importanti non solo perché sono sempre più richiesti per un colloquio corretto e costruttivo con il mondo bancario, finanziario e con i terzi in generale, ma perché a parità di capacità decisionale la differenza la fa la qualità dei dati e delle informazioni tempestivamente disponibili.

Vogliamo perciò oggi approfondire il tema del controllo di gestione.

Viviamo momenti di grande e profonda discontinuità a partire dalla crisi finanziaria del 2008 che è ormai evidente essere stata un momento di cambiamento sistemico. 

Questi momenti sono caratterizzati da grande complessità e grande incertezza e avvengono nel pieno della quarta rivoluzione industriale, contraddistinta dalla convergenza delle tecnologie, dalla velocità esponenziale degli effetti che le innovazioni dispiegano e dall’intensità degli stessi sul mercato, sui prodotti e sulle nostre abitudini di consumo e di lavoro.

A tutto ciò si è aggiunta, dallo scorso anno, la pandemia da Covid-19 che, come già abbiamo avuto modo di dire più volte, è un potente acceleratore degli effetti delle debolezze preesistenti.

In momenti di grande transizione e cambiamenti, come quelli che stiamo attraversando, a nostro avviso è molto importante che il controllo di gestione sviluppi sempre più un approccio strategico. Ciò significa che non possiamo più permetterci di tenere distinti, ammesso che lo siano mai stati, la strategia dalla implementazione e la strategia dal controllo; il contesto non ce lo permette più.

Un sistema di controllo di gestione adeguato alle necessità del momento deve essere sempre più uno strumento di attuazione della strategia. Il controllo di gestione non deve essere quindi visto unicamente come un sistema di rilevazione dei dati nell’ambito del processo amministrativo al servizio del momento decisionale. Il controllo di gestione invece si deve inserire a pieno titolo nel percorso proprio della riflessione strategica.

Se per fare strategia dobbiamo accettare l’incertezza (Socrate diceva che la verità si trova nell’incertezza) e quindi sviluppare il cosiddetto apprendimento anticipatorio, quello cioè che legge anche i segnali deboli e che ci aiuta a metterci continuamente in discussione per trovare la nuova rotta e preservare e se possibile aumentare la competitività, significa che l’attività strategica deve essere quotidiana e non sporadica. Ciò comporta anche un diverso e nuovo approccio al controllo di gestione.

Un sistema di controllo che sia premessa di competitività, diventa quindi una nuova attitudine organizzativa, parte della cultura aziendale che deve coniugare contemporaneamente la fase di rilevazione dei dati (interni ed esterni) con quella della loro analisi e decodifica a supporto dell’attività strategica e delle decisioni. 

Decisioni che devono essere prese con grande velocità, sulla base di dati attendibili, messi a disposizione con rapidità e nella giusta quantità per poter individuare quelli davvero importanti per lo specifico problema. I dati devono essere facili da ottenere e facili da analizzare.

Arthur Andersen diceva "behind the figures and through the figures"; è perciò importante non solo avere i dati ma saperli analizzare. È importante selezionare i dati davvero importanti e significativi.

Quindi il controllo di gestione non più come un fatto solo tecnico contabile. Dalla logica del controllo si deve passare a quella della gestione e verifica della direzione di marcia, dal focus all’efficacia ed efficienza (per altro sempre importanti) al focus sulla competitività e continuità d’impresa.

Si deve passare da modelli organizzativi rigidi e burocratici a sistemi diffusi e condivisi dove i responsabili delle singole funzioni aziendali sono anche responsabili della loro fetta di controllo e di analisi.

Il controllo di gestione non è più quindi mero “produttore” di numeri, tabelle ed indici, ma diventa lo snodo organizzativo attraverso cui la cultura del controllo e dell’analisi si diffonde nell’organizzazione. 

In tal modo la direzione sarà in grado, attraverso l’analisi di pochi e selezionati indicatori (KPI), di gestire la complessità e monitorare l’andamento complessivo dell’impresa attraverso la responsabilizzazione dei capi funzione che saranno responsabilizzati e coinvolti attivamente nella gestione strategica, cioè nell’attività che coniuga la strategia con l’implementazione e con il controllo, che è premessa necessaria per la competitività. 

Il ruolo del controller deve quindi cambiare ed evolvere: da fornitore di dati a fornitore di servizi. Volendo sintetizzare:

  • deve essere parte attiva nel processo di condivisione della strategia all’interno dell’impresa
  • deve essere attivatore ed attore in prima linea del cambiamento
  • deve essere al servizio della direzione nelle decisioni e al servizio delle funzioni aziendali nella fase di elaborazione e analisi specifica e “periferica” delle performances
  • deve essere di supporto ad individuare quei pochi indicatori chiave delle variabili strategiche rilevanti
  • non deve concentrarsi solo sulle dimensioni economico finanziarie
  • deve sfruttare la grande potenzialità delle tecnologie digitali dei big data e del data analysis, interna ed esterna

Un approccio di questo tipo è di grande aiuto, se non premessa indispensabile, per lo sviluppo di una cultura aziendale aperta all'innovazione, non arroccata sull'"abbiamo sempre fatto così" che oggi non è più assolutamente sostenibile.

Proverbi riletti per l'impresa

Proseguiamo nel proporre proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa.
Questa volta suggeriamo due proverbi siciliani tratti dal libro di Marco Vitale
“I proverbi di Calatafimi”, Edizioni Studio Domenicano, 2009.

Mettiti cu chiddi megghiu di tia
e appizzaci li spisi
” 

“Mettiti con chi è meglio di te
e pagagli anche le spese”

Il messaggio è che non bastano l’impegno e la competenza tecnica.
Bisogna continuamente imparare da chi è migliore di te, pronti anche ad investire su questo processo di apprendimento.
 
Ci rissi lu surci a la nuci:
dammi tempu chi ti perciu
” 

“Disse il sorcio alla noce:
dammi tempo che ti perforo”

Competenza tecnica, conoscenza, apprendimento continuo sono i pilastri fondamentali di ogni azione positiva in tutti i campi. Ma se è vero che la leadership non è solo pensiero, ma anche azione, queste qualità devono essere sostenute da grande tenacia, costanza e disponibilità a “fare gavetta imparando”.

 
IN & OUT

Il castello di Brescia sul podio dei
Luoghi del Cuore FAI

Lo scorso 25 febbraio il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha annunciato i vincitori del 10° censimento biennale dei Luoghi del Cuore.

Il Castello di Brescia, della cui candidatura avevamo parlato nella Newsletter n. 7 di agosto, ha raggiunto la terza posizione a livello nazionale (su oltre 36.000 siti in gara) con 43.470 voti (al primo posto si è classificata la ferrovia Cuneo-Ventimiglia-Nizza con 75.586 voti ed al secondo posto il Castello e parco di Sammezzano con 62.690 voti). 

Quella del Castello di Brescia rappresenta il posizionamento più in alto mai raggiunto da un sito bresciano nelle precedenti 9 edizioni del censimento biennale.

La candidatura del Castello è stata ufficialmente promossa dal Comitato Amici del Cidneo Onlus, realtà nata nel 2015 anche grazie all’impegno di Marco Vitale che è tra i soci fondatori, per valorizzare e promuovere il Castello ed il colle Cidneo.

Il Comitato, secondo le riflessioni del Presidente Giovanni Brondi, è quindi riuscito nel vero obiettivo della campagna, ovvero mobilitare un incredibile consenso ed entusiasmo intorno al Castello da parte di tanti cittadini, associazioni, scuole, istituzioni, anche tramite la partecipazione sentita di molti testimonial: cantanti, sportivi, influencer. Interesse che è stato riscontrato non solo nell’ambito cittadino e provinciale ma anche regionale e oltre.

L’obbiettivo di arrivare sul podio era particolarmente importante in quanto il FAI riconosce ai primi tre luoghi vincitori, sulla base di specifici progetti da presentare, un contributo economico volto alla loro valorizzazione e ne contribuisce alla notorietà.

Riproponiamo di seguito, condividendole totalmente, le parole riportare sul sito del FAI che inquadrano la straordinaria partecipazione all’evento anche nell’ambito del difficile periodo che stiamo vivendo: 

Il 25 febbraio sono stati annunciati i vincitori del 10° Censimento. Con ben 2.353.932 voti, gli italiani hanno voluto dimostrare il loro amore per il patrimonio culturale e ambientale italiano: il miglior risultato di sempre per il Censimento del FAI. Una partecipazione sorprendente che nell’anno del dramma del Covid-19 si carica di significato e racconta di un’Italia coesa, vitale e fiera delle proprie bellezze, che guarda al futuro con speranza, nonostante tutto”.

I vaccini in Lombardia 

Nei giorni scorsi coloro che si sono prenotati per la vaccinazione in Lombardia (ultraottantenni) si sono visti recapitare un sms difficile da interpretare: nessuna indicazione precisa su date e luoghi del vaccino, nessuna vera indicazione dei motivi del ritardo e nessuna scusa. 

Un grande errore di comunicazione che avrebbe dovuto essere evitato, soprattutto per rispetto delle persone più anziane e più esposte anche a sentimenti di preoccupazione oltre che al virus.

Un errore che si aggiunge a quelli ben più gravi di organizzazione, di logistica e di algoritmi sconosciuti anche al gestore del servizio che sono culminati nell’abbandono della piattaforma regionale di prenotazione per passare a quella di Poste Italiane (operazione che pare richieda altri 10 giorni dall’annuncio del passaggio).

Davvero una vicenda sorprendente per una Regione che dovrebbe essere all’avanguardia per la tecnologia e per la capacità del fare. 

Da un punto di vista aziendale numerosi appaiono gli errori commessi: 

  • inadeguata valutazione complessiva del problema da affrontare (che va dalla logistica, alla organizzazione del personale alla comunicazione) 
  • mancanza di pianificazione 
  • incapacità di mettere a fattor comune le risorse (intellettuali e tecnologiche) proprie di un territorio ricco di eccellenze ed avanzato come la Lombardia 

Al di là dell’inadeguata risposta che la Regione sta dando fino ad ora ad un problema gravissimo dobbiamo quindi annotare anche l’occasione persa per mettere a punto un sistema efficiente ed efficace di risposta alle crisi che faccia leva sulle competenze e forze del territorio.

VNZ NEWS

 

Ha preso avvio a gennaio la IV Edizione del Master in Competenze Filosofiche per le Decisioni Economiche dell’Università Cattolica di Milano, che Vitale-Zane &Co. sosterrà per il secondo anno in ricordo della nostra cara collega Monica.

https://offertaformativa.unicatt.it/master-competenze-filosofiche-per-le-decisioni-economiche
 

È STATO DETTO

La perfezione nelle cose più ordinarie 

I tempi che viviamo, tempi di crisi profonda come non si vedeva da tempo, crisi che si insinua in aspetti molto intimi, finora mai raggiunti, incrollabili, della vita delle persone e di molte aziende, stanno creando difficoltà crescenti fino allo smarrimento. 

Dal Giappone, terra abituata dalla Natura e dalla Storia a rinascere sempre dalle sue ceneri, ci viene in aiuto un imprenditore, Hidesaburo Kagiyama, classe 1933, che in modo semplice, spontaneo, non programmato, a partire da una buona abitudine molto umile, normalmente ritenuta sconveniente e perciò delegata ad altri, ha costruito una cultura manageriale che si è affermata nel tempo perché pare che sia efficace soprattutto nei momenti di crisi: perché cementa i legami tra le persone; perché evidenzia gli sprechi; perché rinfranca l’anima e solleva lo spirito; perché rende sensibili e apre il cuore. 

È la Via della Pulizia, Soji-do, che è stata condensata dall’Autore in una raccolta di pensieri, uno al giorno per un anno, in un libro che è stato tradotto in italiano col titolo di Toilet Cleaning Management. Una dirompente strategia manageriale, da Guerini e Associati, 2013. 

Ecco alcuni suoi pensieri.

«Volendo sintetizzare in una sola espressione la vita da me vissuta fino a questo momento, si potrebbe ridurre tutto a questo: «Le cose ordinarie fatte fino alla perfezione», cioè «Ho continuato a fare le cose più comuni, alla portata di tutti, in un modo così perfetto e quasi come nessun altro».

Ho raccolto, una per una, le cose che gli altri trascuravano, abbandonavano o semplicemente sfuggivano alla loro vista e ho riscoperto in esse un valore. Se si svolgono alla perfezione le attività ordinarie che chiunque, se ci si mette, è in grado di fare, allora a quel punto si crea la differenza e si acquisisce un vantaggio.

Finora ho vissuto con questa convinzione.

Spesso gli esseri umani tendono a deridere le cose ordinarie e a prenderle alla leggera. Sono molte le persone convinte che, se non si fanno cose difficili e speciali, non si ottengono buoni risultati.

Non è affatto così. Nelle cose di questo mondo è l’accumulo di cose ordinarie ad attirare quelle straordinarie, a creare la differenza.

Le persone che pensano soltanto a imprese difficili e grandiose vanno spesso incontro agli insuccessi, oppure non perseverano nelle suddette attività, o ancora finiscono con il tornare al punto di partenza. 

Bisogna tenere a mente che, se si va avanti accumulando un po’ alla volta le azioni comuni, quelle alla portata di chiunque, piuttosto che rincorrere obiettivi speciali impossibili da raggiungere, si arriverà ad avere un’energia straordinaria.

Sono fermamente convinto che se si continua a fare alla perfezione le cose ordinarie, il risultato straordinario prodotto dalle attività ordinarie impressionerebbe e commuoverebbe tutti».

Hidesaburo Kagiyama, imprenditore, in Sojido. La Via della Pulizia. Per migliorare gli individui, le imprese e la società, Compagnia della Stampa, Massetti Rodella Editori 2014

https://www.ibs.it/sojido-via-della-pulizia-per-libro-hidesaburo-kagiyama/e/9788884866073

DA NON PERDERE

L'arte della guerra

di Sun Tzu
curatore: Mario Conti
2013, Feltrinelli
Pag. 96 - 8,00 €


Il modo migliore per essere certi di vincere una guerra è assicurarsi la vittoria ancora prima di iniziare a combattere: questo è il principio fondante dell'Arte della guerra, con ogni probabilità il più antico manuale strategico della storia (VI secolo a.C.). Un obiettivo raggiungibile studiando i punti di forza e di debolezza dell'avversario, mantenendo la consapevolezza dei propri limiti ma anche la fiducia nella propria forza, sorprendendo continuamente il nemico. E, prima di ogni altra cosa, controllando le informazioni, perché grazie alla conoscenza il destino della battaglia può davvero essere scritto prima che lo scontro cominci. L'essenzialità del messaggio e l'efficacia del magistero di Sun Tzu hanno fatto dell'Arte della guerra un testo di culto per chiunque voglia raggiungere un obiettivo nella vita o nel lavoro, dal manager al generale, dallo sportivo all'artista.

 

La fine del mondo
e il paese delle meraviglie

 

di Haruki Murakami
traduttore: Antonietta Pastore
2013, Einaudi Super ET
Pag. 520 - 15,00 €


In una piccola e spettrale città, che mura insormontabili separano dal resto del mondo, gli abitanti, privi di ombra e di sentimenti, vivono al riparo da qualunque emozione. Un nuovo arrivato ha il compito di leggere i vecchi sogni nel teschio degli unicorni, i soli animali del luogo, cogliendo frammenti di memorie e di un’altra vita o dimensione. Parallelamente, in una Tokyo futuribile e disumana, un uomo viene coinvolto da uno scienziato, geniale ma sconsiderato, in un esperimento a rischio della vita che lo porterà a calarsi nei sottosuoli della città, in lugubri voragini animate da creature mostruose e maligne, metafora delle paure che agitano le coscienze. Proprio nel buio fitto della mente si troverà la soluzione che lega i personaggi dei due mondi, in realtà l’uno il riflesso dell’altro. Sarà possibile lo scambio tra le due dimensioni?
O il viaggio rimarrà senza ritorno?
 

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Elena Gabusi, Domenico Gamarro, Margherita Saldi,
Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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