NEWSLETTER n.12, giugno 2021
«Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. 
La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi
perché è proprio la crisi a portare il progresso. 
La creatività nasce dall'ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi violenta il proprio talento e rispetta più i problemi che le soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. 
Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza. Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo. Invece di questo, lavoriamo duro! L’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla».


Albert Einstein, 1879-1955
TESTI DA RICORDARE

Tempo di lettura 4 min.


Marco Vitale, 6 aprile 2020 in “Al di là del tunnel “ Ed. Serra Tarantola

“Sul Sole 24 ore del 1° aprile 2020 (e non si tratta di un pesce d’aprile) ho letto, a tutta pagina, un titolo terrorizzante: “Occorre un Piano per arginare la desertificazione industriale”. L’unica cosa di cui non abbiamo bisogno è un Piano (e già intravedo, con terrore, i volti degli aspiranti gestori di una tale minaccia), E la seconda cosa di cui non abbiamo bisogno è proprio di diffondere il terrorismo economico evocato dalle parole: “arginare la desertificazione industriale”. Quanta sfiducia totale nell’imprenditoria e nella struttura imprenditoriale italiana è racchiusa in queste poche parole, pubblicate proprio per giunta sul giornale dell’imprenditoria italiana!...

Descriverle, come fanno tanti commentatori superficiali, soprattutto televisivi, come una armata Brancaleone allo sbando e a rischio di morire da coronavirus, è una pericolosa stupidaggine. In verità esse rappresentano la parte più solida, matura, civile, resiliente del Paese produttivo. Tante di queste imprese sono state duramente colpite da una crisi così inattesa, ma non ne conosco nessuna che si sia veramente fermata. Quelle che non possono più vendere hanno continuato a pensare, fare piani, riorganizzarsi, imparare a usare gli strumenti telematici in modo da venir fuori dalla crisi ancora meglio organizzate di prima. Esse stanno dando prova di grande resilienza per sopravvivere e vincere la battaglia (secondo certi studiosi la resilienza è proprio la qualità che permette ai virus di sopravvivere da alcuni miliardi di anni). Esse sono quindi in grande maggioranza vive e pronte a ripartire.”


Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, capitolo X, Dopo la peste di Milano, Renzo e Lucia si sposano e si collocano nella bergamasca:

“Gli affari andavan d’incanto: sul principio ci fu un po’ d’incaglio, per la scarsezza de’ lavoranti e per lo sviamento e le pretensioni de’ pochi ch’erano rimasti. Furon pubblicati editti che limitavano le paghe degli operai; malgrado quest’aiuto, le cose si rincamminarono, perché alla fine bisogna che si rincamminino. Arrivò da Venezia un altro editto, un po’ più ragionevole: esenzione, per dieci anni, da ogni carico reale e personale ai forestieri che venissero a abitare in quello stato. Per i nostri fu una nuova cuccagna.”


Carlo Maria Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, 1974 (pagg. 364-365):

Questa la rosea situazione sul finire del Quattrocento. Poi, d’improvviso, tra il 1494 e il 1538 sull’Italia si abbatterono i cavalieri dell’Apocalisse. Il Paese divenne campo di battaglia di un conflitto internazionale che coinvolse Spagnoli, Francesi e Germanici. Con la guerra vennero le carestie, le epidemie, le distruzioni del capitale e le interruzioni dei traffici.

Brescia, che produceva circa 8.000 pannilana all’anno ai primi del secolo, non ne produceva più di 1000 verso il 1540. A Como manifatture e commercio andarono in malora. Pavia che contava circa 16.000 abitanti alla fine del Quattrocento era ridotta a meno di 7000 nel 1535. Nel 1529 gli ambasciatori inglesi che si recavano a Bologna per l’incoronazione di Carlo V riferirono che:

“il paese fa pietà, in diverse parti non si incontrano né uomini né cavalli e le città sono distrutte e desolate. Tra Vercelli e Pavia per lo spazio di 50 miglia, il paese più ubertoso di grano e vigneti che si possa immaginare, è così devastato che non abbiamo visto né uomo né donna a lavorare nei campi… Vigevano è tutta distrutta. Pavia ha subito la stessa sorte e fa pietà: i bambini piangono nelle strade chiedendo pane e vi muoiono di fame. Tutta la gente di queste contrade e di molti altri luoghi in Italia – e il Papa ce lo ha confermato – è morta o è migrata per causa delle guerre, della carestia e delle pestilenze. Non c’è alcuna speranza che l’Italia possa riaversi per molti anni a venire a causa della mancanza di gente”.

Qualche anno più tardi, nel 1533, l’ambasciatore veneziano Basadonna confermava:

“Lo Stato di Milano è pieno di miseria e ruina rispetto alle condizioni dei tempi passati; le quali miserie e ruine non si potranno ristorare in poco spazio di tempo essendo ruinate le fabbriche et estinte le persone per il che mancano le industrie.”

Con la metà del secolo tornò finalmente la pace. Le previsioni che “miserie e ruine non si potranno ristorare in poco spazio di tempo” si dimostrano sbagliate. Una tradizione plurisecolare di laboriosità e intraprendenza aveva creato nel Paese un capitale umano di ragguardevole potenzialità. La ripresa del Paese fu pronta”.

PRIMO PIANO

I 7 grandi pericoli

Tempo di lettura 9 min.


In questi giorni si sta cominciando a vedere la luce in fondo al tunnel. Il Governo ha presentato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), le vaccinazioni hanno preso un discreto ritmo, i contagi e le morti stanno diminuendo e ci stiamo apprestando a recuperare un po' di normalità nella nostra vita quotidiana.

Nel rallegrarci di tutto ciò vogliamo però mettere in evidenza 7 grandi pericoli che corriamo e che dobbiamo assolutamente evitare, come Paese ma anche come cittadini ed operatori economici, ognuno impegnato nella propria attività. 

I 7 grandi pericoli sono un estratto dalla relazione che il Prof. Vitale ha tenuto il 19 maggio scorso al Lions Club di Mirandola, dal titolo “Il Cigno nero è arrivato davvero, ma c’è anche del buono nella sua bisaccia” il cui testo integrale è scaricabile a questo link.

1. Non ottenere i fondi europei o usarli male

Il rischio di non ottenerli era alto con il governo Conte. Le bozze di piano presentate non erano sufficienti, essendo frutto di un metodo inadeguato, con il rischio che non sarebbe passato facilmente a livello europeo, dove è necessario fornire garanzie che i fondi siano ben gestiti e servano per la Next Generation e dove, non dimentichiamolo mai, esistono forze politiche molto attente e critiche sull’Italia, e non sempre senza ragione, che ci aspettano al varco. 

Ora, con il governo Draghi e il ristretto gruppo di manager competenti che dirigeranno, insieme a lui, in una sorta di gabinetto di crisi, l’intero Recovery Plan, il pericolo di perdere o rovinare questa grande occasione è, in parte, rimosso. Non sarà necessario creare nuove strutture o sovrastrutture per la guida del piano come da molti si è fantasticato, che farà capo direttamente al Ministro dell’economia ed al primo Ministro con tutti i suoi più diretti collaboratori, che si assumeranno così anche la piena responsabilità, come è giusto che sia.

2. Ritardare le vaccinazioni

La partenza del piano di vaccinazioni è stata disastrosa. Forse sono un po’ troppo influenzato dalla situazione della Lombardia, dove l’incapacità di gestione del piano vaccinazioni è stata sconvolgente. Come sconvolgente rimane anche il rifiuto del vertice regionale di recitare il confiteor e di avviare una seria commissione d’indagine. 

Sembra che ora il piano di vaccinazioni abbia trovato un ritmo ed una gestione più tranquillizzante. Però pare che il virus rimarrà tra noi (e dovremo imparare a conviverci) e che altri virus si temano. È indispensabile, quindi, una riorganizzazione profonda del nostro sistema sanitario territoriale, ma per ora non se ne vedono i segnali. 

E questo è un grandissimo rischio, perché il compito da realizzare è molto impegnativo e viene contrastato da biechi interessi di parte, come in Lombardia ed in Calabria.

3. Illudersi che i contributi UE risolvano tutti i nostri problemi

Un altro grande rischio che corriamo è di adagiarci sull’illusione che questi contributi europei, ora forse messi in sicurezza, risolvano da soli tutti i nostri problemi. Sarebbe un grande errore. I contributi europei saranno certo preziosi per rimettere in moto la macchina. Ma, pur nella loro entità, sono piccola cosa a fronte delle immense necessità del sistema Italia. 

La partita in gioco chiama a raccolta tutte le migliori energie del Paese. La sfida si allarga a tutte le forze sociali, economiche e culturali del Paese, famiglie, imprese, associazioni, scuola, altri organi intermedi, tutti devono dare il meglio di sé. Le risorse pubbliche avranno ben poco effetto se non riusciranno a mobilitare anche gli investimenti e le energie dei privati. Sarebbe un errore mortale tornare ad impigrirci, pensando che tanto c’è l’Europa e Draghi che ci pensano. Il ricupero dell’Italia dipende dall’impegno di ciascuno e di tutti e non è certo esagerato dire che questo impegno non può essere inferiore a quello del dopoguerra.

Un altro punto fondamentale e ben conosciuto agli studiosi e operatori seri dello sviluppo ed agli economisti d’impresa è, credere che lo sviluppo possa scaturire solo da fonti finanziarie. Se non si uniscono a competenza, volontà e integrità, fonti finanziare abbondanti, possono fare più male che bene. La storia del nostro Mezzogiorno degli ultimi 70 anni è lì a raccontarci questa grande verità.

4. Sbagliare prospettiva

Sarebbe un grave errore di prospettiva pensare che i fondi del piano europeo (Next Generation EU) siano destinati esclusivamente o prevalentemente a tappare i nostri deficit reali arretrati ed a risarcire i danni da Covid da molti subiti. 

Essi ci devono aiutare a passare in un’altra epoca sotto molti profili: la sanità al primo posto, la scuola al secondo, le energie rinnovabili al terzo, l’amministrazione pubblica al servizio dei cittadini e non per schiacciarli. Questi sono gli obiettivi collettivi fondamentali che dobbiamo perseguire oltre a risarcire i danni di chi ha più sofferto e tappare i buchi del passato.

5. Sottovalutare il rischio del nostro debito pubblico

Dall’Europa arrivano all’Italia copiosi contributi, una grossa parte a debito che accresce inevitabilmente il rapporto debito/PIL che già ante Covid-19 era al 130%. Pur essendo convinti che sia necessario dare una lettura più serena e nuova al tema dei debiti pubblici nazionali, anche in relazione alle nuove linee di pensiero sul tema che si stanno diffondendo in USA sotto il nome di MMT (Modern Monetary Theory) per la quale rimandiamo al libro che suggeriamo nella rubrica “da non perdere” della nostra Newsletter, non possiamo sottovalutarne il rischio.

Se sapremo fare buon uso dei contributi europei e sapremo risanare, almeno in parte, le nostre piaghe bibliche (cose entrambe che dipendono solo da noi) non dobbiamo preoccuparci troppo. Lentamente e ragionevolmente riporteremo il nostro debito pubblico a un livello più sostenibile. Ma se faremo un flop, questo sarà un flop non solo nostro ma della intera politica europea e ci troveremo veramente in un mare di guai. La solidarietà europea ci ha dato una grande mano, ma gli stessi patti che hanno permesso e favorito questa solidarietà ci possono affossare.

6. Sottovalutare la forza delle rendite di posizione delle grandi lobby che le sostengono e delle truppe d’occupazione della malavita organizzata e della malavita politica.

Il sesto grande rischio è che le rendite di posizione che dominano larghi settori della nostra economia e della nostra società, con la loro grande forza economica, politica e corruttrice, riescano ad impedire le innovazioni di sistema che sono così necessarie. 

Questo è, oggi, forse il pericolo maggiore, considerata la debolezza strutturale e culturale del nostro povero sistema politico e del nostro basso livello civico. Sergio Fabbrini, uno dei migliori editorialisti economici del Sole 24 Ore il 7 febbraio 2021 ha scritto: “La frammentazione della politica è l’espressione del particolarismo che caratterizza da tempo la società italiana. Nel nostro Paese, non c’è un gruppo di interesse (neppure uno) che abbia uno sguardo più largo del proprio interesse. Basti ricordare l’esito degli “Stati generali dell’economia” organizzati a Villa Pamphili dal governo Conte II nel giugno dello scorso anno per “progettare il futuro”. Centinaia di associazioni che, per una settimana, si sono succedute ad avanzare richieste particolaristiche, come se l’interesse del paese emergesse dalla loro somma o aggregazione. Da non credere”.

È una visione reale. La stessa Confindustria, rappresentante del potere economico, sul giornale della quale sono state scritte queste giuste parole, io non l’ho mai vista, durante tutta la crisi, assumere una posizione costruttiva nei confronti del Governo e delle esigenze del Paese. Sempre solo pretendere, criticare, rimproverare. E mai dare, mai rinunciare a qualcosa, mai pagare qualche ticket per i propri privilegi. Parlo della Confindustria nazionale non delle Associazioni territoriali più vicine alle imprese. 

Anche qui, come nella politica generale, c’è una frattura tra il mondo delle imprese reali che lavorano e fanno il loro dovere con dignità in qualunque, anche dura, circostanza (e la maggioranza di loro lo ha dimostrato proprio nel corso del durissimo 2020) e la loro rappresentanza politica e burocratica nazionale che, come tutte le rappresentanze politiche e burocratiche, sono impegnate solo a difendere i propri privilegi, a far sì che tutto cambi perché nulla cambi. 

Non è questo un male solo nostro, ma è anche di altri paesi e soprattutto degli USA attuali dove “Le troppe rendite di posizione strangolano il capitalismo USA”. Lo ha recentemente scritto Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015, professore emerito di Economia e affari internazionali presso la Princeton School of Public and International Affairs, uno dei più profondi e liberi economisti americani, che il 2 gennaio 2021 (Il Sole 24 ore) ha scritto: “La fine del mandato del Presidente Donald Trump di certo ridurrà il capitalismo clientelare e il saccheggio del portafoglio pubblico da parte della sua famiglia e dei suoi amici. Ma non servirà ad aggiustare un sistema che non funziona. Il potenziale del capitalismo americano di aumentare l’innovazione e il benessere rimane limitato, ma attualmente i suoi difetti stanno letteralmente togliendo la vita a molti americani. I rent seeker sono, e probabilmente rimarranno, troppo potenti per il bene del Paese.”

7. Incapacità di riorganizzare la macchina politica e istituzionale

Il settimo ed ultimo pericolo è quello di chiedere al governo quello che questo governo e questo capo di governo non possono dare, invece di concentrarci su quello che noi, cittadini, dobbiamo fare per aiutarlo e sostenerlo in quello che può dare.

La sarabanda è già incominciata con manifestazioni grottesche, come quella di chiedere a un europeista di lunga lena, già governatore della Banca europea, salvatore dell’euro in uno dei momenti più drammatici per l’Italia e per l’Europa, un uomo chiamato al governo per disperazione, garante di un patto europeo che lancia un grande piano Marshall del quale l’Italia è importante beneficiario, chiedere a lui di dichiarare che l’euro è reversibile. I nanerottoli ignoranti sono ancora tra noi e sono ancora all’opera. 

Una politica che non sa né governare, né esprimere una classe parlamentare e di governo decente, che non sa formare le alleanze necessarie per formare un governo, non ha diritto di piangere perché al governo arrivano i banchieri. Deve solo ringraziare la Madonna e Mattarella che sia arrivato un banchiere decente, fatto questo quasi miracoloso e che non siano arrivati invece i carri armati. 

Insomma, non possiamo pretendere che Draghi sia diverso da quello che è. Draghi ha dimostrato in varie occasioni decisive, come nella sua formidabile e coraggiosa sfida ai falchi della Banca Centrale tedesca e contro la speculazione finanziaria internazionale che, rispondendo alla chiamata dei nanerottoli sovranisti europei, stava per scardinare l’euro, di essere non solo un bravo banchiere ma un grande politico, anche se di una pasta ben diversa da quella dei nostri partitanti che ci avevano portato a pochi passi dalla catastrofe. 

Per ora possiamo accontentarci. Ma certamente non possiamo pensare che sia lui da solo a risanare tutte le piaghe bibliche italiane. Per fare questo ci vuole un grande impegno di tutta la parte responsabile degli italiani, in tutte le sue articolazioni, in tutti i suoi soggetti intermedi, comprese le organizzazioni dei partiti. 

Oltre a mettere in sicurezza il piano Next Generation, a porre su una base più seria il piano di vaccinazioni e, forse, ad avviare qualche importante riforma, il governo Draghi ci garantisce un po’ di tempo, diciamo un paio d’anni, per sistemare un po’ la sgangherata politica italiana.

Proprio la crisi del Covid-19 ci ha mostrato che, messo con le spalle al muro, il popolo italiano c’è, ha coraggio e disciplina, e capacità innovativa. È una nuova conferma di quanto scrive Vasco Pratolini in chiusura del suo romanzo più famoso, “Cronache di poveri amanti”: “gli italiani non lo sanno ma la loro dote migliore è quella di essere capaci di ricominciare sempre da capo”.

Dobbiamo tutti, uomini e donne, impegnarci non per invocare nuovi privilegi ma per donare la nostra intelligenza e la nostra capacità di fare, la nostra volontà, il nostro amore per rifondare la politica del nostro Paese, per avere un Parlamento più degno, una democrazia più rispettabile, dei partiti seri. Dobbiamo impegnarci subito in questa ricostruzione morale e politica, mentre Draghi sarà concentrato soprattutto sulla ricostruzione economica.

La forza del sistema produttivo italiano, il ruolo centrale della manifattura e dell’agroalimentare

Tempo di lettura 3 min.


Vogliamo soffermarci su qualche dato recente a testimonianza di come la manifattura italiana, costituita principalmente da imprese di medie dimensioni, ma di grande capacità e produttività non abbia nulla da invidiare a quella tedesca, ma anzi in alcuni settori sia anche meglio.

Nell’ultimo anno, a seguito della pandemia Covid-19, il PIL italiano ha perso circa il 7,8%, dopo che nel 2019 aveva registrato un + 1,1% contro un +2,0% del 2018 e + 2,4% nel 2017.

Secondo le ultime stime del Governo si pensa che nel 2021 il PIL nazionale possa crescere del 4,5%, mentre per altre fonti la crescita potrebbe anche essere superiore (+4,7% secondo Prometeia e +4,9% secondo Deutsche Bank). Noi pensiamo che supererà il 5%, ma soprattutto che sarà importante la composizione qualitativa di questa crescita. Oltre ai settori tradizionali assistiamo infatti con interesse alla forte crescita dell’agroalimentare e di riflesso dell’agricoltura specializzata.

La manifattura, che nel corso del 2020 ha registrato un calo del Valore Aggiunto di circa il 7,9%, registra negli ultimi trimestri, a partire da settembre 2020, un’importante ripresa; infatti, secondo i dati Istat di marzo, la crescita è del 10,4% nell’ultimo trimestre gennaio-marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e +34,4% nel solo mese di marzo. L’industria manifatturiera nel suo complesso nel 2020 rappresenta il 16,5% del Valore Aggiunto Nazionale.

Ciò che maggiormente conforta sulla solidità del nostro sistema manifatturiero sono però le esportazioni dove le nostre imprese stanno registrando performance migliori di quelle tedesche e francesi, infatti mentre il nostro export cresce del 9,1% nel mese di marzo, quello tedesco registra un + 7,4% e quello francese addirittura un – 3,9%. 

Il dato sul recupero delle esportazioni in corso è ancor più rilevante se si considera che le esportazioni italiane, per l’effetto del Covid, erano diminuite in misura inferiore (-8,8%) rispetto a quelle della Germania (-9,1%) e della Francia (-16%).

Accanto al manifatturiero segnaliamo con estremo interesse le positive performance del settore agroalimentare italiano inteso come quell’importante parte del sistema economico produttivo che va dalla produzione agricola alla trasformazione e distribuzione di prodotti alimentari, cui va aggiunto anche il settore della produzione dei macchinari di supporto ai vari livelli della filiera.

Anche questo settore, sebbene sia più complicato avere dati che lo rappresentino nel suo insieme essendo distribuito rispetto alle classificazioni statistiche tra agricoltura, settore alimentare e macchinari, sta recuperando con grande vigore. 

Nonostante la flessione in termini di Valore Aggiunto registrata nel 2020 il settore agroalimentare ha consolidato il proprio peso nel quadro economico nazionale, aumentando la propria quota sul totale dal 4,1% al 4,3%.

Anche per il settore agroalimentare le esportazioni sono in controtendenza con andamenti positivi a partire dall’ultimo trimestre 2019, che si sono consolidati, nonostante la pandemia, anche nel 2020 che ha registrato prestazioni migliori di quelle del 2019. Il 2020, primo anno nell’ultimo decennio, ha generato un surplus del saldo commerciale positivo con un avanzo superiore ai 3 miliardi di euro ed il valore medio delle esportazioni italiane è più alto della media europea.

Questi positivi risultati della manifattura e dell’agroalimentare (settori che rappresentano circa il 20% del Pil nazionale) non sono frutto di elementi contingenti o di momenti transitori favorevoli di mercato, ma sono il risultato sia del percorso avviato negli ultimi anni di modernizzazione e consolidamento delle posizioni soprattutto sui mercati internazionali, come risposta strategica alle debolezze del mercato interno, sia del buon lavoro di riorganizzazione e innovazione fatto proprio durante la crisi Covid da quelle buone imprese che, con coraggio e creatività, hanno reagito agli eventi. Sono tante, infatti, le imprese manifatturiere e del settore agroalimentare che oggi sono migliori di quello che erano all’inizio della crisi.

Fonti: Istat, Agrimercati report elaborato da Ismea aprile 2021, The European House Ambrosetti per Forum Food & Beverage 2021

Proverbi riletti per l'impresa

Proseguiamo nel proporre proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa, tratti dal libro di Marco Vitale.
“I proverbi di Calatafimi”, Edizioni Studio Domenicano, 2009
a Pg. 82

Tempo di lettura 2 min.

"Cui fa carni, nun fa robba"

“Chi pensa ad ingrassare,
non accumula”


È un proverbio chiaro che contrappone al concetto di consumo, il concetto di accumulazione, di investimento, di formazione del capitale per poter, attraverso il capitale, realizzare la propria creatività, e quindi il concetto, in ultima analisi, di impresa. George Gilder, nel bellissimo libro Lo spirito dell’impresa, il ruolo dell’imprenditore nello sviluppo economico e nel benessere delle nazioni (1984, ed. it. Longanesi 1985), ci offre il miglior commento dal punto di vista imprenditoriale di questo antico proverbio:

Gli imprenditori comprendono la realtà inesorabile del rischio e del mutamento. Essi iniziano risparmiando, rinunciando al consumo non per creare una ricchezza succedanea, ma per ottenere i mezzi necessari a una vita di rischi e di opportunità produttive. La loro massima aspirazione non è il denaro da sperperare in consumi, ma la libertà e il potere per tradurre in atto le loro idee imprenditoriali.

 

E Rathenau, grande imprenditore tedesco, fondatore della AEG e poi ministro della Repubblica di Weimar, nel 1908 scriveva:

L’oggetto sul quale l’imprenditore accumula il suo lavoro, le sue preoccupazioni, il suo orgoglio, i suoi desideri, è la sua impresa. Si chiami commercio, industria, banca, società di navigazione, teatro o ferrovia. L’impresa gli sta davanti come un essere vivente che attraverso la sua contabilità, la sua organizzazione e le sue ramificazioni, conduce un’esistenza economica indipendente. L’imprenditore non conosce altro scopo all’infuori di quello di ingrandire questa azienda, farne un organismo fiorente e di sicuro avvenire (…).

IN & OUT

Una giornata storica
per l’UE

Il 15 giugno si è completata la prima emissione delle obbligazioni comuni europee. La commissione ha venduto titoli a dieci anni per venti miliardi. La domanda è stata sette volte superiore all’offerta. Si tratta di un evento assolutamente storico che testimonia l’esistenza dell’Europa che dallo scorso anno, attorno all’emergenza pandemia si è ritrovata nella ricerca di soluzioni comuni. Ci auguriamo che questo sia davvero il primo passo verso un’Europa nuova fondata sui principi solidaristici della migliore tradizione europea e che i fondi raccolti da questa emissione, e dalle successive che dovrebbero succedersi, non vengano sprecati, secondo una logica assistenzialista che ha contraddistinto gli interventi nel Mezzogiorno d’Italia, ma siano proficuamente indirizzati verso un serio piano di investimenti e di sviluppo economico e sociale.
 

Trattato internazionale contro tutte le pandemie 

Tempo di lettura 2 min.


Sul Corriere della Sera del marzo scorso è stata pubblicata una proposta a firma di 25 Capi di Stato di tutto il Mondo, tra cui Boris Jonson, Emmanuel Macron, Angela Merkel, Pedro Sanchez per un trattato internazionale contro tutte le pandemie. 

Si prende atto della grande sfida che la comunità mondiale si trova ad affrontare con la pandemia Covid-19 richiamando quanto i leader mondiali fecero dopo le devastazioni delle due guerre mondiali del secolo scorso. All’epoca gli obiettivi erano chiari: creare legami tra i Paesi, allontanare le tentazioni isolazioniste e nazionalisti e gestire le sfide insieme con spirito di solidarietà e cooperazione. Anche oggi si nutrono le stesse speranze.

Questa buona notizia ne contiene però anche una negativa: non c’è alcun italiano tra i firmatari.

A questo link l’articolo citato.

#cambiagesto, la campagna di sensibilizzazione
per un corretto smaltimento dei mozziconi

Tempo di lettura 1 min.


Accogliamo con piacere la notizia, e per questo la diffondiamo con entusiasmo, che il 5 giugno in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente è tornato #cambiagesto, la campagna di sensibilizzazione per un corretto smaltimento dei mozziconi che coinvolge quest’anno 18 città in tutta la Penisola con iniziative di sensibilizzazione al tema.

#cambiagesto mira a stimolare una presa di coscienza collettiva sul tema dell’inquinamento da mozziconi rafforzando il senso di responsabilità individuale e incoraggiando l’adozione di comportamenti virtuosi e sostenibili per l’ambiente e la tutela della biodiversità. I numeri parlano chiaro: è di 800.000 tonnellate il peso dei mozziconi dispersi ogni anno nell’ambiente in tutto il mondo, piccoli rifiuti che, se non gestiti correttamente, possono inquinare l’ecosistema marino e terrestre.  

La campagna prevede il coinvolgimento di centinaia di tabaccherie in tutta Italia dove, oltre alla distribuzione di materiale informativo, verranno messi a disposizione dei fumatori adulti oltre 270.000 portamozziconi tascabili.  

Tutto ciò che favorisce la crescita del senso di responsabilità, individuale e collettivo, nei confronti della tutela del nostro ambiente troverà il nostro sostegno.

Si tratta davvero di incidenti sul lavoro?

Tempo di lettura 1 min.


Nelle scorse settimane abbiamo tutti avuto notizia di gravissimi incidenti sul lavoro. Uno su tutti, che ha particolarmente colpito, è stato quello che ha coinvolto la giovane Luana di 22 anni di Prato. Sono tutte situazioni tragiche che, al giorno d’oggi e in una società industriale avanzata quale quella italiana, sono assolutamente inaccettabili. 

A nostro avviso oggi non è più ammissibile che possano capitare simili tragedie. Nello specifico di Luana, per quanto si è fino ad oggi appreso, sarebbe più giusto parlare di omicidio e non di incidente sul lavoro.

E questa grave considerazione la facciamo alla luce della convinzione che la sicurezza sul lavoro è parte integrante e non marginale della competitività di un’azienda. Lo vediamo e lo testimoniamo con le numerose imprese eccellenti, di successo ed in forte sviluppo che sulla sicurezza non transigono, che la considerano un elemento essenziale ed inderogabile della produttività complessiva aziendale, che hanno tra i KPI strategici i giorni senza infortuni (da quelli meno gravi a quelli più gravi). 

Mettere al centro la sicurezza non è difficile, è doveroso ed è anche molto utile, basta volerlo.

VNZ NEWS

Antares Vision passa al segmento STAR di Borsa Italiana

L’azienda bresciana Antares Vision S.p.A., che opera nell’ambito delle soluzioni che garantiscono la protezione e la tracciabilità dei prodotti nei settori farmaceutico (dove è leader mondiale), beverage, alimentare, cosmetico e nei prodotti confezionati di largo consumo, già quotata dal 2019 presso Borsa Italiana nel segmento AIM, nel mese di maggio è passata al segmento STAR. In fase di collocamento Antares Vision ha raccolto 185,6 mil.€. Il Prof. Marco Vitale è membro del Consiglio di Amministrazione della Società.
 

Contributo decisivo di Vitale-Zane & Co. per il piano di salvataggio del Casinò di Campione

Tempo di lettura 2 min.


Il 15 giugno il piano industriale e finanziario predisposto da Vitale-Zane & Co. per il Casinò di Campione è stato ammesso dal Tribunale di Como, che ha dato il via libera alla riapertura entro fine anno dello storico Casinò, ormai chiuso da quasi tre anni.

Il Tribunale lariano ha infatti ammesso la domanda ed il piano di concordato in continuità del Casinò depositati il 19 aprile. Si tratta di un successo per noi ma soprattutto per la Società. La presentazione del piano di concordato è stata resa possibile anche grazie alla fondamentale risposta e partecipazione degli ex dipendenti. Il piano è basato su una radicale discontinuità strategica, di governance e gestionale rispetto al passato, dove assume un ruolo centrale un rinnovato rapporto con il socio Comune. La Società prevede di riaprire la casa da gioco entro fine anno, Covid permettendo, attraverso la riassunzione iniziale di 174 dipendenti, i quali potranno aumentare negli anni successivi in base all’andamento dei volumi di attività. Con la riapertura del Casinò di Campione, che storicamente rappresenta la principale attività economica del territorio campionese, sarà possibile rivitalizzare il tessuto economico e sociale locale, che da quando è cessata l'attività della casa da gioco si trova in grave difficoltà e sofferenza.

Il Comunicato stampa a questo link.

Vitale-Zane & Co. al Master dell’Università Cattolica di Brescia in "Gestione e comunicazione della sostenibilità"

Il prossimo 2 luglio Stefano Zane terrà un intervento al master in “Gestione e comunicazione della sostenibilità” dal titolo:
“Sostenibilità nelle imprese: il patto generazionale”.
 

DA NON PERDERE

Adriano Olivetti e l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede

In un bell’articolo apparso sulla rivista Intervento nella società di Pietro Sebastiani (Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede) che vi riproponiamo a questo link   http://interventonellasocieta.altervista.org/Intervento4-2020/mobile/index.html#p=30  , si mette in evidenza l’attualità di Adriano Olivetti.
In particolare, emergono due aspetti di significato:

  1. Si sottolinea che in primo luogo Adriano Olivetti era un bravissimo imprenditore;
  2. Si sottolineano i forti legami tra Adriano Olivetti e il pensiero della Dottrina Sociale della Chiesa, un punto importantissimo da pochi conosciuto.

 

Stephanie Kelton,
Il Mito del Deficit

Tempo di lettura 1 min.


Dopo anni di supremazia incontrastata, la teoria economica dominante è oggi seriamente minacciata da una nuova scuola di pensiero che sta rapidamente conquistando il mondo intero, rivoluzionando il nostro modo di concepire la finanza pubblica. Si tratta della cosiddetta “teoria monetaria moderna” o MMT (Modern Monetary Theory). La MMT ci invita a ripensare completamente il funzionamento della finanza pubblica: il bilancio dello Stato non è come quello di una famiglia; gli Stati che dispongono della sovranità monetaria, infatti, sono degli emittenti di valuta – possono, cioè, creare “dal nulla” tutto il denaro che vogliono – e dunque non possono mai “finire i soldi”, né possono essere costretti a fare default sui loro titoli di debito; i deficit pubblici non danneggiano le future generazioni né pregiudicano la crescita a lungo termine; e soprattutto, le politiche sociali non compromettono la sostenibilità fiscale dello Stato. La MMT, in altre parole, ribalta completamente la narrazione che ci è stata ossessivamente propinata in questi anni per giustificare politiche di austerità dai devastanti effetti economici e sociali. E per questo fa così paura ai guardiani dell’ortodossia. Stephanie Kelton – economista statunitense di fama mondiale, consulente economico di Joe Biden e Bernie Sanders, ed ex economista capo presso la minoranza democratica della Commissione bilancio del Senato statunitense – è probabilmente la divulgatrice più nota della MMT. In questo libro Kelton offre un’introduzione semplice e accessibile ai concetti chiave della MMT, mostrandoci come possiamo utilizzarli per costruire una società più giusta e più prospera, passando da una narrazione di scarsità a una di opportunità.

Filosofia ed economia: un'antica alleanza rinnovata

a cura di L. Olivari
INAZ editore
Pag. 116 - 10,00 €

Tempo di lettura 1 min.


È uscito il nuovo libro edito dalla Piccola Biblioteca d’Impresa Inaz “Filosofia ed economia: una antica alleanza rinnovata”. Si tratta della pubblicazione degli atti dell’omonimo convegno tenutosi a settembre 2020, al quale abbiamo partecipato con gli interventi del Prof. Vitale e di Luca Soressi.

Il progetto è nato con l’obiettivo di indagare e rinsaldare il rapporto tra economia e filosofia: si tratta di un rapporto antico ma molto attuale, in ragione della grande necessità di pensiero che si riscontra oggi nella teoria e nella pratica economica, tanto più vista la crescente complessità dei contesti di vita e lavoro. A complessità di scenario, infatti, non si può che rispondere con complessità di pensiero e di competenze disponibili.

Ciascuno dal proprio punto di vista, ma uniti dallo stesso filo conduttore, ne hanno parlato imprenditori, professionisti del mondo economico e dell’impresa, accademici, economisti e filosofi in una ricostruzione corale delle prospettive attuali di questo antico rapporto. Ampio spazio è dedicato inoltre alla descrizione dell’innovativo Master in Competenze Filosofiche per le Decisioni Economiche dell’Università Cattolica di Milano, con cui Vitale Zane &Co. ha una partnership.

Dallo scorso anno lo sosteniamo con una borsa di studio intitolata alla memoria della nostra cara collega Monica Rossetti.

Riportiamo il link al sito web del master, sul quale è possibile anche vedere la registrazione del convegno da cui nasce la pubblicazione:

Vai al link

In my Country

Stati Uniti d'America, 2004
Durata: 103 min.

Tempo di lettura 1 min.


Il giornalista americano del Washington Post Langston Whitfield viene mandato in Sud Africa per eseguire un reportage sulla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, qui conosce la giornalista e poetessa afrikaans Anna Malan. I due seguono insieme i lavori dello straordinario tribunale che contribuì in modo consistente a riconciliare almeno in parte coloro che diversamente non avrebbero mai finito di scontrarsi: durante le sedute le vittime di sevizie e torture perpetrate durante l'Apartheid sono chiamate a raccontare i soprusi subiti, mentre i poliziotti ed i torturatori partecipano alle udienze, confessano i loro crimini e si dichiarano pentiti, ottenendo così l'amnistia. 

Diretto da John Boorman, con Samuel L. Jackson e Juliette Binoche, in My Country è uno dei pochissimi film sull'apartheid in Sudafrica dopo la fine del regime nel 1994, quando l’appena eletto Nelson Mandela, premio Nobel per la Pace e grande conoscitore dell’animo umano affrontò il difficilissimo compito di riappacificare la popolazione bianca con quella nera. Mandela sapeva che privilegiare “i suoi” avrebbe finito col fare del male a tutti e credendo fortemente nell’uguaglianza dei diritti e in una vita giusta per tutti istituì nel 1996 la Commissione che evitò la probabile guerra civile in Sudafrica.

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Elena Gabusi, Domenico Gamarro, Margherita Saldi,
Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
www.vnz.it | info@vnz.it
Copyright © 2021 VitaleZane&Co., All rights reserved.