Newsletter n. 16 - giugno 2022

“In un mercato stagnante la concorrenza è ovviamente più dinamica,
la vita è più difficile, la capacità di innovare (in tutti i sensi) è più importante, l’inerzia intellettuale è più pericolosa, le imprese forti (che non significa necessariamente le imprese grandi) si trovano ancora più avvantaggiate” 
 M.Vitale

Primo Piano

"Lettera ad un amico" * di Marco Vitale

Testo sulla guerra, pubblicato su Odissea, martedì 17 maggio 2022.
 

Tempo di lettura: 13 minuti

Non ho mai scritto niente su questa orrenda e stupida guerra, nonostante abbia ricevuto alcune sollecitazioni a farlo. Forse una riflessione sulle ragioni di questo mio rifiuto può essere di qualche utilità. Interrogandomi a fondo, stimolato dallo sconforto del Tuo messaggio, mi sono reso conto che lo sconforto, che condivido, è dovuto, a sua volta, a molteplici ragioni.

La prima ragione è la partecipazione al dolore di una popolazione innocente martoriata e bombardata senza alcun rispetto umano e senza alcuna ragione comprensibile. In quei bambini, tristi e, pur talora sorridenti, come sono spesso i bambini anche nelle più dure circostanze, mi sono rivisto bambino quando, a otto anni, venivo portato nei rifugi a causa dei primi bombardamenti su Brescia. E pensare che sto concludendo la mia troppo lunga vita nello stesso modo con cui l’ho incominciata, con la guerra che bombarda le città, mi ha dato un senso di vuoto, di inutilità di ogni cosa, anche se, per ora, i bambini nei rifugi non sono ancora i miei nipotini. Ma, per favore, liberiamoci da giudizi superficiali su interi popoli come fai anche tu quando, sulla base della tua esperienza di lavoro, scrivi: “ammetto di aver maturato un giudizio non positivo su quel popolo (ucraino) che non poteva che esprimere la classe dirigente che si ritrova: corrotto, parassitario, mai produttivo e mai disponibile verso gli altri”. Come sai, ho molto girato il mondo, anche in ambienti rurali, poveri, di montagna, oltre che nelle grandi metropoli. Forse ho imparato poco, ma una cosa l’ho certamente imparata: mai ragionare e giudicare per grandi masse, per popoli, per città, per arti e mestieri, per razze. L’origine delle guerre è proprio in questo approccio, che non può non essere fonte di grossolani pregiudizi. Le donne ucraine, ad esempio, le abbiamo viste all’opera nelle nostre città, come aiuto per la casa e come badanti. E le abbiamo viste, spesso, come donne forti, brave, oneste, per bene, di grande utilità per tante nostre famiglie, pronte a sacrificarsi per anni per mandare i risparmi del loro lavoro in Ucraina per sostenere i vecchi genitori o gli studi dei giovani figli. Lasciamo, dunque, a Putin e a quelli come lui, razzisti oltre che autentici fascisti, questo modo di ragionare.

La seconda ragione dello sconforto è osservare la “scomparsa della ragione”, come mi ha detto in questi giorni un artista italiano, importante e intelligente disegnatore. La ragione è scomparsa nei governanti (certamente in Putin e nella sua cerchia ma anche in Biden e nei suoi) ma anche in tanta parte della classe dirigente a Est ed a Ovest, e soprattutto negli operatori della comunicazione. Limitandomi all’Italia, l’opinionismo è, come ha detto giustamente De Rita, la malattia più grave e scoraggiante in questi giorni.  Chiunque, pur che sia rigorosamente ignorante di quello su cui è chiamato a discutere, si sente in dovere di sdottorare su ogni cosa, iniettando nella nostra comunità già scossa ulteriore ignoranza, veleni, confusione. Con questa mia nota non mi contraddico perché questa è solo uno scambio di idee e sentimenti tra amici, una semplice ricerca del perché della nostra infinita tristezza, senza pretesa di insegnare niente a nessuno. Onestamente non pensavo che tanti commentatori politici italiani, sia televisivi che della stampa, potessero cadere ad un livello così basso di servilismo. Ora abbiamo preso le corrette misure di questo drammatico imbarbarimento. Il re è veramente nudo. Importante è saperlo. Solo da pochissimi giorni si colgono, non dagli “opinionisti” (se possibile, peggiori e più asfissianti dei virologi) ma da alcuni fatti, barlumi di ritorno alla ragione. Metto su questo piano il fatto che i conservatori inglesi di quell’irresponsabile e pericolosissimo Boris Johnson hanno perduto, alla grande, il controllo del quartiere di Westminster, dove ci sono il Parlamento, Downing Street e My Fair, la loro storica roccaforte. “È un risultato epocale” dice Tony Travers, docente di politica alla London School of Economics; segnale che gli elettori inglesi incominciano a muoversi. Metto qui la importante e lucidissima intervista che Carlo De Benedetti ha rilasciato al Corriere della Sera (8 maggio 2022) dal titolo: “L’Europa non ha interesse a fare la guerra a Putin. Non deve seguire Biden”. È quello che pensa la maggioranza degli europei liberi e che non hanno perso la ragione. Ma è importante che lo dica finalmente un imprenditore, già protagonista della vita economica. E che lo dica su un giornale che, sino ad ora, si è, in gran parte, caratterizzato come puro megafono e divulgatore del verbo di Biden, è ancora più importante. E ci è voluto un autorevole generale, come il generale Marco Bertolini, per dire a voce alta: il segretario generale della Nato, che è un’organizzazione sovranazionale, non può parlare per conto dei singoli paesi e ancor meno può parlare a nome dell’Ucraina, che non è parte della Nato. Bertolini ha detto. “Smettiamolo di stare zitti. La Nato non può decidere per l’Ucraina”. Questa presa di posizione chiara e onesta da uno del mestiere è un piccolo confortante lampo di luce. Ma questa dignitosa risposta alla sgangherata dichiarazione del segretario della Nato, Jens Stoltenberg (che aveva detto: non accetteremo mai una rinuncia alla Crimea) non doveva essere pronunciata dal presidente della Commissione UE o dal presidente del Parlamento Europeo o dal cancelliere tedesco o dal presidente della Francia, o dal presidente del Consiglio italiano o da tutti questi insieme? E non è proprio l’assenza di questa risposta dell’Europa una delle maggiori cause dello sconforto? Un grande europeo, filosofo, uomo di cultura, educatore, come Romano Guardini, nel 1962, in occasione del conferimento del Praemium Erasmianum, in una relazione bellissima dal titolo “Europa, compito e destino” ha detto parole che vorrei scolpite sulle rocce delle Alpi e degli Urali:

Quanto sia grande la potenza, si presenta alla coscienza massimamente là dove essa distrugge. Noi uomini d’oggi abbiamo vissuto l’avvenimento, in cui la possibilità di distruzione divenne pienamente patente, quando fu lanciata la bomba atomica ad Hiroshima. Avviene in realtà sempre nella storia che le nuove realtà siano dapprima quasi amorfe, solamente presagite, avvertite. Poi avviene qualcosa, per cui ciò che prima era indeterminato prende forma, diventa esprimibile. Ciò è avvenuto con la bomba atomica. Il nostro quadro esistenziale è d’ora in avanti quello dell’uomo, che dispone di questa bomba e con essa può in certa misura distruggere sé stesso, cosa che prima non si sarebbe potuta pensare”.

 “La potenza è un fenomeno che ha scosso l’uomo antico. «Si danno molte cose spaventevoli, ma nessuna più spaventevole dell’uomo», dice il coro nell’Antigone di Sofocle. La potenza dell’uomo è qualcosa di ben diverso dall’energia della natura o dalle forze degli animali. Le energie della natura possono essere enormi, ma esse corrono nella necessità assoluta delle loro leggi e possono essere esattamente calcolate. La forza degli animali è già diversa; non è determinabile matematicamente, perché è vita e gli atti vitali sorgono da un punto originario che alla fine non è esprimibile razionalmente. Nell’uomo poi si aggiunge qualcosa di completamente nuovo. La sua azione forse non è semplicemente più forte di quella delle energie della natura - in generale rimane addirittura al di sotto, persino quando è potenziata dagli strumenti della chimica, fisica e tecnica fino a prestazioni sempre più grandi. Ma nell’uomo la energia, la propria, quella che prende dalla natura, entrano nel campo della libertà. E la libertà, nonostante tutto ciò che pensa il determinismo meccanicistico, è pure appunto libertà, cioè sovranità di decisione. Credo di non giudicare ingiustamente, se penso che il problema non sia stato ancora visto in tutta la sua serietà, anzi nemmeno affrontato. Ma chi è chiamato a porlo e ad avvicinarsi ad una soluzione?”

“Non sembra che sia l’America, come continente, quella a cui è affidato questo compito. La storia di questa grande terra è ancora troppo breve per questo; essa è cominciata insieme col sorgere della scienza e della tecnica moderna. Inoltre, il suo orientamento spirituale - se è permesso un giudizio così generale - è ancora in ampia misura legato troppo strettamente alla fede in un progresso universale e sicuro”.

“Neppure l’Asia, credo, lo sarà. Certo la sua storia è antichissima, ma essa sembra separarsi da questo passato e precipitarsi sulle nuove possibilità con una sollecitudine di impressionante rapidità. Certamente è prematuro parlare dell'Africa in questo contesto. Frattanto il suo incontro con scienza e tecnica sembra piuttosto creare, nel senso di una genuina cultura, confusione, che portare promozione e avanzamento. Credo che qui ci sia un compito che è affidato particolarmente all'Europa. Richiamiamoci al fatto che la sua storia, prolungata per oltre tremila anni, conduce con un andamento ininterrotto fino al più recente sviluppo di scienza e tecnica. Essa non ci si è gettata dentro con un salto, ma l'ha prodotta, e così ha avuto anche il tempo per abituarvisi. Ma, di più e di maggiore importanza: essa ha avuto tempo per perdere le illusioni. Non sbaglio certo se penso che all'Europa autentica è estraneo l'ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tanto di irrecuperabile; è stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell'umana esistenza. Nella sua coscienza c'è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall'Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. Essa ne sa troppo. Perciò io credo che il compito affidato all'Europa - compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all'essenziale - sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l'uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà. L'Europa è vecchia. Prima sembrava che il carattere della vecchiaia fosse marcato più fortemente sul volto dell'Asia - una volta, quando ancora si parlava della sua - intemporalità. Oggi essa sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere ad una nuova gioventù, certo grandiosa, ma anche pericolosa. L'Europa ha creato l'età moderna, ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell'accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà anche questo - ma nel domare questa potenza”.

L’Europa di cui parla Guardini ancora non c’è, neppure oggi. Eppure, c’è oggi già molto di più di quello che c’era al tempo di Guardini e ciò è di conforto. E la speranza è che questa orrenda, stupida e feroce guerra, che è indubbiamente guerra di Putin e del suo entourage, ma non solo sue, facendoci fare un salto indietro di duecento anni, possa alla fine, portare a una forte accelerazione verso un’Europa che sappia rispondere alla sfida alla quale la storia la chiama. Tutta l’Europa, come l’avevano sognata De Gaulle e Don Sturzo, un’Europa portatrice di civiltà e quindi di pace e non di potenza e quindi di guerra.

La terza ragione dello sconforto è vedere che si continua a giocare con la storia e con le guerre del passato non per affermare: mai più queste infamie ma, piuttosto per cercare alibi e giustificazioni, per ritornare indietro. Tu hai visto molto da vicino le infamie americane della guerra irachena. Ma è questo un buon motivo perché Putin o altri facciano lo stesso? Questa domanda si può riferire a tutte le guerre americane degli ultimi decenni a partire dalla guerra del Vietnam, la più infame di tutte come ci ricorda il celebre scatto del 1972 di Nick Con Gut della bambina che fugge nuda dal bombardamento  (proprio in questi giorni il fotografo, oggi 71 anni, e la bambina Kim Phūc, oggi 59 anni, sono a Milano per ricordare quello scatto che contribuì a fermare la guerra, dato che Nixon stesso fu impressionato e, per dirci, con dolce fermezza: mai più queste infamie). Allora ricordiamo queste cose per non farle più o solo per dire: le hanno fatte anche gli americani e quindi le può fare anche Putin? Negli ultimi mesi questo gioco alla ricerca dell’alibi per l’irresponsabilità è stato fatto da molti. L’attacco alla Libia è stato infame? Sì. La guerra in Afghanistan è stata infame? Sì. La guerra in Iraq è stata infame? Sì. La guerra in Vietnam è stata infame? Sì. Qualcuna di queste guerre è stata utile? No. Ed allora perché vogliamo rifare simili guerre americane che non per nulla le hanno perse tutte, anche perché erano guerre stupide? Nessuna di queste guerre o di altre dello stesso tipo può essere utilizzata come alibi per giustificare altre simili infamità da parte di Putin o da altri. Il mondo sta, con fatica, liberandosi dalla guerra come necessità della società umana. L’aggressione all’Ucraina è una enorme infamità senza se e senza ma. E come le altre guerre americane citate è un grande errore, in questo caso, anche per la Russia, come Putin ha, forse, iniziato a capire, come sembra da qualche piccolo segnale proprio nel suo discorso del 9 maggio.

Non illudiamoci. La soluzione sarà lunga e difficile, anche se le possibilità di un onorevole compromesso appaiono chiare e possibili. Ma per andare in questa direzione è necessario che l’Europa prenda le distanze dalla guerra  dell’America, dai perversi obiettivi della Nato e dell’America e trovi una sua strada nella direzione indicata per l’Europa da Romano Guardini nel 1962, ma ancora prima, per tutti, in due saggi formidabili del 1950 e 1951: La Fine dell’Epoca Moderna e Il Potere, (Morcelliana, 1984), nei quali Guardini illustra che l’esplosione della potenza tecnologica accompagna l’uomo in un’epoca nuova per la quale non c’è ancora un nome ma nella quale il punto centrale sarà nell’imparare a gestire la potenza: “Il problema centrale attorno a cui dovrà appoggiarsi il lavoro della cultura futura e dalla cui selezione dipenderà non solo il benessere o la miseria, ma la vita civile morale, è la potenza. Non il suo aumento ché questo avviene da sé, ma la via di domarla e farne un retto uso”.

La guerra in corso in Ucraina ci pone di fronte a questo dilemma assoluto con grande chiarezza. Se le useremo in modo costruttivo e consapevole, le sofferenze del popolo ucraino non saranno state vane e le armi americane, pur indispensabili per far fallire l’anacronistica aggressione russa (come furono fondamentali per la vittoria sovietica sui nazisti di Hitler) verranno riposte nella auspicata prospettiva di un accordo generale di disarmo nel quadro di un nuovo assetto internazionale che ponga al centro le grandi sfide cui le nuove generazioni si trovano di fronte: fronteggiare le nuove pandemie, liberare quelle parti del mondo che ancora ne soffrono da fame, sete e miseria, mutamenti energetici, sovrappopolazione in certe zone e super-invecchiamenti in altre con conseguenti immigrazioni.  Per fronteggiare tutte queste sfide sarà necessario un accordo generale per il disarmo per indirizzare verso obiettivi di vita almeno parte delle enormi risorse attualmente utilizzate per le armi e quindi per fini di morte. E se un nuovo assetto di pace riuscirà a prendere corpo, non vi è dubbio non solo che l’interesse dell’Europa non è quello di farsi trascinare nella guerra di Biden, ma anzi di avere un rapporto collaborativo con la Russia che sopravviverà al putinismo.

Caro Lino, ora che per rispondere alla tua nota del 2 maggio 2022, ho dovuto riflettere a lungo, forse sono un po’ meno sconfortato. Ai pochi segnali italiani di resilienza ne aggiungo uno dalla sfilata nella Piazza Rossa. Ad un certo punto Putin è sceso per sfilare insieme alle mamme che avanzavano portando le fotografie dei loro figli caduti in guerra. Esperti mi dicono che non era mai successo prima. È un segnale piccolo piccolo, forse un imbroglio, forse solo propaganda. Ma la disciplina dell’analisi aziendale ci ha insegnato di prestare sempre attenzione ai segnali piccoli e prenderli, quando sono positivi, come segnali di speranza senza farli affondare nello scetticismo.

Per l’Italia non so che dirti, se non augurare che, rapidamente si ripristini una democrazia piena, rispettosa di tutta la nostra Costituzione, e con un Parlamento che ritorni a fare il Parlamento. Il Parlamento, cuore della democrazia, per quanto scassato e umiliato come il nostro, è sempre meglio di un banchiere in pensione, che vuol fare il Putin de’ noantri.

Un abbraccio tra sgomenti.

Marco

[Milano, 10 maggio 2022]

*L’amico è Lino Cardarelli (Parma 1934). È stato amministratore delegato del Gruppo Montedison negli anni Ottanta. Poi ha rivestito responsabilità di vertice nel Gruppo BNL, in Bankers Trust, in Legler e in altri grandi gruppi industriali. È stato successivamente Segretario generale ad interim nella fase di costituzione del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti dal 2001 al 2003, viene poi chiamato ai vertici del Project Management Office, la struttura responsabile a Baghdad dell’avvio del progetto di ricostruzione dell’Iraq, di cui coordina anche la Task Force in Italia fino al 2010. È stato inoltre segretario generale vicario dell’Unione per il Mediterraneo dal 2011 al 2014. Ha scritto recentemente un libro intitolato: Dalla Montedison a Baghdad, Edizioni Guerini e Associati.

Tempi difficili, impresa e imprenditore

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Solo tre anni fa quando parlavamo della complessità che le imprese dovevano affrontare e di come si dovessero perciò attrezzare, si parlava di sviluppo esponenziale dell’innovazione tecnologica e digitale in particolare, di convergenza delle tecnologie, di intensità delle innovazioni e di un mondo sempre più piccolo. Tutto ciò ci portava a ragionare sul cambiamento culturale che la rivoluzione digitale (la c.d. IV rivoluzione industriale) richiedeva. In pochissimo tempo la realtà quotidiana si è ulteriormente infittita. 

Il 2020 ci ha portato il Covid ed il post Covid con i conseguenti effetti sui sistemi sanitari e sui conti pubblici nazionali ma anche, e forse soprattutto, con gli effetti sulle persone e sul loro atteggiamento verso il lavoro e la vita in generale (il tema dello smart working in tal senso è solo la punta dell’iceberg) ed i riflessi sull’organizzazione del lavoro e sui modelli di consumo. 

Dagli ultimi mesi del 2021 dobbiamo fare i conti con un’inflazione (per altro prevedibile e sui cui noi avevamo per tempo messo in allarme) che non si vedeva da decenni, con la congestione delle catene globali di fornitura, con lo shortage delle materie prime e la necessaria ricomposizione delle filiere di approvvigionamento.

Nel 2022 è arrivata la guerra, con l’orrore che la stessa porta con sé, e con le relative problematiche sulle materie prime, energia in testa, e geopolitiche, aspetto questo che da più parti e per troppo tempo è stato sottovalutato.

È ormai evidente la fine dell’iper-globalizzazione e l’avvio inesorabile del percorso inverso della deglobalizzazione.

Si tratta di situazioni ed eventi che, seppur temporanei e transitori, determinano però effetti strutturali di profonda e duratura portata in termini economici, sociali produttivi e finanziari. Ci auguriamo, evidentemente, che la guerra in corso, ma soprattutto la propensione alla guerra, che pare caratterizzi la nostra attuale epoca, sia davvero transitoria, ancorché non si vedano ancora segnali in tal senso.

Il modello di mondo e di vita che la IV rivoluzione industriale sta componendo sta subendo forti accelerazioni dagli eventi degli ultimi anni. Basti pensare agli effetti che il Covid ha avuto sullo stile di vita e sulle modalità di consumo, e alla ricomposizione geopolitica del mondo a seguito della guerra che muterà la struttura degli scambi commerciali e delle catene globali di approvvigionamento. Il modello Industry 4.0 sta evolvendo con grande velocità verso il 5.0, un nuovo modello di industria e di società dove l’obiettivo della rivoluzione tecnologica (intelligenza artificiale, big data, cobot le macchine collaborative) non è più solo l’aumento della produttività, ma i benefici sociali ed ambientali che si possono ricavare.

Se nel 2019 ritenevamo complesso lo scenario oggi possiamo affermare che è diventato iper complesso.

Spesso si abusa del termine complesso, quasi che una cosa complessa debba per forza essere ingestibile e quindi ci sollevi dalla responsabilità di affrontarla. Ciò che invece vogliamo affermare è che la complessità non deve essere un alibi per non affrontare la situazione per quella che è. 

Chi si occupa di impresa, a vario titolo, ha la responsabilità di trovare la soluzione ad una situazione difficile, complicata o complessa che sia.

Non si può scappare, non ci si può nascondere, non si può sospendere l’attività in attesa di scenari più chiari, definiti o facili. Si deve navigare nelle acque che il tempo di oggi ci fa trovare. Non abbiamo scelta.

Oggi più che mai l’impresa deve aver chiaro dove si trova, come si trova, quali sono i suoi punti forza e quali di debolezza, quelli pre-esistenti alle attuali vicende e quelli che invece sono sorti a seguito di eventi recenti esterni. Deve essere chiaro se e come gli eventi esterni, sia quelli di natura tecnologica, inflazionistica, pandemica o geopolitica, influiscano e modifichino i punti di forza e di debolezza dell’impresa.

L’impresa deve perciò essere riletta alla luce dei nuovi scenari che oggi sono solo parzialmente noti. Tutti gli elementi che costituiscono il modello di business, la Formula Imprenditoriale, devono essere messi in discussione, riletti alla luce del nuovo contesto: dalla tecnologia ai prodotti, dall’organizzazione alle competenze a disposizione e a quelle necessarie che devono essere acquisite. 

Serve grande umiltà per riprogettare una nuova fase aziendale sia essa di sviluppo che di sopravvivenza. Molte imprese oggi si trovano di fronte alla necessità di cambiare non per svilupparsi ma per sopravvivere. La sopravvivenza di oggi come premessa dello sviluppo di domani. Lo vediamo in molte storie aziendali che il successo deriva dal fatto di essersi fatti trovare adeguati e pronti nei momenti di crisi. Ciò è possibile soprattutto se si è affrontato il tema del cambiamento e del rinnovamento quando le cose andavano bene, quando cioè si ha la possibilità di fare scelte strategiche. Infatti, quando un’impresa è in crisi le sue scelte sono quasi sempre obbligate, a partire da quella di affrontare seriamente e con consapevolezza la crisi stessa. 

L’impresa non è un soggetto immutabile e stabile, deve continuamente adeguarsi alle sollecitazioni, positive o negative che siano, del mercato, ai cambiamenti della tecnologia, al tempo che passa per chi la gestisce. L’impresa è alla continua ricerca del suo migliore equilibrio con le variabili esterne ed interne che influiscono sul suo essere e sul suo operare.

In questo contesto è la qualità del management che fa la differenza e ciò a prescindere che sia di estrazione familiare o professionale. Anzi quando il ruolo di manager si sovrappone a quello di imprenditore sono richieste qualità superiori perché inevitabilmente, prima o poi, i due ruoli possono andare in conflitto, ed in questo caso la soluzione è sempre quella di porre al centro l’impresa ed il suo bene.

La professionalità è una precisa responsabilità imprenditoriale, soprattutto nei momenti difficili quali quelli attuali, poiché l’impresa ha un ruolo ben preciso e di rilievo nelle dinamiche di sviluppo delle nostre comunità e ciò è tanto più vero in Italia dove l’impresa è diffusa e di dimensioni più ridotte che in altri paesi, ma non per questo meno significative in termini di contributo allo sviluppo del Paese.

Il ruolo dell’impresa deve essere preservato e valorizzato dall’imprenditore e dai manager che la dirigono nella consapevolezza che sono gestori pro-tempore, e che quindi devono aver ben chiaro che l’obiettivo della continuità è cruciale e che continuità non è sinonimo di sopravvivenza, ma è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo, che è e rimane il primo vero obiettivo dell’impresa.

Come ha scritto Druker (1) :” le imprese (…) sono organi della società. Esse non sono fine a sé stesse, ma esistono per svolgere una determinata funzione sociale (…). Esse sono strumenti per assolvere fini che le trascendono”

Quindi l’imprenditore deve farsi carico di questa responsabilità, deve farsi trovare pronto, perché questo è il suo compito. L’impresa, che quasi sempre nasce come iniziativa dalla forte caratteristica personale incentrata sulla figura imprenditoriale, deve poter evolvere, adeguarsi ai tempi, organizzarsi per i tempi che corrono, deve poter avere gli strumenti per comprendere e gestire la realtà che è in continua evoluzione. 

Mai come in questi giorni ci accorgiamo quanto importanti siano le conoscenze e gli strumenti di analisi e le metodologie di management utili per leggere i mercati, capire l’evoluzione dei gusti e delle abitudini dei consumatori, adeguare le reti commerciali che diventano sempre più digitali, capire le dinamiche dei costi di produzione (che sono sempre più costi specifici per cliente) per formare i prezzi di vendita adeguati, avere informazioni gestionali necessarie (e solo quelle) in tempi utili per prendere le corrette decisioni.

Buona gestione, quindi, è quella di affrontare in modo preparato e con gli strumenti adeguati, il contesto in cui opera l’impresa, tanto più se lo stesso è complesso, difficile ed in veloce mutamento. Oggi gli strumenti e le metodologie sono di facile reperimento ciò che serve davvero è la consapevolezza del ruolo che si è chiamati a svolgere.

Nel 1458 Benedetto Cotrugli scrisse il “Libro dell’Arte della Mercatura” (su cui avremo modo di tornare nelle nostre prossime Newsletter), il primo libro che legittima e definisce la natura e la funzione dell’attività d’impresa (perfettamente collimante con la definizione di Druker sopra citata). Nel descrivere la figura del mercante, oggi diciamo imprenditore, dice che deve essere uomo d’azione ma anche di studio, deve sapere “tutto quello che può sapere un homo” e deve essere addestrato “a ricordare delle cose passate, considerare le presenti, prevedere le future”.

Ecco che con poche parole, di oltre 5 secoli fa, è possibile sintetizzare ciò che si richiede all’imprenditore, soprattutto in questi tempi difficili.


1. P.F. Drucker, Manuale di Management, Etas Libri, Milano 1978

Banca Popolare di Sondrio:
vittoria popolare alla prima assemblea da S.p.A.

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Il 30 aprile si è tenuta la prima assemblea della Banca Popolare di Sondrio nella sua nuova veste giuridica di Società per Azioni, che è stata l’occasione di verificare quanto, anche nella nuova forma, lo spirito popolare che ne ha sempre animato valori, azione e Governance, rappresenti ancora una caratteristica fondamentale della Banca, in grado di ispirare e raccogliere la maggioranza dei soci.

L’Assemblea prevedeva infatti il rinnovo di un terzo del Consiglio di Amministrazione (portando in votazione anche il rinnovo del nome del Presidente Francesco Venosta).

Con l’occasione, durante l’Assemblea si è consumato lo scontro tra due liste, che ha rappresentato lo scontro tra due diverse visioni e approcci di gestione della Banca: da un lato la lista proposta dal Consiglio uscente, in ottica di continuità, dall’altro la lista proposta da Assogestioni, portavoce dei fondi d’investimento che sono soci di capitale della Banca S.p.A. e che premevano per una ricomposizione del Consiglio, facilmente prodromica ad un cambio di passo nelle strategie della Banca.

Con la vittoria della lista proposta dal Consiglio uscente, l’esito ha manifestato una volta di più il profondo attaccamento della base sociale della Banca a principi, valori fondanti e tradizionale modus operandi della stessa. Hanno infatti votato a favore della continuità il 92,4% dei soci votanti (che hanno rappresentato il 52,94% del capitale sociale che ha partecipato al voto e il 25,57% del capitale sociale complessivo).

Contro di loro, ben 225 fondi, nazionali ed internazionali, hanno approfittato dell’occasione per sostenere la loro lista alternativa, realizzando, tramite le deleghe conferite ad Assogestioni, un vero e proprio attacco all’autonomia della banca.

Per quanto la quota di capitale raccolta dai fondi (pari al 22,57%) sia stata consistente, il loro attacco è stato sventato e la lista della continuità ha prevalso.

In questa grande operazione di difesa ha giocato certamente il voto espresso da Unipol ma anche e soprattutto l’apporto dei singoli piccoli azionisti: i voti di Unipol (la cui quota vale il 9,5% del capitale) non sarebbero bastati per contrastare l’azione dei fondi.

Riportiamo sul tema:

Proverbi riletti per l'impresa

Proseguiamo con i proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa.
Questa volta suggeriamo due proverbi siciliani tratti dal libro di Marco Vitale
“I proverbi di Calatafimi”, pag. 116-117-118, Edizioni Studio Domenicano, 2009.

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Risparmia il vino quando il tino è pieno.

 

Risparmia la farina quando la borsa è piena.
Quando si vede il fondo
non serve a niente risparmiare.

Ho coltivato a lungo la seguente abitudine. Quando un’impresa cliente va molto bene, per parecchio tempo, quasi alimentando la sensazione di andare troppo bene rispetto alla sua forza intrinseca e oggettiva, sollecito un incontro del gruppo dirigente di vertice, per dibattere i seguenti temi: da dove vengono in prossimi pericoli? Quali sbagli stiamo facendo? Quali punti di debolezza dobbiamo curare? Come possiamo consolidare i nostri punti di forza?

Non sapevo che, nel coltivare questa pratica professionale, stavo applicando lo spirito dei due proverbi dedicati alla previdenza e risparmio nella buona fortuna. Quante imprese nella buona stagione smettono di pensare al futuro o, meglio, vedono il futuro come una continua progressione geometrica del buon andamento odierno. Gran parte della gravissima crisi finanziaria e bancaria che stiamo vivendo è dovuta a questa spensieratezza. Allora si pagano dividendi troppo alti; non si investe più sul futuro; non si approfitta del buon andamento per rafforzare la squadra, per inserire giovani di valore un po’ in eccesso rispetto alle strette necessità; si portano i compensi del gruppo di vertice a livelli non accettabili; si lasciano esplodere le spese generali e di rappresentanza. 

E quando, tardi, ci si risveglia e si riscoprono tutte le cose da correggere, ci si accorge che Quannu lu fannu pari nun servi a nenti lu sparagnari. È dunque nel tempo buono, nel tempo dell’abbondanza, quando a tina è china e la coffa è china che bisogna prepararsi a migliorare la casa. Come disse John F. Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti: «The time to repair the roof is when the sun is shining» (il tempo giusto per riparare il tetto è quando brilla il sole).

Notizie IN

Dallo sbarco di 20.000 albanesi sono nate in Puglia 1.300 PMI

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Nel 1991 le banchine di Bari venivano invase da flussi di immigrati provenienti dall’Albania. Trent’anni dopo, le camere di commercio hanno fotografato la straordinaria storia di integrazione collettiva che queste persone hanno vissuto, come ha riportato il Sole 24 Ore il 7 agosto 2021: “trent’anni dopo il loro arrivo, le storie dei quasi 18.000 disperati della Vlora e di quelli che sarebbero arrivati anche dopo sono storie di tantissimi albanesi che, pur stanchi, impauriti, affamati e in fuga dalla dittatura e dalla miseria, hanno trovato qui un humus fertile per la loro integrazione”. 

Da questa integrazione è risultato “un reticolo di imprese piccole, anche piccolissime, costituite da quei profughi e dalla generazione successiva e tutte, o quasi tutte, attive soprattutto nelle costruzioni, nella ristorazione, in agricoltura, nel commercio e servizi. Quegli albanesi sono divenuti dunque molto altro.” 

Secondo i dati Unioncamere in Puglia si contano a tutto il secondo trimestre 2021, ben 1.333 imprese registrate nelle camere di commercio pugliesi, tra le quali prevalgono quelle di costruzioni di edifici (125) e lavori di costruzione specializzati (331) come per la piccola edilizia e le ristrutturazioni di muretti a secco e trulli in pietra. Seguono commercio (223), imprese agricole (102), poi servizi di ristorazione (112). “E tra i servizi cresce anche il peso di quelli alla persona, quelli di accoglienza come nel caso di Klodiana Cuka, ventenne partita da Durazzo, esperta di immigrazione e mediazione culturale, che guida una impresa sociale del terzo settore (…) arrivata in Puglia con un contratto da colf, e poi laureatasi a Lecce in lingue straniere, ha fondato Integra Onlus e fa così quello che dice di tutti gli albanesi arrivati in Puglia: Sono venuti qui perché sanno di trovare casa, lavoro e possono pure creare impresa”.  Oltre a Klodiana le storie sono tante: ci sono “il grossista di bomboniere al Baricentro di Casamassima, nel barese; il commerciante di marmi a Trani, nella Bat; la ristoratrice salentina che si sente a casa; il costruttore di trulli in pietra con volta a stella”. Questo humus fertile è stato certamente favorito dai rapporti commerciali secolari della Puglia con l’Albania, primo partner per l’interscambio commerciale. Ma soprattutto, per la sua realizzazione, è stato determinante l’approccio all’integrazione che così Gentiana Mburini, console generale albanese in Bari, ha commentato: “Oggi la comunità albanese viene considerata come un valore aggiunto e parte attiva della società. In Puglia tutto questo non sarebbe stato realizzabile se la nostra comunità non avesse saputo integrarsi nella società italiana, dimostrando con umiltà, impegno e determinazione di poter contribuire al suo sviluppo economico”.

CDP finanzia lo sviluppo sostenibile di LU-VE Group
a tassi più bassi se crescono gli organici.

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Uboldo (Varese), 31 maggio 2022 – Investire in nuove tecnologie all’avanguardia per ridurre l’impatto sull’ambiente e incrementare i livelli occupazionali in Italia. Questo il duplice obiettivo dell’accordo di finanziamento da 40 milioni di euro siglato tra Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e LU-VE Group finalizzato a sostenere la crescita della multinazionale varesina, quotata al mercato Euronext Milan e terzo operatore al mondo nel settore degli scambiatori di calore ad aria.

Quello concesso all’azienda lombarda, tra l’altro, è il primo finanziamento perfezionato da CDP in cui è previsto un impegno da parte della società ad aumentare i livelli occupazionali in Italia, coerentemente con i propri obiettivi ESG. Grazie a una formula finanziaria innovativa l’accordo prevede, in linea con i principi del Piano Strategico 2022-2024 di CDP, che al raggiungimento di tale obiettivo verrà corrisposto all’azienda un beneficio in termini di riduzione del costo di finanziamento.

Con le risorse messe a disposizione da CDP, LU-VE Group proseguirà nell’attivazione di rilevanti investimenti previsti dal Piano Industriale 2022-2023, con particolare attenzione alla crescita sostenibile sul mercato nazionale ed estero. A questo si aggiunge la ricerca di soluzioni tecnologiche all’avanguardia, come per esempio il progressivo impiego di fluidi refrigeranti naturali al posto degli idrofluorocarburi, con il conseguente beneficio di azzerare o ridurre drasticamente gli impatti negativi sull’ambiente, rispondendo così anche alle esigenze green dei propri clienti.

LU-VE Group ha registrato nel 2021 un fatturato complessivo di oltre 490 milioni, in crescita del 22,6% rispetto al 2020, con un EBITDA di 60,8 milioni (+34,6%), e conta più di 4.400 risorse tra occupazione diretta e indiretta. Con una forte spinta all'internazionalizzazione, il Gruppo opera in tutto il mondo, grazie a una fitta rete di stabilimenti in Europa, Cina, India e Stati Uniti.

Il mea culpa di Francoforte, previsioni sbagliate.

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Janet Yellen, Segretario al Tesoro USA ed Ex Presidente della Federal Reserve, ha ammesso di aver sbagliato sull’inflazione, non avendo “visto” il persistente aumento dei prezzi al consumo USA e quindi avendo ritenuto, nel 2021, limitato il rischio di un’inflazione duratura. “Shocks grandi e non prevedibili hanno spinto i prezzi dell’energia e degli alimentari, strozzature nell’offerta hanno colpito la nostra economia. Al tempo non l’ho pienamente capito, ma lo riconosciamo ora”.

Il mea culpa di Yellen arriva, peraltro, poco dopo il confiteor già recitato sullo stesso tema dalla BCE nel suo bollettino economico pubblicato il 28 aprile 2022. 

Nel riquadro del bollettino intitolato “A cosa si devono i recenti errori nelle proiezioni di inflazione formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE?” gli economisti Chanhad, Hofmann-Drahonsky, Meunier, Page e Tirpàk, hanno ricostruito le motivazioni della “notevole sottostima del forte rialzo dell’inflazione”.  Tale “sottostima dell’inflazione nell’area euro per il primo trimestre 2022, nelle proiezioni formulate dagli esperti di Eurosistema e BCE, ha rappresentato l’errore a un trimestre più rilevante mai registrato sin dalle prime proiezioni formulate dagli esperti nel 1998, con uno scarto di 2 punti percentuali tra il dato rilevato e la proiezione di dicembre 2021”.

La BCE sottolinea di non essere stata l’unica ad aver sottostimato l’inflazione nel periodo Covid e della guerra in Ucraina, avendo emesso previsioni di simile tenore Commissione Europea, OCSE, previsori privati, Federal Reserve e Bank of England. Ciò detto, in prospettiva non c’è da sperare in un miglioramento dell’accuratezza delle proiezioni sull’inflazione: “l’attuale contesto, caratterizzato da volatilità nei prezzi delle materie prime energetiche, in combinazione con l’incertezza causata dalla guerra in Ucraina e con gli effetti delle riaperture dopo la revoca delle restrizioni dovute alla pandemia, è tale per cui, nel breve periodo, prevedere gli andamenti dell’inflazione continuerà ad essere un compito molto difficile”.

Si tratta di due notizie che probabilmente possono essere sia buone che cattive. Noi le consideriamo buone e quindi le inseriamo nella nostra sezione “notizie IN”, perché vi rinveniamo una presa di coscienza e un atto di umiltà.

Notizie OUT

L’invasione russa dell’Ucraina sta tenendo in ostaggio
la ripresa economica in Europa

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La Commissione europea è stata costretta a rivedere al ribasso le sue previsioni di crescita, a causa dell’impatto del forte aumento del prezzo delle materie prime, a cui contribuiscono le stesse sanzioni europee contro Mosca. 
Il PIL UE frena, passando dal 4,0% al 2,7% per il 2022 e dal 2,7% al 2,3% per il 2023.
Le previsioni sul PIL italiano, allo stesso modo, passano dal 4,1% al 2,4% per il 2022 e dal 2,3% al’1,9% per il 2023.
L’inflazione vola al 6,1% in Europa nel 2022, per poi scendere al 2,7% nel 2023; mentre per l’Italia si stima un’inflazione del 5,9% per il 2022 e del 2,3% per l’anno prossimo.
Si registrano inoltre aumento dei tassi d’interesse sul mercato, incerta fiducia di imprese e famiglie, scombussolamento delle catene produttive, rallentamento del commercio.

Firenze. L’associazione di volontariato Idra al ministro Guerini: cosa c’entrano le nuove basi militari col PNRR?

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Rif. Comunicato IDRA “Firenze, Idra al ministro Guerini cosa c’entrano le nuove basi militari col PNRR?” (20.05.2022)

Per quanto il Governo si sia (in parte) ricreduto sul progetto di nuova base militare a Pisa, inizialmente prevista nella tenuta protetta di San Rossore, riscontriamo che si è deciso di utilizzare lo strumento del DPCM nell’ambito del PNRR, per un intervento che avrebbe dovuto prevedere il coinvolgimento delle popolazioni e delle istituzioni interessate.

Come correttamente segnala l’Associazione di volontariato Idra, “Apprendiamo dal Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni che “ci sono alcune cose che con il PNRR non si possono fare: non si possono fare spese sulla difesa”. Ci domandiamo perciò quale grado di legittimità possa godere il DPCM in questione, laddove esso prevede di utilizzare “le misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e di snellimento delle procedure”, come leggiamo nel testo, quando tali misure sono state varate in funzione di un Piano, il PNRR appunto, che è estraneo al tipo di intervento decretato nell’area di Coltano”.

Per non dimenticare

Intervista a Jean Paul Fitoussi

Intervista a Jean Paul Fitoussi, l’economista francese:
“C’è troppa povertà: con la guerra a rischio anche la pace sociale”,
Il Fatto Quotidiano, lunedì 21 marzo 2022

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Documenti

Guerra

Marzo 2022   Lamberto Correggiari

Restiamo qui a morire
su una terra dissacrata dalle bombe
non arabile e che non darà
a giugno pane ma fame.

Nell’afasia di una Europa nana
si misurano menzogne massificate
e parole senza più senso
accompagnano le croci dei morti.

Schegge e gambe come detriti
frattaglie di bandiere e mattoni
là dove non scorre più l’acqua
il deserto dei popoli avanza.

Una colonna di fantasmi ucraini
si aggira per l’Europa e si unisce
ai fantasmi afgani e siriani
come acqua e olio si mischiano i neri
che solo nella morte sono fratelli.

Si muovono odiate ombre
in fameliche bestie per scannarsi
nel giorno della mattanza illuminata
dal progresso suicida dell’uomo.
 

VNZ News

VNZ Academy   

Vitale-Zane & Co. annuncia con piacere l’avvio dell’attività della propria Academy che offre percorsi formativi ad alto livello su tematiche di particolare interesse per l’Impresa ed il Management. Il primo appuntamento si è svolto il 30 maggio 2022 con il corso (composto da 5 incontri pomeridiani) "Controllo di gestione e attuazione della strategia: la Balanced Scorecard".

Scarica la brochure

Open House Milano  

Sabato 14 e domenica 15 maggio si è tenuta la settima edizione di Open House Milano: la straordinaria apertura al pubblico di circa 100 tra case private, studi, istituzioni, monumenti e cantieri della città che era, è, sarà, nell’ambito di visite guidate e gratuite. In questo contesto la sede milanese di VNZ (in foto), ospitata all’interno del prestigioso Palazzo pellegrini Cislaghi, in via San Martino, n.7, è stata aperta ad un pubblico di oltre 100 interessati visitatori, che hanno potuto ammirare le tante testimonianze della vita umana e professionale di Marco Vitale che lo studio contiene. Nel giardino del palazzo, è stato possibile visitare un’altra chicca nascosta: le vestigia dell’antico monastero delle Dame Vergini alla Vettabbia, salvato e ricomposto nel giardino di casa dal conte Pellegrini Cislaghi, con un’ispirazione civica e culturale che sentiamo vicina alla nostra.

Stanze private e nuovi cantieri. Milano segreta apre le porte, la Repubblica 11 maggio 2022

"Sostenibilità nelle imprese: il patto generazionale”:
la lezione di Stefano Zane per il master UNICATT.

Venerdì 1 luglio alle 9.15 la lezione di Stefano Zane dal titolo "Sostenibilità nelle imprese: il patto generazionale" per il Master “Gestione e comunicazione della sostenibilità” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel nuovo Campus di via Garzetta 48 a Brescia.
 

Incontro “Cultura a Brescia
e provincia fra istituzioni
ed esperienze dal basso”

Sabato 18 giugno dalle 10 al Palazzo Francesconi del Comune di Provaglio d’Iseo, Stefano Zane introdurrà l’incontro pubblico “Cultura a Brescia e provincia fra istituzioni ed esperienze dal basso” organizzato dal Partito Insieme. Lavoro e famiglia, solidarietà e pace.

Consulta il programma

Oltre Confine Festival

Il 23 giugno 2022, Marco Vitale presenterà Silvio Garattini, in un incontro dal titolo “Brevettare la salute? Una medicina senza mercato”, nell’ambito del festival “Oltre Confine”, nel comune di Piancamuno.

Leggi il programma

 

Convegno “Fabbrica
Futuro - tecnologie, modelli organizzativi e persone”

Venerdì 8 luglio dalle 9.00 alle 16.35 presso il Borgo Santa Giulia a Corte Franca (BS) si terrà il convegno “Fabbrica Futuro – tecnologie, modelli organizzativi e persone” volto ad approfondire tematiche riguardanti l’innovazione tecnologica, la transizione ecologica e il conseguente rinnovamento dei processi organizzativi. Tra i relatori Stefano Zane, amministratore delegato di Vitale-Zane & Co., con un intervento dal titolo “Scenari incerti, prepariamoci a dovere”.

Programma e link d’iscrizione

Da non perdere

Un’economia indisciplinata, riformare il capitalismo dopo la pandemia

Gaël Giraud, Felwine Sarr
Emisferi, 2021

16,00 €

Tempo di lettura: 40 secondi

In questo volume i due intellettuali, Gaël Giraud e Felwine Sarr, si interrogano a vicenda sulla crisi sociale ed ecologica che pervade il nostro secolo. Discutono dell’insostenibilità dell’attuale modello economico, che viene definito predatorio e vorace nei confronti dell’ambiente. Il pensiero comune è che l’ideologia post-liberale abbia ormai influenzato completamente la prassi politica, eliminando qualsiasi altra forma di immaginazione di un modello economico. La scienza economica è ormai ridotta ad una mera pratica contabile, del tutto razionalista e che non tiene conto delle differenze culturali, geografiche e ideologiche del nostro pianeta. I due autori vanno quindi alla ricerca di una nuova proposta economica basandosi anche sulle teorie di grandi pensatori (Jacques Derrida, Paul Ricoeur e Christoph Theobald) e tenendo conto delle sfide del nostro tempo, tra cui la pandemia.

Ricchi e poveri.
Storia della diseguaglianza.

Pierluigi Ciocca
Einaudi, 2021

15,00 €

Tempo di lettura: 40 secondi

L’autore ripercorre la storia della diseguaglianza sfruttando le sue competenze economiche ed antropologiche. Si parte dal Paleolitico, passando per i Sumeri, gli Etruschi e anche l’Antica Roma, per poi finire con l’Età moderna e contemporanea: in tutti questi secoli l’eterna lotta tra ricchezza e povertà ha influenzato la vita dell’uomo. L’eguaglianza non è mai stata raggiunta. Anche oggi questo conflitto ci appartiene, il divario tra ricchi e poveri non è mai stato così profondo. Il fenomeno della povertà estrema è diffuso anche nei paesi più avanzati. Ciocca ritiene che le diseguaglianze siano, soprattutto, “un freno allo sviluppo” degli stati. Per far sì che questa condizione (peggiorata anche a causa della pandemia) scompaia e vi sia, al contrario, una crescita saranno fondamentali gli interventi dello stato e un nuovo welfare state.

Dalla Montedison a Baghdad.
Dal ginepraio della finanza alle eterne crisi del Medio Oriente

Lino Cardarelli (a cura di Gianfranco Fabi, con introduzione di Roberto Longoni)
Guerini e Associati, 2022

32,00 €

Tempo di lettura: 50 secondi

Lo scenario dell’industria italiana del Novecento è stato segnato dalle grandi dinastie e famiglie imprenditoriali come gli Agnelli, i Falck, gli Olivetti e molti altri. La figura di Lino Cardarelli rappresenta un’anomalia, o meglio, una sorprendente eccezione. Cardarelli, figlio di un ferroviere, è stato uno dei protagonisti principali all’interno di importanti dinamiche industriali e finanziare che hanno contrassegnato l’Italia tra gli anni 60 e 90 del secolo scorso: dalle esperienze in Agip, Olivetti, Hill & Knowlton e Snia Viscosa ai vertici di primarie banche internazionali (Gruppo Bnl, Bankers Trust) e soprattutto del Gruppo Montedison. Quello di Cardelli è un vero e proprio talento manageriale innovativo. Si è persino messo al servizio dello Stato per la costituzione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e per la ricostruzione dell’Iraq fra Baghdad, Kuwait City, Amman e Roma ai vertici dell’Unione per il Mediterraneo fra Barcellona e Bruxelles. Il libro, scritto dallo stesso Cardelli, ripercorre i capitoli più importanti della sua vita raccontandoli ai nipoti. Un percorso sempre lontano dai canali mediatici e che da oggi è possibile trovare in libreria.

 


 
Hanno collaborato a questo numero:
Sara Belotti, Nicola Boni, Lamberto Correggiari, Margherita Saldi,
Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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