Newsletter n. 20 - maggio 2023

“E’ da tempo che rifletto sul tema dei nemici interni dell’Italia, quelli che invece di dedicarsi alla valorizzazione delle tante potenzialità del nostro Paese
fanno tutto il possibile per umiliarle, indebolirle, soffocarle”
Marco Vitale

Primo Piano

La ragnatela: sviluppo e montagna

Tempo di lettura: 4 min.

Il 2 dicembre 2022 a Sondrio, presso la sede della Banca Popolare di Sondrio, si è tenuta una giornata di studio su realtà e prospettive del sistema bancario italiano. Hanno partecipato all’incontro alcuni dei più importanti, rispettati e liberi studiosi della materia. Il riscontro ricevuto sia in presenza che in remoto, che attraverso messaggi scritti ed orali, è stato sorprendente anche per gli organizzatori, che pur conoscevano la convinta e decisa risposta dei piccoli azionisti della BPS, in occasione della prima assemblea come SpA, che aveva respinto l’aggressione, violenta e volgare, con la quale si cercava di far sparire il concetto stesso della BPS come banca di comunità, la sua storia, la sua autonomia, il suo impegno al servizio del territorio dal quale è nata e dei territori ove si è radicata. Il messaggio che uscì da quell’assemblea fu chiaro: non vogliamo diventare un vascello che sia preda di ogni vento, di ogni corrente, di ogni avventura. Non riuscirete a truffarci come siete riusciti a fare con altre magnifiche banche popolari che avete fatto sparire o avete fatto assorbire a vantaggio dei vostri amici. Non ci riuscirete perché, nel frattempo, la verità, a poco a poco, si sta facendo strada. Ed il convegno del 2 dicembre ha portato una non equivoca testimonianza di ciò, con relazioni scientificamente fondate, rigorose, veritiere, indipendenti. Si è incominciato a capire che la maggior parte degli argomenti con i quali erano state giustificate le c.d. riforme delle Popolari e delle BCC, null’altro erano che falsità, finalizzate a far sparire queste banche di comunità. E si è incominciato a capire che l’Italia del lavoro deve difendersi e per difendersi deve unire le forze contro i nemici dell’Italia che, come già accadde in secoli passati, non stanno fuori dall’Italia ma stanno all’interno della stessa. Questo è vero in particolare in campo bancario dove gli organismi italiani che dovrebbero bilanciare gli impulsi che vengono da Francoforte e da Chicago con le necessità e gli interessi italiani, come Banca d’Italia, Assogestioni e altri, sanno solo esprimere atteggiamenti servili e privi di dignità di fronte ai potenti impulsi esterni.

È da tempo che rifletto sul tema dei nemici interni dell’Italia, quelli che invece di dedicarsi alla valorizzazione delle tante potenzialità del nostro Paese fanno tutto il possibile per umiliarle, indebolirle, soffocarle. 

Riflettevo su questo tema anche pochi giorni fa, facendo ritorno da una lunga e interessantissima visita al Polo Universitario insediato a Edolo (Alta Val Camonica) da quasi 20 anni, con risultati molto positivi e di grande interesse. Questo insediamento universitario nelle Alpi Centrali, diretto con grande intelligenza ed energia, è di enorme interesse per tutta l’area delle Alpi Centrali, così come la BPS è di enorme importanza per la stessa area. Questi organismi non appartengono a questa o quella Provincia, a questa o quella Valle, ma appartengono alla importantissima area delle Alpi Centrali e, collaborando reciprocamente, nelle rispettive sfere di attività, possono dare un impulso formidabile allo sviluppo economico, sociale e civile delle Alpi ed in particolare delle Alpi Centrali. 

La montagna che copre il 32% del territorio nazionale è un territorio prezioso e ricco di potenzialità all’insegna della qualità della vita. Ma bisogna rovesciare la prospettiva: la montagna non è un territorio nazionale marginale ma è un territorio centrale sia con le poderose Alpi nel Nord che con l’affascinane Appennino del Centro-Sud, dai boschi del Casentino alla magnifica Maiella, alle poderose montagne calabresi, alla storica e mitica Etna.

Le nuove tecnologie delle quali tanto si parla e si sparla in questi giorni hanno un comune denominatore. Non ci sono più aree marginali, tutto è connesso, tutto è fattibile. La montagna non ha bisogno di sussidi e di altri aiuti finanziari. Ma solo di buone opere pubbliche e di amministratori onesti ed ha bisogno di scienza, cultura, buona scuola, buona sanità, buona finanza, buona banca. Ma è ormai chiaro che queste buone cose non verranno elargite né dallo Stato, né dalla Regione, né dalla Banca d’Italia, né dalla BCE. Bisogna conquistarle, unendo le forze, superando ogni approccio parrocchiale, sviluppando progetti credibili, investendo tempo, passione e un po’ di denaro. 

Tante volte mi sono trovato ad ammirare la capacità, velocità, tecnica con le quali il ragno, velocissimo, fila la sua rete. Dobbiamo imparare da lui e, come lui, filare la nostra rete su tutte le Alpi Centrali, nell’interesse comune. E quando qualcuno la straccia il ragno ricomincia a filare la sua rete più forte e veloce di prima.

Marco Vitale

Università della Montagna: intervista ad Anna Giorgi

Tempo di lettura: 20 min.

È dalla sua bella sede circondata dalle montagne nel piccolo paese di Edolo, comune montano con meno di 5.000 abitanti nel cuore delle Alpi, all’inizio dell’Alta Valcamonica, che Unimont, il centro Universitario d’Eccellenza “Università della Montagna”, distaccamento dell’Università degli Studi di Milano dedicato a formazione e ricerca innovative sulle complessità del territorio montano, guarda a tutto l’arco alpino qualificandosi come centro di riferimento per gli studi universitari sulla montagna. 

È anche questa peculiare collocazione che consente al polo di Edolo di declinare la sua specifica identità in direzioni molto diverse: con un forte radicamento sul territorio locale, una vocazione ad abbracciare tutte le Alpi centrali e allo stesso tempo uno strettissimo collegamento genetico con Milano e forti connessioni con Bruxelles e le istituzioni europee. 

Su queste reti Unimont fonda le sue attività, che sono principalmente incentrate su didattica e ricerca. Sul fronte della didattica, a Edolo viene erogato un ormai storico corso di laurea triennale in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” (inaugurato nel 1996), che ha laureato ad oggi 513 studenti; a questo si aggiunge un master di primo livello in “Project Management per la Montagna”, che ha avuto già 37 iscritti e, dal 2023, un nuovo corso di laurea magistrale in “Valorization and Sustainable Development of Mountain Areas” (che, interamente erogato in lingua inglese, si propone di essere “internazionale, multidisciplinare e glocale”). La didattica conta inoltre corsi di perfezionamento, corsi di istruzione e formazione tecnica superiore, formazione continua, oltre a numerosi momenti di incontro e confronto collettivo sui temi della montagna a vario titolo.

Docenti e studenti di Unimont sono molto attivi anche sul fronte della ricerca, con un approccio volto prioritariamente a creare legami concreti tra i temi della valorizzazione territoriale, dell’attenzione alla biodiversità, dell’innovazione, dell’economia circolare, dell’attenzione alle filiere, del trasferimento tecnologico, della promozione dell’imprenditoria (locale, giovanile, innovativa). Nascono da queste ricerche esperienze molto interessanti. Ne abbiamo toccate con mano alcune: un’antica varietà di mais nero autoctona della Valcamonica (che si era conservata in un piccolo orto tramandato da generazioni ed è stata recuperata, riconosciuta come specie locale e valorizzata in una filiera imprenditoriale che oggi si dedica a coltivarla, lavorarla, commercializzarne le farine); l’utilizzo di fagioli per la produzione di farina (nell’ambito di un progetto di valorizzazione “di cultivar di fagiolo tradizionali lombarde”) o ancora progetti di valorizzazione del miele e degli impollinatori in Valcamonica, anche nell’ambito del tavolo di lavoro “Apicultura-Unimont” e in stretta collaborazione con Slow Food.

Ma i progetti di ricerca attivati sono oltre 60 (in diverse aree: agro-alimentare, socio-economica e dello sviluppo territoriale e giuridico-amministrativa) e le pubblicazioni realizzate sono più di 300. I ricercatori di Unimont si aggiudicano con una certa continuità importanti bandi, prevalentemente europei, l’ultimo dei quali ha coronato questa capacità attribuendo a Unimont il capofilato di “Agritech”, progetto finanziato nell’ambito del PNRR e nato per creare il centro nazionale sulle nuove tecnologie per lo sviluppo sostenibile delle produzioni agroalimentari, che coinvolge 28 Università, 5 centri di ricerca e 18 imprese nel settore agrifood, e prevede una specifica task force sulla riduzione dell’impatto ambientale nelle produzioni agroalimentari nelle aree montane.

Anna Giorgi, Delegata del Rettore alla promozione delle attività didattiche, di ricerca e terza missione per la valorizzazione del territorio montano del Polo Unimont e artefice di questo miracolo, inizia la sua chiacchierata commentando l’antico proverbio siciliano che riproponiamo alla rubrica “Motti riletti per l’impresa” con un commento di Marco Vitale su tenacia e costanza. “Tenacia e costanza sono fondamentali nei contesti di montagna e lo sono stati in primo luogo nella storia di Unimont: per ottenere qualche briciola, qui si deve sgomitare e lavorare di più e meglio degli altri”. 

Il racconto che ci fa in questa intervista dà ragione a questa premessa: la storia di Unimont è iniziata negli anni ’90, quando Anna Giorgi, giovane ricercatrice dell’Università di Milano originaria di Vezza D’Oglio, che nemmeno sapeva che la sua università avesse un distaccamento proprio in Valcamonica, fu felice di essere coinvolta e iniziare a lavorarci, e con la partenza del corso di laurea triennale nel 1996 il polo ha avviato un vero e proprio percorso di sviluppo della sua specifica identità. Da allora, non senza fatica e con grandi dimostrazioni di “tenacia e costanza”, Unimont si è guadagnata la sua posizione, senza grandi supporti esterni, ma dimostrando di essere ampiamente in grado di sostenersi autonomamente, intercettare esigenze vere e creare valore. “Quando abbiamo iniziato lo sviluppo che questa realtà avrebbe avuto in futuro non era assolutamente immaginabile! Abbiamo incominciato colonizzando alcune aule del blocco delle scuole medie del Centro polivalente di Edolo e oggi, come sancito da un recente documento strategico della Statale, siamo ufficialmente riconosciuti come il Quarto Polo dell’Università di Milano”. Questo riconoscimento è certamente il frutto della capacità di essersi “conquistati un posto”, ma il Polo di Edolo è e rimane un distaccamento della Statale, perché anche in questo sta la sua forza: grazie a questo legame vi si può infatti realizzare quel “collegamento con i centri della metropoli che è in grado di creare - se lo si vuole comprendere e utilizzare - un grande vantaggio reciproco. Il potenziale di Unimont è nella sua capacità di collegare la metropoli, i centri dove si elabora conoscenza, con un piccolo Comune che ha bisogno di elaborazioni ma che dall’altra parte è in grado di dare al centro una prospettiva di lettura dei territori vera. E questo è un modello di futuro. Bisognerebbe che ci fosse un vero impegno dei centri a costruire ponti e connessioni (che oggi sono peraltro facilitati dal poter essere anche virtuali). Nel caso di Unimont questo collegamento c’è stato e ha attivato uno scambio bidirezionale molto fecondo e produttivo”.

Oggi Unimont è dunque un braccio della Statale costituito da una serie di dipartimenti, con la guida del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali e con il concorso di una decina di altri dipartimenti di aree disciplinari diverse: dalle scienze dure all’area socio-economica e giuridica. Anna Giorgi segnala anche questa commistione di settori disciplinari come un aspetto molto importante: “La formazione deve aprire orizzonti nuovi, quindi non si può rimanere su binari predefiniti e rigidi. Io, da biologa, ho imparato che a un certo punto le norme troppo rigidamente interpretate possono diventare un collo di bottiglia: bisogna invece riuscire a diversificare gli strumenti che forniamo ai nostri giovani, perché chi si occupa di natura, ambiente, valorizzazione dei territori, non può non conoscere le regole del gioco e non avere anche dei riferimenti economici e giuridici. La nostra grande sfida è formare Capitale Umano, che sia appassionato a tal punto da continuare a coltivare in autonomia la propria conoscenza, puntando anche a fare autonomamente e ad aggiornarsi di continuo, a partire da questi strumenti multidisciplinari”.

Si diceva che costruire tutto questo non è stato facile: “Ci abbiamo dovuto lavorare con costanza e avendo sempre una visione, dandoci obiettivi da monitorare e poi monitorandoli davvero, per capire volta a volta se ne valeva la pena o no. Nella nostra visione c’era il fatto che essere qui dovesse corrispondere a una grande interazione con il territorio, il quale però non ci conosceva: il primo passo è stato quindi mettere in campo una serie di iniziative per chiamare le persone di Edolo a conoscerci; e poi la necessità di coinvolgere gli Enti territoriali partner, che avevano sottoscritto una convenzione con la Statale per l’avvio della laurea triennale: Comune di Edolo, Comunità Montana BIM di Valle Camonica, Provincia di Brescia, allora la Camera di Commercio (che poi ha lasciato nel 2017 e che ci piacerebbe potesse essere nuovamente coinvolta), Unione dei Comuni delle Orobie Bresciane”. I rapporti con questi partner non sono stati sempre facilissimi “a volte ci hanno supportati, altre sopportati, altre ancora direi piuttosto schiaffeggiati, ma è stato parte del percorso”

Con questi partner sono stati istituiti da subito due tavoli di confronto permanente con cadenza abbastanza frequente: un tavolo politico-istituzionale che si riunisce in media due volte all’anno per occuparsi della condivisione di decisioni più strategiche legate alla prosecuzione dell’alleanza e alla definizione di obiettivi di interesse per le istituzioni coinvolte, e un tavolo di livello più tecnico che si riunisce tre o quattro volte all’anno. “Questo modello di interazione con i partner è stato un modo con cui Unimont ha precorso i tempi: ora i sistemi di qualità a cui le Università pubbliche italiane devono uniformarsi prevedono che ogni corso di laurea instauri un Comitato d’indirizzo, con il quale il corpo docenti dovrebbe periodicamente confrontarsi per formulare un’offerta formativa coerente con i bisogni degli stakeholder, ma noi da subito siamo partiti con i due tavoli di confronto e abbiamo poi più recentemente aggiunto anche un Comitato di indirizzo, che a sua volta è davvero un modello esemplare, perché riunisce rappresentanti di istituzioni dal livello localissimo (Comune di Edolo) fino al livello nazionale (Presidenze del Consiglio dei Ministri), oltre a personalità di spicco in diversi campi professionali”. Alcuni di loro contribuiscono talvolta direttamente all’offerta didattica, nell’ottica di portare esperienze e generare commistioni disciplinari.

A questi Enti territoriali partner si sono poi aggiunti nel tempo interlocuzioni con “i principali stakeholder nazionali, dalla Regione Lombardia, al Ministero dell’Università e della Ricerca, a quello degli Affari Regionali, e quelli internazionali, EUSALP, NEMOR, FAO Mountain partnership – EXPO Dubai: con tutti questi abbiamo dovuto sintonizzarci, capendo come confrontarci e come impostare il dialogo per il beneficio reciproco”.

“Le sfide da affrontare sono esiziali e tali che le risposte che daremo alle stesse declineranno il futuro della nostra specie su questo pianeta: è evidente che dobbiamo trovare il modo di essere un po' più lievi su questa terra. Noi ci occupiamo di cosa fa l’uomo nell’ambiente per garantirsi opportunità di vita e lavoro, abbiamo quindi molto a che fare con questo tema. Per cui dobbiamo dare una prospettiva ampia. Questa cosa la facciamo con i corsi multidisciplinari e con vastissime attività seminariali che coinvolgono soggetti molto vari, tutti con esperienze concrete nei territori montani”. Proprio nei giorni precedenti la nostra intervista, Unimont ha ospitato la rassegna letteraria “Racconta la montagna”, quest’anno dedicata la tema “L’uomo, la neve e il ghiaccio: la complessità dei rapporti tra uomo e natura”: “alcune attività della Rassegna si tenevano in serata, alle 20:30, e hanno comunque visto la nostra sala conferenze piena di studenti, prova che il luogo è davvero vivo, potremmo dire 24 ore su 24. Il nostro obiettivo è stimolare la riflessione aprendo le nostre porte, sia quelle fisiche sia quelle virtuali, anche considerando che gli oltre 30.000 contatti della mailing list costruita in 25 anni di lavoro hanno sempre la possibilità di accedere ai nostri eventi, e questo già da molto prima che il Covid imponesse a tutti di familiarizzare con queste modalità: anche questa è innovazione!”. 

Dagli elementi che emergono dal racconto è evidente che l’esperienza Unimont testimonia che “da un piccolo comune si può fare eccellenza alla grande: bisogna avere visione ed essere cocciuti e determinati. D’altronde chi apre le piste e percorre vie nuove e non ancora battute fa più fatica: chi va in montagna lo sa. E noi abbiamo sempre fatto una fatica pazzesca, per chi segue è ovvio che sarà più facile. Noi siamo consapevoli che stiamo aprendo delle piste e anzi speriamo che anche altri le vogliano poi percorrere, magari anche insieme a noi: sarebbe bellissimo”.

Qui il discorso ritorna sulle connessioni, realizzate e possibili, e sull’importanza di una strategia “a rete”: “Il futuro di questo polo è condizionato profondamente dalla capacità che avremo di fare sistema e di attrarre: in primis competenze ed esperienze. Questo posto ha il pieno titolo per divenire una sorta di hub culturale per lo sviluppo dei territori montani e come tale è luogo di arrivo e partenza di chi sa, di chi sa fare e di chi ha da dire, in una visione di futuro che ci vede parte di una rete di soggetti esperti: penso in particolare alle Università, che devono imparare a fare sistema veramente. Se pensiamo che le montagne in Italia coprono il 32% della superficie e che, per la conformazione del nostro territorio (che con i suoi 8.300 km di costa è abbracciato dal mare ma sostenuto da uno scheletro fatto di montagne), pressoché ogni centro di conoscenza potrebbe avere il suo pezzetto di montagna da monitorare e valorizzare, è evidente che lo spazio per questa cosa è davvero tanto! Ci sarebbe davvero spazio per tutti, ma la chiave deve essere quella di agire insieme, ovvero coordinandosi: ognuno potrebbe fare il suo pezzetto ma nell’ambito di strategie comuni, con confronti periodici in cui ci si possa misurare, si possano unire le forze.” 

In questa visione, le maglie della rete sono aperte ai rappresentanti di tutti i settori strategici per lo sviluppo delle montagne: le Università, le associazioni di impresa e categoria, il mondo politico-istituzionale, la Società civile, in un’alleanza tra locale e globale che punti a “creare uno specifico ecosistema per l’innovazione, propedeutico a definire le priorità di intervento e le strategie d’azione”.

Di contro “il vero rischio per il futuro di questo polo è il localismo: il pensare che questo posto sia faccenda dei bresciani, perché qui nella cordata formale e formalizzata ci sono solo bresciani, per cui, ad esempio, i Valtellinesi potrebbero sentirlo meno loro”. Segnali di questo approccio pericoloso insidiano anche i tanti inviti che da più parti Anna Giorgi riceve affinché aiuti i richiedenti del caso a ragionare su come potrebbero “far partire delle Unimont dalle loro parti: è vero, questo interesse è già un primo passo; il focus dei miei interventi è che bisogna puntare anzitutto sul Capitale Umano e questo si trova vicino ai territori. Però bisogna riuscire a farlo insieme, in maniera congiunta. Su questo temo, in realtà, che i tempi non siano ancora del tutto maturi. Però bisogna lavorare in quella direzione lì”.

Ma la necessità di “tenacia e costanza” non riguarda solo Unimont: è una caratteristica della montagna tutta, è indubbio. Meno lo è invece che la risposta a questo fatto sia che la montagna venga per questo considerata a priori, nei modelli di sviluppo che vi sono tradizionalmente applicati, una zona marginale, a fallimento di mercato, incapace di provvedere al proprio sviluppo e quindi bisognosa di sussidi. “I modelli di sviluppo applicati sono modelli sbilanciati, concepiscono il territorio come meta di colonizzazione da parte delle città. Sono modelli che vanno riequilibrati, a vantaggio del nostro intero Paese”.

L’Italia è un “Paese speciale, corrugato, dove le pianure, che concentrano la maggior parte degli interessi, degli sforzi economici e di programmazione, dei servizi e delle persone, sono solo il 23%”. La sua conformazione fisica e geografica e la sua storia complessa hanno contribuito a creare una “varietà di ambienti, luoghi, cibi e una pluralità culturale e socio-economica che è la sua inconfondibile impronta digitale: quella di Paese dei piccoli comuni, in cui il 70,3% dei comuni italiani (molti dei quali sono comuni di montagna) ha meno di 5000 abitanti, e con un tessuto produttivo fatto prevalentemente di piccole e medie imprese”. E in questa conformazione peculiare, le montagne sono sempre tendenzialmente vicine alle città: sarebbe perciò abbastanza semplice organizzare un sistema che colleghi le risorse e i turisti delle città ai territori montani limitrofi, in un’ottica di valorizzazione bidirezionale e non di colonizzazione, ma perché ciò accada servono persone, servono competenze, servono strategie: “azioni che in prospettiva mirino a questo, che è quello che cerchiamo di insegnare in Unimont”. 

Qui si situa la principale sfida di cui Unimont si fa portavoce e che, richiamando il titolo del suo intervento alla Celebrazione della Giornata Internazionale della Montagna (organizzata a Edolo lunedì 12 dicembre 2022 da Unimont e dal Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomia DARA della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’intervento del Ministro Calderoli), Anna Giorgi definisce “mettere la montagna al centro”. Mettere la montagna al centro significa toglierla dal margine: “La marginalizzazione delle montagne è l’esito del tentativo di applicare alle montagne modelli di sviluppo messi a punto “altrove”, in luoghi profondamente diversi dalle montagne - contesti urbani, metropolitani -, senza considerare le specificità, le vocazioni e le unicità di questi territori, che richiedono approcci e formule ad hoc, per arrivare a mettere a confronto, in modo “sleale” le performance produttive ottenute. Abbiamo molti esempi di fallimenti derivanti da questo approccio: dall’agricoltura di montagna che non regge all’applicazione di modelli industriali e intensivi, all’architettura urbana applicata tra le montagne, note stonate nell’armonia di tradizioni produttive e paesaggi che di per sé esprimono e generano valore aggiunto se tutelati e portati nella modernità”. È chiaro che da un modello così impostato le montagne non potranno che uscire perdenti e svantaggiate e l’unica soluzione – inefficace – sarà quella di erogare sussidi compensativi, come si è sempre fatto. 

È tempo invece di lavorare seriamente sulle “specificità” dei territori trasformandole in leve di sviluppo, rendendosi conto che le montagne sono il luogo ideale da cui partire perché lì le specificità sono marcate e condizionanti, imprescindibili. Questo significa uscire dal paradigma della “marginalità” a cui le montagne sono state consegnate e promuovere un cambiamento, culturale e operativo, con una visione che pone le montagne al centro. “Nonostante di montagne si parli molto, a livello nazionale ed europeo, quando si tratta di elaborare programmi di intervento, le montagne vengono messe “fuori fuoco”, talvolta più o meno incluse indistintamente in più generiche categorie: aree rurali, interne, marginali, green communities, cosicché le specificità si perdono e con loro anche la possibilità di farvi leva, affinché le montagne siano “abilitate” ad esprimersi per quel che sono, per le vocazioni che hanno, e per il contributo che possono dare alla competitività del paese, anziché essere semplicemente “assistite” perché perdenti”

Alla base c’è dunque in primis un fattore culturale, che concepisce quella delle montagne come una partita persa in partenza. Si tratta di un blocco culturale certamente alimentato dall’approccio delle metropoli (Anna Giorgi ammette di sapere “quanto possono essere ingorde, egoiste, centraliste rispetto a questi temi”), ma si tratta di un blocco culturale da superare: “e possiamo farlo solo dimostrando concretamente che per i centri ricchi sarebbe strategico abilitare connessioni con le periferie, e con il nostro lavoro lo stiamo dimostrando”.

Il discorso passa così naturalmente a riflettere sul ruolo dei finanziamenti per la montagna: “i soldi per i territori montani non mancano. Solo quest’anno arriveranno 200 mln. € per la montagna tramite il FOSMIT, il fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, e se guardiamo a tutti i vari provvedimenti che riguardano le montagne vediamo che sono previsti solo fondi; ma tutti questi denari vengono impiegati, poi, dai vari organismi, in forma aggregata o meno, senza alcuna linea guida strategica e senza alcun monitoraggio. Solo fondi senza nessuna strategia specifica vuol dire nessuna visione strategica di futuro: i soldi da soli diventano cerotti su ferite che non si rimarginano”. Il tema vero non sono i soldi, ma le strategie, la visione, le competenze, le idee. Carlo Cattaneo direbbe: “l’intelligenza e la volontà”. “E il monitoraggio. Ma come si possono fare politiche pubbliche se non si misura quale impatto queste generano?”.

Per non dire che questi ricchi stanziamenti possono talvolta prestare il fianco a “marchette”, che peraltro si avvantaggiano in Italia di una grande confusione normativa. “Per la montagna la prima cosa da fare sarebbe certamente un riordino normativo. Per esempio, è urgente mettere mano a una profonda revisione della classificazione dei Comuni della montagna: pensate che sono identificati da una tabella prevista da una Legge del 1952, ancora in vigore, e che istituisce come comune montano anche quello di Roma! La legge è stata abrogata ma la tabella, invece, vige ancora. Questo significa che fino ad oggi la ripartizione dei fondi per la montagna ha visto la partecipazione anche del Comune di Roma…

Questa tabella identifica come montani 4.201 Comuni, sulla base di criteri orografici – quota e pendenza—e socio-economici (che hanno determinato, nel dopoguerra, l’inclusione di comuni per nulla verticali ma solamente poveri); l’ISTAT, invece, nella classificazione del territorio italiano aggiornata nel 2021, ascrive alla montagna 2.487 Comuni, creando una grande confusione e identificando “un numero di montanari che oscilla quindi dal 20% al 12% degli italiani”. Anche su questa battaglia sono impegnati in Unimont, nella convinzione che, ancor prima di approfondire i temi importanti del suo sviluppo, “un Paese serio debba chiamare montagna quello che è montagna e mare quello che è mare!”

A livello normativo, poi, è sempre attuale il tema delle esternalità positive: “le montagne sono territori così importanti, che meritano di essere testimoniati e valorizzati proporzionalmente ai beni e alle risorse che garantiscono a tutti: dalle risorse preziose e indispensabili per la conservazione della vita in quanto tale (come l’acqua, la biodiversità, le foreste), e per la società umana (come i servizi resi dagli ecosistemi montani: dalla regolazione dei livelli dei gas climalteranti come la CO2, alla fornitura di energia e materia prima per le filiere alimentari e salutistiche e per quelle artigianali e produttive), per arrivare infine al significativo patrimonio di beni immateriali di carattere artistico, culturale e tradizionale che conservano, veri e propri pilastri socio-economici delle comunità umane”.

L’unica legge che interpreta le esternalità positive della montagna è stata però la Legge sui BIM, che data anch’essa 1952 e che prevede anch’essa sostanzialmente un mero stanziamento di soldi, che vengono erogati ai Comuni come sovracanoni (circa 190 mln. € annui) e che sono gestiti da Federbim. La stessa Federbim ha recentemente effettuato una ricognizione tra parametri BIM e Comuni per scoprire che, anche a questo livello, la situazione non è incoraggiante: alcuni perimetri BIM sono indeterminati, mentre alcuni Comuni sono parte di BIM ma non lo sanno, quindi non riscuotono sovracanoni. E poi, ancora, qui siamo sul fronte dei soldi, mentre servono prioritariamente strategie. 

Unimont si situa nel cuore di queste sfide e cerca di rispondervi sviluppando riflessioni e interlocuzioni con i policy-makers a più livelli, ma soprattutto a partire dai principali interlocutori di un’università che sono i giovani. I dati del suo successo in quest’ambito sono una testimonianza di come, in un contesto in cui si parla spesso di fuga di cervelli (che non trovano adeguate prospettive in Italia, nemmeno nelle città), esperienze diverse sono possibili. “Quando arrivi qui e vedi questi giovani così determinati non ti puoi tirare indietro. Chi fa il mio mestiere lo fa, alla fine, per questo. E la loro determinazione noi la monitoriamo, che significa che contiamo: da qui abbiamo laureato con la triennale circa 600 ragazzi, il cui tasso di occupazione è del 73%”. Tra essi è molto elevata la quota di chi decide di intraprendere un’attività nei territori montani, in vari ruoli e non solo nel pubblico, anzi: prevalentemente nel privato e con una buona quota di avvio di nuove imprese nei territori montani. Questo sfata, con la forza dell’esperienza, il mito che in montagna non può esserci un mercato competitivo e che quindi il pubblico deve supportare. Molti decidono di avviare imprese nei settori tradizionalmente più vocati, per esempio l’agricoltura, con aziende multifunzionali che producono, trasformano, vendono in modo diretto prodotti: “l’agricoltura è stata per troppo considerata, nel nostro paese, cosa da ultimi. Consideri che è capitato che i licei della zona non volessero che Unimont partecipasse alle loro giornate di orientamento, perché consideravano i profili professionali che possiamo costruire non in linea con quelli di studenti liceali. Invece nel mondo dell’agricoltura assistiamo ad esperienze di grande valore e molto innovative”.

E poi c’è il filone agrituristico che “dà sempre molta soddisfazione”. Il PIL delle aree montane è sempre più legato al turismo ma questo “potrebbe essere sfruttato in maniera più intelligente”. Le nostre montagne catalizzano molti turisti stranieri, ma prevalentemente in inverno e con una grande concentrazione nelle località più note. “Pensiamo a località come Ponte di Legno: hanno registrato vere e proprie emorragie di residenti, mentre i prezzi delle case hanno raggiunto livelli da centro di Milano. Sono quindi luoghi che hanno grande attrattiva per i turisti ma non sono vivibili per la loro popolazione: è evidente che c’è qualcosa che non va”

La montagna invece non è solo fatta di località famose e di sci: è anche tanto altro, proprio a partire dalla ricca agro biodiversità che è in grado di dispiegare. L’Italia è il paese più ricco di varietà locali vegetali e animali; proprio in virtù della sua varietà climatica possiede un patrimonio poco conosciuto, studiato e valorizzato di specie che possono essere utilizzate nelle filiere corte locali, ma anche nell’industria e nelle biotecnologie, per ottenere prodotti unici e competitivi in differenti ambiti, nonché di ambienti, patrimoni, tradizioni, che possono essere valorizzati in iniziative turistiche ad hoc. È tutto questo che deve essere promosso, “per farlo ci vuole capitale umano preparato nel contesto territoriale, e questo è quello che cerchiamo di formare in Unimont”.

Ecco un modo concreto per invertire la tendenza per le nostre montagne, territori non marginali ma marginalizzati: “è indubbio che in montagna sia tutto meno facile... ma l’uomo ha una carta enorme da giocare: l’intelligenza (che prescinde dalle risorse!), che è in grado di creare innovazione, dove per innovazione intendiamo anche quella di metodo, non meno importante di quella di strumento. Se le montagne si sono marginalizzate perché le teste si sono concentrate su altro e perché molte se ne sono anche andate, sono certa che riportando cervelli a ragionare sulle montagne, stando dentro le montagne e ponendo le “montagne al centro”, si potranno certamente avviare percorsi di sviluppo e innovazione”.

Ma c’è di più: parlare dell’innovazione in montagna significa aprire una doppia prospettiva: quella dell’innovazione per lo sviluppo della montagna ma anche quella di un ruolo dell’innovazione in montagna per lo sviluppo più generale.

“La montagna, a ben guardare, è un laboratorio, una piattaforma straordinaria per provare a mettere a punto modelli di sviluppo sostenibile veri. Quello che non è sostenibile in montagna, dimostra subito la sua impossibilità a reggere, lo si scopre subito. Anche per questo le montagne sono un luogo privilegiato”. Sviluppare innovazione specifica per questi contesti (ovviamente su base prioritaria) sarà utile, in primo luogo, allo sviluppo degli stessi, ma applicare innovazioni alle montagne potrà anche essere utile per mettere a punto sistemi che sicuramente saranno più facilmente applicabili in contesti più semplici. “Se ce ne si rende conto, le montagne sono straordinari laboratori di innovazione”.

In conclusione, “serve una specifica visione del futuro di questi territori perché anche le montagne possano essere al centro di processi e interventi di sistema, non sporadici e complessivamente poco incisivi, interventi la cui efficacia deve essere monitorata attentamente e con continuità, per individuare le “formule” che funzionano e scartare gli approcci inefficaci. In questo, la dimensione locale è stata ed è un elemento vincente perché genera la consapevolezza del luogo e aiuta ad individuare priorità e soluzioni, ma rischia di trasformarsi in uno svantaggio se diventa “localismo”. Occorre invece affiancarla a reti che la colleghino a dimensioni diverse, con l’obiettivo di attivare un processo che di per sé sia esso stesso innovazione per le montagne. Questo ha la potenzialità, se si uniscono le forze, di dare vita e futuro ad un vero e proprio hub culturale per la montagna, capace di generare un impatto concreto, a partire proprio dalle ricerche, dalle innovazioni, dalle imprese che i giovani che passano per Unimont sono in grado di avviare. Diciamo che Unimont può essere la palestra giusta per allenarsi a queste sfide”.

Notizie IN

Fumo, la rivoluzione delle cicche
(se i mozziconi diventano salvia)

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Il Corriere della Sera del 7 febbraio ha raccontato, a firma di Paolo Foschini, la storia del progetto Focus (Filter of Cigarettes reUse Safely), promosso dal Centro interdisciplinare “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa, con il Dipartimento di scienze agrarie, alimentari e agroambientali, in collaborazione con il Comune di Capannori (Lucca) e Ascit (l’azienda locale della gestione rifiuti) e con il cofinanziamento della Fondazione Carluccia, che rappresenta un virtuoso esempio di economia circolare.

Secondo dati elaborati dal programma ambiente dell’Onu, prima della pandemia, ogni anno, finivano a terra 766mila tonnellate di mozziconi di sigaretta e oggi quel numero ha raggiunto il milione di tonnellate. Si tratta di “filtri di sigaretta” che sono costituiti di microplastiche a base di acetato di cellulosa e da una percentuale di metalli pesanti e di altre “schifezze chimiche”. Proprio per il materiale di cui son fatti non sono biodegradabili: un filtro buttato in un tombino prima o poi finirà in mare o in un posto analogo e là resterà anni, idealmente moltiplicato con i suoi simili per un milione di tonnellate ogni anno.

Il progetto Focus prevede la trasformazione di questi filtri usati in nuove risorse e più precisamente in “base biodegradabile per la coltivazione in vivaio di piante ornamentali e arbusti”. Dal riuso di un primo quantitativo di filtri di sigarette sono nate già diciannove piantine: quindici delle quali (di rosmarino e salvia) cresceranno in una aiuola della piazza di Capannori, davanti alla sede del Comune, accanto ad un cartello con la scritta “Grazie dei fori. No mozziconi a terra” (slogan della campagna educativa realizzata dall’amministrazione a sostegno dell’iniziativa), mentre altre quattro (piantine di Tradescantia, anche conosciuta come erba miseria) staranno all’interno del palazzo.

Già alla sua partenza nel 2021 il progetto si è aggiudicato il Premio di eccellenza nazionale “Verso un’economia circolare” promosso da Fondazione Cogeme e ora prevede la messa a terra di altre piante, quindi la prototipazione del processo, per giungere finalmente ad una fase pre-industriale. A supporto di questo percorso, il Ministero dell’Università e della Ricerca ha finanziato una borsa di dottorato di ricerca e un posto di ricercatore, entrambi per la durata di un triennio, presso l’Università d Pisa.

Lorenzo Guglielminetti, coordinatore del progetto, ha così commentato: “La fase sperimentale di laboratorio ha dato utilissime indicazioni sulla concreta possibilità di utilizzare i mozziconi di sigaretta, opportunamente trattati, come substrato per la crescita di piante ornamentali. Contemporaneamente abbiamo isolato dei ceppi algali (la cui biomassa potrà essere usata per la produzione di biodiesel) in grado di depurare, anche se non ancora completamente, le acque reflue derivanti dalla pulizia dei mozziconi. Credo che questo progetto sia un buon esempio di come dalla sinergia tra mondo della ricerca e pubbliche istituzioni si possano sviluppare pratiche di economia circolare”.

Innovatec trasforma la discarica
in una miniera di materie prime

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“Nell’Italia povera di materie prime, nell’Europa che cerca approvvigionamenti fuori dai tentacoli dei monopòli, la miniera è nascosta sotto metri di rifiuti”. Inizia così l’articolo di Jacopo Giliberto che, su Il Sole 24 Ore del 5 gennaio 2023, racconta la storia di Greenup, Società che si occupa di gestione integrata dei rifiuti e che fa parte del Gruppo Innovatec, diversificato gruppo milanese attivo nell’ambito Cleantech e che prevede l’estrazione di materiali pregiati dai rifiuti gettati nelle discariche, testimoniando un caso virtuoso di economia circolare che merita di essere riportato come notizia IN.

A Bedizzole, fra Brescia e il Lago di Garda, la Greenup ha avviato, infatti, il primo progetto italiano di “urbanmining” (o “land mining”) che significa “scavare nei rifiuti per cercare le materie prime pregiate là nelle discariche in cui le avevamo tombate nei decenni scorsi”.

Dice Flavio Raimondo, amministratore delegato di Greenup: «Guardi che cosa hanno tirato fuori i carotaggi nella discarica: rame, alluminio, acciaio. Molto meglio di una miniera […] Il progetto è di due anni fa, e il nuovo piano rifiuti della Regione Lombardia promosso dall’assessore Raffaele Cattaneo ha aperto a questo tipo di attività di riscoperta dei materiali sepolti nel passato. La prima conferenza di servizio si è svolta pochi mesi fa, subito dopo l’estate. Ci trasformeremo in minatori appena sarà completato il percorso burocratico di autorizzazione».

Gli fa eco Luca Negrato, direttore degli impianti di Bedizzole «Questa sezione della discarica ha lavorato dal 1999 al 2003. Ha raccolto circa ottocentomila metri cubi di rifiuti, soprattutto ciò che rimaneva delle auto dopo la selezione delle parti che era possibile riciclare vent’anni fa. Oggi qui sotto restano tonnellate di acciai inox, gomma e pneumatici, grandi quantità di preziosissimo rame dei cavi elettrici e degli avvolgimenti, alluminio, zinco, vetro. La gommapiuma poliuretanica imbottiva i sedili, i tessuti rivestivano gli interni. E plastica, tanta plastica […] Le discariche sono semplicemente depositi temporanei di materiali che mettiamo da parte in attesa di trovare le tecnologie per poterli riutilizzare».

Il Gruppo, del quale l’operazione di ricupero di materie preziose dalla vecchia discarica di Bedizzole ad opera di Greenup è un importante progetto di economia circolare, è controllato dalla famiglia Colucci e presieduto da Elio Catania “supermanager dalle capacità visionarie che in passato aveva guidato colossi della complessità dell’Ibm e delle Fs” e che nel Gruppo ha trovato “la circolarità declinata nei fatti. […] Un gruppo nato sulla sostenibilità quando non era un tema condiviso. Oggi riciclare è diventato un tema centrale per le imprese e per la società italiana, insieme con altri argomenti correlati come i costi dell’energia, la scarsità di materie prime, il meccanismo perverso dell’inflazione: fenomeni diversi che hanno concorso insieme a creare una pressione fortissima sul sistema produttivo. La nostra azienda dà risposte a queste domande, per esempio trovando materie prime dai rifiuti — lo sa? i materassi usati che una volta non si sapeva come smaltire oggi sono la materia prima per realizzare pannelli fonoassorbenti — sviluppando per i nostri clienti progetti di efficientamento energetico e di riqualificazione, dotando le imprese di impianti a fonti rinnovabili e così via".

Risparmio idrico e riqualificazione idraulica sul Chiese

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Il PNRR finanzierà un importante intervento di manutenzione di una rete di canali di derivazione del fiume Chiese, con l’obiettivo di migliorare la gestione della risorsa idrica. Ci sembra una notizia IN che rappresenta un esempio di come l’innovazione possa consentire di contrastare le emergenze idriche che il nostro paese sta vivendo oltre che di un opportuno utilizzo delle risorse messe a disposizione dal PNRR. 

Così riporta il Sole 24 Ore il 23 marzo 2023:

Il complesso delle opere di derivazione del canale principale Roggia Lonata Promiscua e Roggia Lonata dal fiume Chiese fu realizzato, attorno agli anni ’60, in sostituzione di precedenti opere di captazione (grazie a un finanziamento del Ministero dell’Agricoltura e Foreste) nei comuni di Bedizzole e Lonato del Garda in provincia di Brescia, nell’attuale comprensorio del Consorzio di bonifica Chiese, posto nella parte orientale dell’alta e media pianura lombarda.

L’efficientamento di tali canali adduttori principali “a cielo aperto”, per una lunghezza di circa 13 chilometri, è oggi affidato ad un poderoso intervento manutentivo straordinario, finanziato dal PNRR e resosi ormai indispensabile, a causa dell’inevitabile deterioramento del rivestimento delle sponde inclinate e del fondo in calcestruzzo. Oltre ad aumentare la sicurezza idraulica, l’intervento è finalizzato a rendere più efficiente la gestione del territorio e della risorsa idrica, distribuita tra varie utenze agricole; inoltre permetterà la “bacinizzazione”, trattenendo l’acqua, grazie alla regolazione della pendenza globale del canale e delle sponde con il conseguente aumento dei volumi d’invaso. Le modalità d’esecuzione prevedono l’utilizzo di calcestruzzo additivato con impermeabilizzante e fluidificante, al fine di incrementare la resistenza al gelo ed agli attacchi di liquidi aggressivi, nonché il miglioramento dell’impermeabilità. Particolare cura è stata dedicata all’organizzazione dei cantieri ed alla gestione dei materiali, al fine di renderli ambientalmente e paesaggisticamente compatibili. Altro obiettivo dell’intervento è l’adeguamento strutturale e statico del canale, oltre all’efficientamento delle derivazioni mediante automazione controllata e all’eliminazione delle perdite di portata per infiltrazione. Le opere, finanziate con 26,5 milioni di euro dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, consentiranno di recuperare annualmente circa 6 milioni di metri cubi d’acqua. Si è ormai prossimi alla pubblicazione dell’appalto dei lavori, che saranno realizzati, come da cronoprogramma, entro i termini fissati dal PNRR. Il Consorzio di Bonifica Chiese intende così dare una risposta concreta alle esigenze della comunità, stante le difficoltà d’invaso del lago d’Idro e consapevole che i cambiamenti climatici imporranno, nei prossimi anni, nuove strategie per adeguarsi alla sempre minore disponibilità idrica. Questo si concretizzerà in un miglioramento della fruibilità del reticolo consorziale, nonché nell’assetto paesaggistico dei territori; altre opere sono previste per aumentare la capacitò di trattenere le acque di pioggia, oltre al miglioramento delle tecniche irrigue offerte dalle nuove tecnologie.

Ci piace selezionare questa, tra altre notizie relative a imprese che agiscono sul risparmio idrico, perché ci dà l’occasione di ricordare che proprio il fiume Chiese è stato protagonista di un’antica storia di economia circolare e di proficuo rapporto industria-ambiente: a Muscoline, nel 1894, fu proprio un canale di deviazione del fiume Chiese lungo 830 mt a rendere possibile il funzionamento di una centrale elettrica in grado di alimentare tutto il paese, mentre tutti gli altri Comuni utilizzavano ancora lampade a petrolio.

Tale centralina è stata attiva sino al 1952 e, mentre la centralina originaria è ora conservata al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, l’impianto di produzione idroelettrica è stato ripristinato nel 1988 ed è oggi ancora in funzione.

Mea culpa della Fed sul caso SVB

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La Federal Reserve ha recitato, come riporta Il Sole 24 Ore del 29 aprile 2023, un “mea culpa” per il fallimento di Silicon Valley Bank e la bufera che ancora aleggia sul sistema bancario. Michael Barr, Vice-Chairman responsabile della supervisione di Fed, ha completato un’inchiesta interna che, ricostruendo la vicenda SVB, ha evidenziato le relative mancanze della banca centrale e raccomandato nuova severità contro i rischi eccessivi:

La Fed, denuncia il rapporto, non ha riconosciuto la gravità dei problemi accumulati da una delle principali venti banche americane. Alla radice della debacle “debolezze nelle regole e controlli che devono essere affrontate”, compresi interventi tardivi e “non abbastanza decisi”, “standard normativi insufficienti”, inadeguata “urgenza” e incomprensione delle “conseguenze sistemiche” del crack di SVB. I supervisori, ha rilevato l’indagine, hanno promosso il management della banca dal 2017 al 2021 nonostante avessero notato crescenti problemi. Di più: hanno ridotto le risorse e ore dedicate alle verifiche sull’istituto del 40% in quattro anni. Alla radice di questo laissez-faire, ha incalzato Barr, ammorbidimenti delle riforme anti-crisi, adottati dal Congresso durante gli anni dell’amministrazione repubblicana di Donald Trump e applicati dalla Fed.

Occorre cambiare rotta, asserisce il rapporto, e rafforzare supervisione e regolamentazione. “Con i rischi nel sistema finanziario che continuano a evolvere, dobbiamo costantemente esaminare il quadro di controlli e regole ed essere umili sulla nostra capacità di valutare e identificare rischi nuovi ed emergenti”. Il Chairman della Fed Jerome Powell ha rilanciato il messaggio: “Concordo e sostengo le raccomandazioni su regole e pratiche di supervisione, ho fiducia che così avremo un sistema bancario più resiliente”.

A dare urgenza alla presa di posizione è il nervosismo che tuttora attanaglia le banche a cominciare da un altro grande istituto regionale, First Republic Bank. Barr mette in guardia dall’inedita facilità con cui oggi si propaga un contagio: il fallimento di SVB, ricorda, “ha minacciato l’abilità d’un ampio ventaglio di banche di fornire servizi e credito”. La crisi di fiducia ha corso con la velocità di social media e tecnologia. I provvedimenti in gioco sono articolati. Anzitutto giri di vite sulle banche con oltre cento miliardi in asset anziché 250. Ma anche penalizzazioni per dirigenti di istituti malgestiti. E più generali obblighi di considerare, ai fini della posizione di capitale, perdite non realizzate (o guadagni) su titoli in portafoglio, una svolta negli standard che potrebbe richiedere tempo. Soprattutto scatta la promessa di una rivoluzione tra i regulators: “occorre una cultura che sproni i regolatori ad agire”.

Notizie OUT

Siccità ed emergenza idrica in Italia

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Il Sole 24 Ore del 06 marzo 2023, citando la fotografia scattata dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR di Bologna, traccia il quadro di un equilibrio idrico del nostro Paese che risulta largamente deficitario da Nord a Sud: l’Italia chiude gli ultimi 5 mesi con un deficit di piogge cumulate del 21% rispetto alle medie del trentennio 1991-2020. Un dato che al Nord tocca il 35%, al Sud si ferma al 13%. 

Le precipitazioni degli ultimi 5 mesi sono infatti cruciali per capire cosa succederà nei prossimi, perché piogge e nevi invernali diventano scorte per la stagione estiva: le prospettive non sono, perciò, affatto rosee, come si evince chiaramente anche da una raccolta di articoli che il Sole 24 Ore dedica all’argomento delle risorse idriche italiane, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, il 23 marzo.

Nel complesso, il rischio emergenza idrica per l’Italia è una grave notizia out, come risulta chiaramente considerando che: 

  • Gli impatti della siccità attuale per le aziende agricole saranno ingenti: l’anno scorso i danni provocati dalla mancanza d’acqua nelle campagne sono stati stimati in 6 miliardi di euro, ma secondo Coldiretti quest’anno rischiamo di fare persino peggio. L’agricoltura italiana sta cercando di attrezzarsi cercando modalità innovative per il risparmio dell’acqua, ma in molti casi si sta preparando ad accusare perdite, come quella che la giornalista Micaela Cappellini racconta così: “Alla Latteria San Pietro, una cooperativa agricola da 40 milioni di fatturato nel mantovano, hanno già fatto i calcoli: la siccità quest’anno farà perdere ai soci un milione di euro di fatturato. Noi produciamo Grana Padano – racconta il Presidente Stefano Pezzini – e il disciplinare di questo Dop richiede che una determinata percentuale di formaggi con cui vengono alimentate le mucche provenga dalla stessa area di allevamento. Con i prati secchi, è chiaro che saremo costretti a diminuire la produzione. I prati cui si riferisce non sono nemmeno prati qualsiasi: sono ambienti centenari – spiega Pezzini – si chiamano prati stabili perché non hanno mai avuto bisogno di essere né arati né seminati. E per la prima volta nella loro storia, per colpa della siccità quest’anno cominciano a seccare. In autunno dovremo ararli. Anche solo a pensarlo è un sacrilegio” (Sole 24 Ore, 22.03.2023).
  • Il record di siccità registrato e la forte riduzione dell’innevamento sull’arco alpino dovuta al cambiamento climatico, iniziano a farsi sentire sul settore idrico italiano, aggravando alcune sue costitutive fragilità. Il sistema idrico italiano, infatti presenta una “spiccata parcellizzazione gestionale per l’incompleta attuazione, soprattutto in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta, Trento e Bolzano, della riforma che nel 1994 ha avviato il servizio idrico italiano e necessita di rilevanti investimenti per rafforzare la propria resilienza e tenere il passo con l’Europa.” (Cheo Condina, Sole 24 Ore, 22.03.2023). Conseguentemente, vi si registrano, perdite ingenti nelle reti comunali di distribuzione: “pari al 42,2% (157 litri al giorno per abitante), con punte fino al 52,5% in Sicilia. […] Stimando un consumo pro-capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2020 soddisferebbe le esigenze idriche di oltre 43 milioni di persone per un anno intero. Al Sud la maglia nera: in nove regioni le perdite sono superiori al 45%; in Sicilia e Sardegna superano il 51%”. (M. Per., Il Sole 24 Ore, 22.03.2023).
  • I prelievi di acqua potabile nella rete comunale per impieghi pubblici e privati sono, inoltre, “al top in Europa ormai da un ventennio: il volume nel 2020 era pari a 9,19 miliardi di metri cubi; 25,1 mln di metri cubi al giorno, pari a 422 litri per abitante” (M. Per., Il Sole 24 Ore, 22.03.2023).

“Schiavi al Ministero”:
un bando del MIUR per lavoro senza compenso

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L’8 marzo 2023 il Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha pubblicato un bando che cercava 15 “esperti ad elevata specializzazione” per un incarico a tempo pieno, della durata di 18 mesi, a titolo completamente gratuito. Anche in seguito alle reazioni scandalizzate dei media, il 22 marzo il Ministro Anna Maria Bernini ha ritirato il bando e ha diffuso un comunicato in cui ha precisato che era frutto di un “errore tecnico” e che “il contenuto e i termini dell’avviso pubblico non rispecchiano la volontà e il modo di procedere del ministero che considera il lavoro comunque configurato come un impiego cui deve corrispondere un’adeguata retribuzione”. Concordi con le parole del Ministro, riteniamo che il fatto che un errore tecnico di questo tipo sia potuto accadere rappresenta comunque una grave notizia OUT, che vogliamo riprodurre con le parole usate da Massimo Gramellini nel suo editoriale IL CAFFÈ, che ha intitolato “Schiavi al ministero”:

“La piaga sociale della nostra epoca è la disoccupazione dei benestanti. Per farvi fronte, un bando del Ministero dell’Università (scoperto da Open) offre a quindici laureati in facoltà scientifiche un prestigioso impiego a tempo pieno, ma a titolo gratuito. Questo per scoraggiare chi, pur avendo gli altri requisiti, fosse sprovvisto di quello essenziale: la libertà dal bisogno di lavorare per campare. Una scoria volgare del passato, di quando ancora si pensava che il lavoro dovesse consistere in una prestazione a cui corrispondeva una retribuzione. Il tipico meccanismo egoistico che subordinava il piacere di produrre benessere per gli altri al bieco tornaconto personale. Ora, invece, chiunque abbia una buona rendita o una famiglia solvibile alle spalle può serenamente accostarsi a importanti incarichi, anche pubblici, senza la tagliola ricattatoria dello stipendio. Certo, la gratuità rimane un’ingiustizia, perché il lavoro va pagato, e pure bene. Si potrebbe provi rimedio prevedendo che ogni assunto a tempi pieno versi ogni mese alcun contributo-spese al ministero. Oltre a ridurre il debito pubblico, una simile mossa avrebbe il merito di mettere definitivamente fine alla fuga dei cervelli, nel senso che a quel punto in Italia non ne resterebbe più neanche uno. P.S. Il bando è dell’8 marzo, ma la ministra Bernini se ne è accorta ieri sera (21 marzo) e lo ha fatto ritirare “per errore tecnico”. Spero che al burocrate che lo ha emesso venga chiesto d’ora in poi di lavorare a titolo gratuito”.

Proverbi riletti per l'impresa

Tenacia e costanza
Proseguiamo con i proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa.
Suggeriamo un proverbio siciliano tratto dal libro di Marco Vitale, 2009,
“I Proverbi di Calatafimi”, Edizioni Studio Domenicano, pp.99-104

“Ci rissi lu surci a la nuci:
dammi tempu chi ti perciu"

"Disse il sorcio alla noce:
dammi tempo che ti perforo"
Competenza tecnica, conoscenza, apprendimento continuo sono i pilastri fondamentali di ogni azione positiva in ogni campo. Ma se è vero che la leadership non è solo pensiero ma anche azione, queste qualità devono essere sostenute da una grande tenacia, da una grande costanza e da una grande disponibilità a “fare la gavetta imparando”. […]

Se dovessi suggerire ai giovani un’attività che meglio predispone alla tenacia e alla costanza, non avrei dubbi nell’indicare l’alpinismo. Ogni attività sportiva, comprese le specialità velocistiche dell’atletica, richiede tenacia e costanza. Ma sotto questo profilo l’alpinismo ha qualcosa di più. Ti insegna a camminare con un passo commisurato, a un tempo, alla tua forza ed al tragitto da percorrere. Ti addestra a capire da lontano la lunghezza del cammino e le sue difficoltà. Ti obbliga a ricercare una relazione ottimale tra ritmo del respiro e ritmo dei passi. Nell’alpinismo si impara a capire che la vetta, da lontano quasi invincibile, man mano che lentamente ci si avvicina mostra contorni più accessibili. Da lontano sembrava respingerti; da vicino sembra invitarti a scalarla, passo dopo passo, in sicurezza, con rispetto. Nell’alpinismo si impara a mettersi in sintonia con il ritmo della natura, a sentirsi parte di essa, a distinguere fra coraggio e avventatezza, ad alimentare insieme un grande amore per la vita e la capacità di assumere dei rischi, a pensare che non basta salire sulla vetta; bisogna anche scendere in sicurezza. L’alpinismo ti insegna, al tempo stesso, la paura ed il controllo della stessa.

«Guai se in montagna non si provasse il senso della paura. Significherebbe essere incoscienti e non potersi più procurare la gioia sublime di poterla vincere» (Walter Bonatti, Le mie montagne, Zanichelli, 1976).

Tenacia e costanza sono necessarie per ottenere risultati importanti in tutte le attività umane. Il grande pianista che ci entusiasma con un’ora di concerto ha alle spalle ore e ore, mesi e mesi, anni e anni di tenaci esercitazioni. Il poeta che ci fulmina con le poche righe di un sonetto ha lavorato ore e ore alla ricerca del suono e del ritmo magico delle parole. Ma l’alpinismo, più di ogni altra attività, richiede tenacia e costanza. Esse sono connaturate all’alpinismo, che senza tenacia e costanza non esisterebbe. E chi lo pratica avverte che la tenacia e la costanza, a cui l’alpinismo ti obbliga, possono far sentire il loro benefico effetto anche in altri aspetti della vita, nel ritmo stesso che si dà alla propria vita.

Oggi anche l’alpinismo professionale ha subìto violente intrusioni tecniche ed esasperazioni agonistiche che ne hanno, in parte, snaturato l’essenza, trasformandolo spesso in gara di tecnologia e di velocità. E da qualche anno si dibatte molto su questi aspetti e sull’etica dell’alpinismo. Ma neanche questi sviluppi tolgono all’alpinismo — e soprattutto a quello escursionistico, al quale si rivolgono prevalentemente le mie riflessioni — il suo grande valore di insegnamento sulla tenacia e sulla costanza.

Naturalmente tenacia e costanza vanno anche viste in relazione agli obiettivi che si perseguono. Bonvesin de la Riva, milanese, terziario dell’Ordine degli Umiliati e professore di grammatica che nel 1288 scrisse il De Magnalibus Mediolani (Le meraviglie di Milano), che rimane ancora oggi il miglior libro su Milano e i milanesi, a un certo punto si domanda come mai, se Milano è una città piena di meraviglie e i milanesi così civili, l’esercizio del potere cittadino sia frequentemente così cattivo. Il motivo, risponde Bonvesin, è che il dominio della città viene spesso conquistato dagli “uomini delle tenebre", che tessono le loro reti oscure con tenacia e con costanza molto maggiori di quelle degli altri cittadini: “perché la potenza temporale tocca più spesso ai corrotti; e i figli delle tenebre, nelle loro iniquità, operano spesso con più passione e cautela che i figli della luce nelle loro opere”. E questa può essere una rappresentazione corretta anche della Milano odierna.

Anche in campo aziendale è necessario che tenacia e costanza siano bene indirizzate. Deming, il maggior teorico della qualità, studioso americano che ha insegnato teoria e pratica della qualità ai giapponesi, raccomandava sempre di verificare con cura gli obiettivi che si perseguivano, prima di raccomandare ai collaboratori maggior impegno e maggior tenacia.  Quando gli obiettivi non sono corretti, infatti, possono essere auspicabili minore impegno, minor tenacia e minor costanza.

Per non dimenticare

Henry Dunant

Pubblichiamo in questa sezione un breve profilo di Jean-Henry Dunant (1828-1910) a firma di Costantino Cipolla, utilizzato come introduzione della monografia che BPS Swisse ha dedicato al personaggio nella propria Relazione d’esercizio 2022. Dunant, visionario ispiratore della Croce Rossa internazionale, dimenticato in vita seppur premiato con il premio Nobel per la pace, è senza dubbio un personaggio da “non dimenticare”. 

Jean-Henry Dunant (1828-1910) nasce in una ricca famiglia di Ginevra di fede protestante, ma con connotazioni pietiste. A scuola non manifesta particolari attitudini e viene addirittura espulso dal Collegio Calvino per scarso rendimento. In parallelo, però, svolge un'intensa attività filantropica, prima di tentare un'avventura Imprenditoriale in Algeria, secondo le istanze della sua fede religiosa che fa del successo su questa terra la pre-destinazione per l'ascesa in Paradiso.

Avendo bisogno di Incontrare l'entourage di Napoleone III, impegnato nella Campagna d'Italia, si reca in Pianura Padana dove il gioco del destino lo fa giungere a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, la sera del 24 giugno 1859 e cioè lo stesso giorno della sanguinosissima battaglia (oltre 20'000 morti) di Solferino e San Martino, combattuta e vinta da Francesi e Italiani contro l'esercito austriaco. Ciò che appare ai suoi occhi lo sconvolge fin da subito con feriti ammassati in ogni luogo e grida di dolore ovunque. E questa visione la ritroverà e gli si imprimerà nella mente in modo indelebile e profondo. Ritornato nella sua Ginevra, egli avrà la genialità di trasformare in un libro (Un Souvenir de Solférino) questa solidarietà concreta e senza confini espressa dal cattolicesimo sociale lombardo e di renderla un'istanza universale e laica, con il «tutti fratelli» (amici e nemici) messo in bocca alle donne castiglionesi. 

A Ginevra, l'idea di un'associazione che si fonda su questi valori prende corpo, ma Dunant viene poco dopo dichiarato fallito e, data la cultura rigorosa del tempo e del luogo, egli di fatto viene sepolto da vivo. L’idea della Croce Rossa internazionale gli viene tolta dalle mani e Dunant vaga disperatamente per l'Europa, andando anche a dormire sotto i ponti della Senna. Il Comitato internazionale della Croce Rossa non si ricorderà mai di lui, ma nel 1901 egli riceverà Il Premio Nobel per la pace (condiviso con il politico ed economista Frédéric Passy) all'unanimità.

Dunant fu un pacifista convinto. Ebbe orrore della guerra e predicò e attuò il principio secondo cui, anche nei momenti più tragici e conflittuali della vita, il «tutti fratelli» mantiene Il suo intrinseco senso umanitario. Oggi, dopo tante tremende prove, la Croce Rossa è presente in tutto il mondo e assolve al suo dovere di carità verso tutti sia in tempo di guerra (come accade tuttora), sia in tempo di pace (protezione civile). E la stella di Dunant non può che brillare nel cielo, anche se nuvoloso, che illumina questi insostituibili, unici e ammirabiliinterventi umanitari.

Chi altri ha avuto successo in un'impresa del genere? Chi altri è all'origine di un'associazione che è riuscita a penetrare trasversalmente in tutte le fedi e religioni del mondo? Chi altri ha in ogni luogo e tempo unito, oltre ogni altra divisione? Chi altri, detto sinteticamente, come il genio creatore di Jean-Henry Dunant?”

Costantino Cipolla

Sociologo, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Ricordi della guerra partigiana in Val Camonica

Pubblichiamo anche il testo dell’intervento tenuto da Marco Vitale venerdì 21 aprile presso la Sala Polifunzionale del Comune di Sellero (BS), nel quale, su invito di Ecomuseo della Resistenza, Federazione Volontari per la Libertà, Associazione Fiamme Verdi, A.N.P.I, Sezione di Valsaviore e Alta Valle Camonica, ha raccontato i suoi ricordi della guerra partigiana in Val Camonica.
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Documenti

La montagna

Dall’archivio di Marco Vitale, riportiamo un elenco dei suoi scritti sulla montagna.
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VNZ News

Lezione di VNZ al percorso Elite in SDA Bocconi 


Mercoledì 8 marzo 2023, Stefano Zane e Sergio Piccerillo hanno tenuto una lezione sulle caratteristiche del contesto attuale e sui sistemi di controllo di gestione che queste rendono opportuni, nell’ambito del modulo dedicato a “L’impatto della crescita sul ruolo del responsabile amministrativo e sui sistemi di pianificazione e controllo” del percorso ELITE. Il percorso, disegnato da Elite insieme a SDA Bocconi e ad alcuni partner quali VNZ, si rivolge ad imprenditori e prime linee di Società eccellenti, avviate ad un percorso di crescita culturale e manageriale.


 

Fabbrica Futuro


Continuano gli eventi del ciclo Fabbrica Futuro organizzato dalla casa editrice ESTE e dedicato agli attori del mercato manifatturiero (il cui programma è visibile a questo link), di cui VNZ è partner, con la partecipazione di Stefano Zane e Sergio Piccerillo agli eventi di Torino il 3 marzo e Treviso il 14 aprile. Il ciclo è dedicato a riflettere su come il PNRR e le grandi trasformazioni che vi sono promosse potranno far evolvere la Manifattura italiana, scontrandosi con emergenze che mettono a rischio la continuità delle imprese: pandemia, tensioni geopolitiche, incremento dei prezzi energetici, inflazione, strette monetarie. Di fronte a queste sfide, sviluppo umano e tecnologico devono procedere all’unisono, in modo la fabbrica del futuro sappia interpretare il suo ruolo di sviluppo e progresso sociale.

Podcast Cotrugli


Inside Finance podcast ha tratto un podcast dalla giornata di presentazione del volume “Il libro dell’Arte di Mercatura” di Benedetto Cotrugli. L’attualità delle lezioni di un mercante del Quattrocento italiano tenutasi lo scorso 8 marzo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È possibile ascoltare il podcast di @INSIDE FINANCE PODCAST nelle principali piattaforme dedicate (Spotify, Apple Podcast, Spreaker, Amazon Music e prossimamente su Google Podcast e Audible).

Testimonianza COM.FIL.DEC.


Giovedì 30 marzo, Stefano Zane ha portato la propria testimonianza professionale nell’ambito del Master in Competenze Filosofiche per le Decisioni Economiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che VNZ supporta anche con la borsa di studio annuale intitolata alla memoria di Monica Rossetti.
La testimonianza ha raccontato agli studenti del master l’attività di Vitale-Zane &Co., i suoi riferimenti culturali, i valori che ne guidano attività e approccio e il modello operativo, facendo emergere chiaramente il valore di un approccio umanistico e filosofico all’impresa e al management e concludendo il suo intervento con una bella citazione di A. Einstein: “La mente è come un paracadute, funziona solo quando è aperta”.

Marco Vitale racconta Brescia ai ragazzi


Dopo aver fatto dono alle scuole che ne hanno fatto richiesta di 434 copie del suo ultimo libro “Brescia raccontata ai ragazzi - geografia, storia, carattere, cultura”, il 6 aprile Marco Vitale ne ha fatto un racconto dal vivo ai bambini che frequentano il doposcuola elementare presso la Fondazione Santa Marta. Pubblichiamo con l’occasione una bella recensione al libro firmata da Luciano Costa sul Settimanale della Diocesi di Brescia “La Voce del Popolo” del 16 marzo 2023.
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Marco Vitale Presidente Onorario di LU-VE S.p.A.


Il 28 aprile 2023, l’Assemblea degli azionisti di LU-VE S.p.A., importante società di produzione di scambiatori di calore ad aria quotata sul segmento Euronext Star Milano, ha rinnovato Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale per il triennio 2023-25, nominando Marco Vitale Presidente Onorario della Società. L’Investors, Newsletter di LUVE così riporta la notizia: “Il Consiglio di Amministrazione ha nominato il prof. Marco Vitale quale Presidente Onorario, persona di indiscusso prestigio professionale, che ha accompagnato l’affermazione e la crescita della Società sin dalla sua fondazione, essendo stato membro del Consiglio di Amministrazione di LU-VE dal 1986 al dicembre 2022”.

100 minuti VNZ


“Sviluppo ed economia di montagna: l’esperienza Unimont” sarà il titolo del prossimo 100 minuti VNZ che si svolgerà mercoledì 7 giugno alle 17.30 presso libreria Serra Tarantola di Brescia con l’intervento di Anna Giorgi, rappresentante Unimont (Università della Montagna) e testimonianza di Giacomo Pedranzini, imprenditore di origine valtellinese.
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Open House Milano

 
Sabato 13 e Domenica 14 maggio 2023 si è tenuta l’ottava edizione di Open House Milano, l’evento che coinvolge la città di Milano per valorizzarne l’architettura offrendo a un pubblico di curiosi e interessati un weekend di “architetture aperte”.
Alla manifestazione aderisce anche Vitale-Zane &Co., aprendo al pubblico i propri uffici di Milano, inseriti nello storico contesto del palazzo Pellegrini Cislaghi, che per l’occasione ha reso visitabile il proprio giardino, ove sono custodite affascinanti testimonianze architettoniche dell’antico monastero delle Dame Vergini alla Vettabbia, con cappella rinascimentale molto amata da San Carlo Borromeo, salvate dalla rovina e lì conservate.

VNZ Academy
 

Dal 15 giugno 2023 si terrà il terzo percorso formativo della Vitale-Zane&Co. Academy dal titolo “Inflazione chiama costing. L’analisi e la gestione dei costi in periodi di inflazione”. Il corso, di cui il Prof. Alberto Bubbio è il responsabile, si propone di approfondire l’argomento attraverso quattro incontri che prevedono lezioni teoriche e testimonianze.
Scarica il programma del corso.

 

Da non perdere

SUD. Il capitale che serve

Carlo Borgomeo
Vita e pensiero, 2022
15,00 €

Tempo di lettura: 4 min.

Dopo oltre settant’anni di interventi straordinari e politiche per il Sud, il divario economico e sociale con il Centro Nord resta immutato e l’annosa ‘questione meridionale’ sembra irrisolvibile. Certamente il reddito e le condizioni di vita nelle regioni meridionali in questi decenni sono migliorati, ma il problema resta, e trova una grave e sempre più evidente manifestazione nell’esodo di migliaia di giovani.

Quali sono le cause di questo fallimento? Le risorse assegnate al Sud sono state insufficienti? Il Sud non è stato capace di spenderle? Le politiche nazionali hanno privilegiato lo sviluppo del Nord? Le classi dirigenti meridionali si sono rivelate corrotte e in qualche caso colluse con la criminalità organizzata? Tutte queste motivazioni hanno una parte di verità, ma nel loro insieme non sono in grado di dare una risposta esaustiva e soprattutto di suggerire possibili soluzioni.

Una visione a tutto tondo del problema e l’indicazione di una via d’uscita sono presentate qui da Carlo Borgomeo. La sua tesi è che, dopo i primi anni d’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno, con la realizzazione di importanti infrastrutture, la politica del Sud si è sostanzialmente ridotta al trasferimento di risorse finanziarie, nell’illusione che questo determinasse automaticamente sviluppo. Ma l’esperienza dimostra che se il sostegno non incrocia la responsabilità e la vitalità delle comunità locali, diventa assistenziale e genera dipendenza. Bisogna invece investire, come condizione prima ed essenziale, nello sviluppo nel capitale umano e sociale. È questo il ‘capitale che serve’.

A dimostrazione della sua tesi Borgomeo dedica spazio anche al racconto di esperienze concrete nate al Sud da gente del Sud per lo sviluppo economico e sociale di territori e persone del Sud. Progetti di contrasto alle mafie, di accoglienza delle diversità, di welfare locale, di proposta scolastica e formativa, di recupero delle bellezze, dei saperi e dei sapori del territorio. Progetti che generano comunità e sviluppo economico, lavoro e crescita sociale.

Questa strada, tracciata anche attraverso difficoltà e ostacoli, può ora illuminare il cammino a interventi ben concertati tra pubblico e privato, tra Stato e Terzo Settore, che partano dalla conoscenza delle storie e delle esigenze specifiche delle comunità locali e dal loro coinvolgimento. È tempo ora di passare da politiche per il Sud a politiche con il Sud.

Riportiamo un estratto della rivista Sviluppo e Organizzazione N. 309 – Gennaio/Febbraio 2023, in cui, per la rubrica “Letture e riletture” Elisa Marasca ha parlato del libro di Carlo Borgomeo, con un commento di Marco Vitale e una risposta dell’autore.

Carlo Petrini, un nuovo umanesimo

Film intervista
Marco Manzoni
Marco Manzoni-Studio Oikos, 2023

Tempo di lettura: 2 min.

Carlo Petrini, gastronomo, scrittore, fondatore di Slow Food e di Terra Madre, è considerato uno degli esponenti più rilevanti di un nuovo paradigma culturale. Ha proposto una sorta di “rivoluzione lenta” a partire dall’idea del cibo come valore sociale e culturale, tenendo insieme le sue tre qualità essenziali: un cibo buono, pulito e giusto. 

All’inizio di questa conversazione ricca di stimoli con Marco Manzoni, Petrini parla delle sue origini e degli insegnamenti ricevuti in cucina dalla nonna. Si interroga poi su cosa direbbe la Terra se potesse parlare con la nostra lingua e interpreta i fenomeni estremi della natura come i segni e la reazione di un organismo vivente ferito che ci chiede di cambiare strada, mentalità, stili di vita e di consumo per non arrivare al punto di non ritorno. A suo parere, è necessario decolonizzare la mente e immaginare un nuovo pensiero che valorizzi la diversità ambientali, etniche e delle tradizioni culinarie come una ricchezza dell’ecosistema vita.

Petrini parla di progetti densi di significato simbolico come i “Granai della Memoria” e l’“Arca dei sapori” e del valore dell’“intelligenza affettiva” che ha imparato dai contadini di Terra Madre. E racconta alcuni incontri fondativi: quello con il poeta Tonino Guerra che sentiva “la bellezza come una forma di preghiera” e con la scrittrice Gina Lagorio a cui si sente legato da una forte tensione etica e dal ricordo di Bra, nelle Langhe, come “luogo della felicità”. La conversazione si conclude con la profetica “Lettera ai contadini sulla povertà e la pace” di Jean Giono, un riconoscimento alla sapienza dei contadini, e con il racconto poetico di un contadino coreano che evoca un umile atto di generosità per la Terra…

Soldi vs idee.
Come cambia il calcio fuori dal campo

Michele Uva e Maria Luisa Colledani
Mondadori, 2023
21,00 €

Tempo di lettura: 1 min.

Il calcio resta lo sport più popolare del mondo grazie alla sua semplicità. Ma fuori dal terreno di gioco è diventato un business sempre più complesso, economicamente articolato, che non distribuisce solo emozioni, ma anche ricchezza: una ricchezza, però, difficile da gestire. Grazie a Michele Uva, uno dei più qualificati dirigenti sportivi europei, oggi alla Uefa, e a una giornalista specializzata come Maria Luisa Colledani, queste pagine spiegano senza tecnicismi la vertiginosa evoluzione del sistema calcio fuori dal campo: il giro d'affari sempre crescente e le regole finanziarie, l'importanza della programmazione sportiva, la frontiera degli stadi smart, opportunità e criticità dei grandi eventi, l'entrata prepotente dei criteri ESG, il ruolo sempre più ampio della tecnologia, la valorizzazione dei giovani. Ma non solo: in un mondo tradizionalmente maschile si sta facendo strada la realtà del calcio femminile, a cui gli autori dedicano ampio spazio. Anche se chi è più ricco sembra destinato inesorabilmente a vincere, nel calcio di oggi occorrono manager capaci di anticipare le tendenze, di equilibrio e di pianificazione. La parola chiave è sostenibilità, non solo economica ma anche sportiva, ambientale e sociale. Per una ricetta vincente le idee contano più dei soldi.

Tenconi. Lo spazio sconosciuto dell'arte

A cura di Paolo Biscottini
Skira, 2022
33,25 €

Tempo di lettura: 2 min.

Sandra Tenconi è una sensibile, delicata e profonda artista interprete della grande pittura lombarda e il fatto che sia ancora una pittrice vivacemente attiva e impegnata, conferisce a questo libro un valore speciale. Il volume non è in onore di un’artista, ma la sua conferma nella contemporaneità, di cui Sandra avverte con preoccupazione, ma anche con la solita indomita passione, le contraddizioni e i rischi, avvinta comunque dalla sensazione di partecipare sempre all’affascinante storia del farsi dell’arte.

Il libro ripercorre per temi (Roccoli e Ticino; Natura e paesaggi; Figure; Autoritratti; Moni Ovadia; Teddy Bears; Forme sospese) la lunga vicenda artistica di una donna minuta che pensa in grande. Sandra Tenconi (1937) ha studiato a Brera con Aldo Carpi e Domenico Cantatore e ha al suo attivo una settantina di mostre personali, dalla prima a Varese, presentata da Dante Isella nel 1960, all’ultima antologica alla Fondazione BPL di Lodi. Ama lavorare en plein air o in studio sugli appunti presi sul posto. Il suo soggetto è in primo luogo la natura: le montagne, gli alberi, i tramonti, le cascate, i tronchi abbandonati, i fiori, le zucche. Ma anche la figura umana e il ritratto. La critica la colloca spesso nel filone del naturalismo lombardo, ma i suoi modelli di riferimento vanno più lontano, da Turner e Goya a Graham Sutherland. Le tecniche preferite sono l’acrilico, il pastello e l’acquerello. Ha tirato molte litografie con le Edizioni della Spirale, soprattutto per Olivetti. Paolo Biscottini è direttore del Museo Diocesano di Milano, che ha contribuito a fondare alla fine degli anni Novanta. È stato direttore dei Musei Civici e della Villa Reale di Monza e di Palazzo Reale a Milano.

Alla Galleria Biffi Arte di Piacenza si è recentemente svolta la mostra dell’artista “Montagne care, voi non mentite”: leggi il comunicato stampa.

Giorgio Correggiari:
Il ribelle della moda

G. M. Conti
Lupetti, 2023
29,90 €

Il volume ricostruisce grazie a una complessa storia fatta di immagini, saggi e testimonianze di amici, colleghi ed ex collaboratori, la figura di Giorgio Correggiari designer di moda e grande sperimentatore tessile che ha operato dagli anni ’60 in poi all’interno del sistema moda italiano.
Il volume nasce da un progetto di Lamberto Correggiari, fratello, artista e complice, sin dalle prime scorribande infantili, che ha creato un gruppo di ricerca colto e appassionato per scrivere questa storia basata sulla ricchissima documentazione conservata nell’archivio di Giorgio e Lamberto.
 
Hanno collaborato a questo numero:
Sara Belotti, Nicola Boni, Lamberto Correggiari, Margherita Saldi,
Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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