NEWSLETTER n. 4, marzo 2020
Come far fronte all’enorme azzardo morale creato dal fatto
che i governi considerano l’irresponsabilità finanziaria
un bene collettivo?
 
 Colin Crouch, 2012
PRIMO PIANO

Ammaestramenti del Coronavirus

Il Coronavirus, da come ce lo descrivono e dai suoi comportamenti, possiamo immaginarlo come un giovane pieno di energia, di voglia di vivere, di crescere, di viaggiare in tutto il mondo. Purtroppo per lui si scontra con le nostre esigenze di sopravvivenza e verrà, prima o poi, domato dai potenti mezzi della scienza umana. Ma, essendo un giovane generoso, non si limita a liberarci dai vecchi, già ammalati come tanti telegiornali ci annunciano quasi con un sospiro di sollievo, (la peste è anche una scopa, diceva Don Abbondio), ma cerca di donarci degli utili ammaestramenti, dei quali dovremmo cercare di fare tesoro. Su alcuni di essi possiamo, in tutta umiltà, tentare qualche prima riflessione, con particolare riferimento alle problematiche delle organizzazioni.

1. Cigno nero o cigno bianco

L’economista Nouriel Roubini ha affermato che il Coronavirus non è il classico cigno nero che scompiglia le carte, ma è un tradizionale cigno bianco, cioè un rischio che era prevedibile ancorché sottostimato. Roubini sbaglia. È vero che da tempo si parla del rischio generale di pandemie accentuate nel mondo globalizzato. Ma nessuno aveva seriamente la possibilità, e quindi il dovere, di prevedere se, quando e con che velocità ed intensità sarebbe scoppiata la prossima pandemia. Dunque il Coronavirus rientra, a pieno titolo, nella nobile categoria dei cigni neri. Le imprese devono avere delle riserve (di flessibilità, reddittività, difesa finanziaria) per fronteggiare e, comunque, attenuare i danni dei cigni neri. Che, sempre, prima o poi, arrivano. E quando non ci sono riserve e non si è preparati possono fare molto male. E questo è il primo ammaestramento. 

2. Smart working e telelavoro

Grazie al Coronavirus molte imprese, soprattutto di servizi, anche della PA, e perfino del sistema giudiziario, hanno finalmente scoperto questi oggetti misteriosi chiamati “smart working” (lavoro da casa) e telelavoro (in collegamento a distanza).  Esse si stanno rendendo conto che questa forma di riorganizzare il lavoro, nella quale l’Italia è terribilmente arretrata, ha dei vantaggi semplicemente enormi sia per le imprese che possono praticarla, che per il sistema logistico ed il territorio che per il benessere del loro personale. Se questo secondo prezioso insegnamento del giovane virus avrà il tempo di penetrare finalmente a fondo nella testa dei nostri manager e imprenditori, il vantaggio, in termini di produttività, del sistema Italia sarà enorme e ripagherà di tanti disagi. Ma per praticarlo in modo stabile bisogna organizzarsi, prima nella testa poi nelle procedure. È un vero e proprio percorso di riorganizzazione culturale che è necessario realizzare, anche grazie allo stimolo del Coronavirus.

3. Fiducia e lavoro

Forse, una volta, il lavoro si basava su rigide gerarchie, sul comando imperioso, sull’adesione passiva del lavoratore. Ma oggi il lavoro, e soprattutto il buon lavoro, si basa sul rispetto e sulla fiducia dei collaboratori verso i capi e dei capi verso i collaboratori. Fiducia vuol dire responsabilità, credibilità, autonomia, ma non anarchia e quindi con rispetto del sistema se questo è giusto, trasparente, compreso e condiviso. Il Coronavirus ci ha fornito qui un ammaestramento limpidissimo, per chi vuole intenderlo. Dopo una prima fase di reazioni tutte giocate in termini: noi, italiani, siamo i migliori; noi, governanti degli italiani, siamo i migliori dei migliori; perciò lasciate fare a noi che sappiamo come fare; e voi obbedite e basta; quando è emerso con la forza delle statistiche che il sistema produceva risultati cattivi,  tra i peggiori del mondo, è partita (insieme a tentativi di addolcire le statistiche) una nuova fase di appelli, talvolta piagnucolosi, alla fiducia. Dovete avere fiducia, dovete dare fiducia, dovete dispensare fiducia, dovete comportarvi con fiducia, guardate alle nostre eccellenze, guardate allo Spallanzani dove hanno guarito persino due cinesi ammalati molto gravi che, forse, avevano persino mangiato dei topi; e poi tutti i morti sono vecchi ed erano già ammalati di loro (in fondo lo dicevano anche i greci: la vecchiaia è essa stessa una malattia); è vero che anche la notizia che ci avevano dato che il virus non si attacca ai bambini è stata smentita dalle statistiche ma non smentito è il fatto che il virus sarà molto rispettoso e gentile verso i giovanissimi. Abbiate dunque fiducia e puntiamo sui giovani! Per fortuna un po’ di fiducia sopravvive nel nostro popolo persino a questi penosi appelli, ma sopravvive perché tanta gente e tanti operatori sanitari sono mossi dalla fiducia vera, dal proprio impegno e senso del dovere che non deriva dagli appelli ma da quella che i filosofi greci chiamavano: la buona indole. Già Lutero scriveva che nelle nostre città ci sono i diavoli in così gran numero che saremmo certamente spacciati se non ci fossero anche, tra di noi, tanti angeli che ci aiutano a vivere e a sopravvivere ai diavoli. La fiducia è importante ma non sprechiamola. Riserviamola per gli angeli tra noi, impariamo a riconoscerli, rispettarli, amarli, avere fiducia in quello che ci indicano e ci consigliano. Ma la fiducia è una cosa molto seria, è la base della convivenza civile, sia nell’impresa che nella città, non è una concessione, né si può improvvisare. È qualcosa che si costruisce piano piano, con impegno, coerenza, serietà, amore. Un amico, bravissimo manager italiano, rifiutò sempre i miei inviti a fare una lezione in Bocconi e si scusava dicendo: cosa vengo a dire? L’unica cosa che posso dire seriamente ai giovani è di mettere ogni mattina un buon mattone sopra l’altro nel modo e nel posto giusto. Ogni mattina! Non si possono trattare a lungo i cittadini come delle merdazze, non si può derubarli di valori immensi nei decenni, non si possono organizzare interi settori delle PA non sul merito ma sull’appartenenza partitica, non si può per decenni umiliare il lavoro rispetto al potere finanziario, non si possono distruggere le piccole imprese, gli artigiani, le edicole, le banche territoriali, continuamente inginocchiati di fronte al grande denaro e al grande potere, e, poi, solo perché sbuca dal nulla un giovane virus giocherellone, precipitarsi in TV ad implorare fiducia.  Avevo iniziato a contare questi appelli, ma poi ho desistito tanto frequenti e totalmente privi di credibilità essi erano. Fiducia a chi e perché e per che cosa? Dobbiamo certamente avviare un grande lavoro di ricostruzione della fiducia in Italia, nelle nostre città e nelle nostre imprese. Da qui può e devono uscire speranza e fiducia. Ma non saranno gli appelli, ma solo il bene fare prolungato nel tempo, il reiterato e credibile buon governo a scalfire la muraglia di sfiducia che oggi ci attanaglia.

4. Organizzazione, fiducia e lavoro.

La buona organizzazione è come la fiducia. Non si improvvisa, si conquista, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone. Senza fiducia non ci può essere buona organizzazione perché questa richiede la collaborazione di tutti i partecipanti. Ma senza essere cementata da una buona organizzazione la fiducia tende a sgretolarsi e disperdersi. Drucker racconta, in uno dei suoi tanti importanti libri, che nell’esercito americano per formare un elettricista finito ci voleva un certo tempo. Ma quando scoppiò la grande guerra questo tempo si ridusse a un terzo. Questo racconto evidenzia una importante verità: la grande emergenza riduce enormemente i tempi di reazione e realizzazione. Bisogna diventare tutti più bravi, più veloci, più impegnati, più tesi: fare di più con meno, fare di più in meno tempo. In altre parole migliorare l’organizzazione, il che vuol dire diventare tutti più produttivi. Perché questa accelerazione si verifichi, senza scendere in qualità (gli elettricisti devono essere comunque finiti anche se preparati in meno tempo) è comunque indispensabile che preesista una buona organizzazione, capace di ricevere e guidare le sollecitazioni ricevute dall’emergenza.  La vicenda del Coronavirus rappresenta un ottimo ripasso per questi temi e problematiche fondamentali. Bisognerà riflettere molto ed imparare, per migliorare non per accusare o condurre campagne elettorali come alcuni trogloditi della nostra politica vorrebbero fare. In questo spirito e come semplice contributo alla futura discussione che mi auguro profonda e onesta, tento alcune prime riflessioni. L’Italia ha un buon e collaudato sistema per le emergenze che si chiama: Protezione Civile, che ha già dato buone prove, turbate ma non offuscate da altre prove meno gloriose soprattutto ai tempi di Berlusconi primo ministro. Ho avuto l’opportunità di conoscere ed ammirare la Protezione Civile nel suo inizio, ai tempi del terremoto del Friuli negli anni ’70, e poi di collaborare con la stessa, in Albania, ai tempi della Guerra del Kossovo. In Friuli ammirai l’energia e la lucidità organizzativa del suo grande fondatore, il mai sufficientemente compianto Zamberletti. Il suo pensiero organizzativo era chiarissimo: una sicura guida strategica e direttiva centrale altamente professionale, un larghissimo decentramento ed autonomia agli enti territoriali locali; una fitta rete coordinata di volontari civili animati soprattutto da passione e senso civico. Questa eccellente impostazione organizzativa è sopravvissuta anche all’epoca in cui si caricò la Protezione Civile di compiti impropri al servizio del governo Berlusconi, ed è ancora la sua forza. Anche nella sfida più difficile, quella attuale del Coronavirus, sta dando buona prova, soprattutto con la sua capacità di difendere una impostazione rigorosa, apprezzata anche dall’OMS, dai mille sfilacciamenti sollecitati dalla politica politicante. Questa sfida presenta però qualcosa di nuovo in quanto richiede un ruolo fondamentale della conoscenza scientifica e qui tutti, compresa la Protezione Civile, soffriamo dello scarso ruolo e rispetto che la conoscenza scientifica gode nel nostro Paese. Si è sentita e si sente la mancanza di un organo direttivo scientifico di vertice formato da un numero ristretto di scienziati, capaci di parlare con una voce sola ed autorevole e di zittire il vocio dilettantesco del circolo mediatico-televisivo-politicante, che è forse più dannoso dell’esuberante Coronavirus e che è implacabile distruttore di fiducia con le sue esibizioni televisive pagliaccesche e dilettantistiche. La Protezione Civile fa parte del Paese serio che resiste, un antidoto alla sfiducia e dunque dobbiamo volerle bene. Ma se da questa vicenda il ruolo della scienza nell’organizzazione del nostro Paese farà un passo in avanti dovremo, lo si voglia o no, essere grati al Coronavirus. 

5. Il sistema italiano delle autonomie locali è da riformare alla radice

Il tema è chiaro. Lo svolgimento è difficile e non può che essere affidato ai movimenti giovanili che, confusamente, aspirano ad un Paese più civile. Impegnatevi per un’Assemblea volontaria costituente autoconvocata che elabori un ridisegno radicale delle autonomie locali e soprattutto delle autonomie regionali. Il test è inequivocabile: il Coronavirus ha svelato quello che già molti sapevano. L’attuale sistema delle autonomie locali, con lo svuotamento del ruolo dei comuni e il continuo ed esagerato rafforzamento delle autonomie regionali è inaccettabile. Mai più esibizioni televisive penose come quelle che ci hanno impartito i presidenti di due grandi ed importanti regioni come la Lombardia e la Sicilia! Se e quando avremo realizzato questo obiettivo, saremo più ferrati per affrontare il prossimo Coronavirus.

6. Il sistema sanitario italiano ha bisogno di una profonda revisione

Da più di un decennio circola la “fake news” basata su passati incauti giudizi dell’OMS sorretti da alcune sue statistiche, che il sistema sanitario italiano è il migliore del mondo con il corollario che essendo il sistema sanitario lombardo il migliore italiano è proprio quello lombardo il sistema sanitario migliore del mondo. Gloria dunque a Formigoni ed alla sua amata Comunione e Liberazione, ai saccheggi perpetrati e provati da sentenze, alla politica sbilanciatissima a favore di operatori privati, e poi alla Lega con la sua feroce selezione della classe medica, paramedica e direttiva prevalentemente in base all’affiliazione ed alla tessera di partito come ai tempi del fascismo. Sono stato impegnato in Sanità per parecchi anni e devo dire che è stata la mia esperienza professionale più bella, proprio perché mi ha permesso di capire la grande professionalità di tanti medici ospedalieri e di tanto personale paramedico. È un mondo pieno degli angeli di cui parla Lutero contro i diavoli, affaristi e politicanti, che della sanità si servono per ragioni di affari o di potere. La sanità lombarda è ancora forte ma semplicemente perché è da 500 anni che qui si fa buona sanità e buona ricerca medica e il patrimonio accumulato è molto alto. Ma se non lo si difende schierandosi a fianco degli angeli che lo proteggono è destinato ad esaurirsi. Certamente abbiamo ancora in Lombardia degli esemplari di eccellenze medico-scientifiche ed è un patrimonio che dobbiamo amare. Ma amare vuol dire difendere. Chi conosce la realtà sa che, al di sotto di queste eccellenze, il sistema lombardo è scosso da tempo da profondi scricchiolii. La storia che segue non è un’eccezione ma è piuttosto emblematica di cosa può succedere ad una cittadina normale che è stata colpita dal Coronavirus ed è ora in autoisolamento a casa sua:

“Il 17 febbraio ero andata dal mio medico di famiglia con quella che sembrava un’influenza. Non mi ha visitata, mi ha dato un certificato di malattia di una settimana. Tre giorni prima, venerdì 14 avevo la febbre, 38 e mezzo. Ma quel che mi ha insospettita, è stata la tosse. Secca, non passava. Il tampone mi è stato fatto a Treviglio e spedito a Pavia. Martedì è arrivato il responso: Covid – 19. A Bergamo mi hanno tenuta un giorno e subito dimessa. Sto bene. Ora, mi auto-monitoro. Certo, a casa, non ci sono controlli. Potrei andare dove mi pare, nessuno verifica. Ma prima ho chiamato il 112 per un giorno intero, il 14 febbraio, senza ottenere risposta. Quando a fine mattina del 15 sono riuscita a parlarci, mi hanno detto che sarei stata ricontattata dal ministero, ma nessuno si è fatto vivo. Allora mi sono rivolta al Sacco dove ero stata ricoverata tanti anni fa per una polmonite virale, e loro mi hanno consigliato di andare al pronto soccorso a Treviglio. E qui è cominciato il mio calvario. Quando ho detto al medico di guardia che lavoravo in un’azienda in cui le persone viaggiano in Asia, Corea e Cina, per poco non mi prendeva a male parole. Mi ha detto che non mi sarei dovuta presentare, allora gli ho mostrato il telefono con tutti i tentativi che avevo fatto, al 112, al Sacco. A quel punto, lui e i suoi colleghi mi hanno chiusa in un ufficetto dismesso accanto all’accettazione con due scrivanie, un tavolo per garze, senza bagno, e mi hanno messa a dormire su una barella volante recuperata in qualche corridoio.  Ho dovuto usare la padella e un lavandino dove lavarmi. E’ stato terribile. Sono rimasta in queste condizioni dal 22 febbraio dalle 19,30 alle 6,30 del 25 febbraio quando sono stata trasferita a Bergamo”.

Anche questa è sanità lombarda. E storie simile a questa si stanno infittendo a prescindere dal Coronavirus. Vi sono intere zone, come ad esempio Valtellina, dove la sanità lombarda (anzi leghista) è semplicemente a pezzi ed è destinata ad un continuo peggioramento, almeno dal punto di vista dei cittadini e non degli speculatori che pretendevano un nuovo ospedale mentre l’unica cosa di cui ci sarebbe bisogno è una nuova dirigenza. L’emergenza Coronavirus mette dunque solo a nudo una debolezza in atto da tempo della sanità lombarda. Questo non deve peraltro distrarci da altre storie positive bellissime. Proprio nei giorni in cui esplodeva il Coronavirus sono trascorsi i “cento giorni dal trapianto” che hanno permesso a Gabry, milanese di due anni, dopo un eccezionale trapianto delle cellule staminali emopoietiche agli Spedali Civili di Brescia, di tornare a casa. Gabry, era l’unico italiano affetto da una rara malattia genetica per cui trovare il donatore (una persona compatibile su centomila) e la salvezza chirurgica di “Gabry little hero” è stato un miracolo di amore, generosità, collaborazione, scienza, buona sanità, un miracolo emozionante (ci rallegra in modo particolare che questo miracolo sia avvenuto nello stesso ospedale pubblico dove poco tempo fa il laureato in lettere Davide Vannoni, con l’approvazione del Comitato Etico e con la connivenza della Regione Lombardia, riuscì a rifilare al pubblico intrugli magici contro il cancro, fortunatamente poi condannato per truffa.

Quella di Gabry è la sanità lombarda che amiamo ma se vogliamo che sopravviva e magari si potenzi dobbiamo difenderla. Non si può per decenni massacrare la sanità, derubarla, tagliarla continuamente, riempirla di affiliati e poi pretendere che dia il meglio di sé al momento dell’emergenza. Questo ci dice il Coronavirus: per essere pronti per le emergenze, per i cigni neri, bisogna essere robusti, avere delle riserve, investire continuamente nella scienza e professionalità medica e para-medica.  Sono proprio scosse come quella inferta dal Coronavirus che devono renderci più coscienti di che immenso patrimonio sia il Servizio Sanitario Nazionale e di come proteggerlo dagli affaristi e dai politicanti sia uno dei maggiori compiti di noi cittadini. Respingiamo alla radice il modello americano e cacciamo gli affaristi dal tempio della buona sanità. 

7. Messaggini finali

Avendo percepito da parte nostra se non certo una simpatia almeno una capacità di ascolto, il giovane Coronavirus ci ha mandato alcuni messaggini personali che riproduciamo come li abbiamo ricevuti, virgolettati:

  • “non capisco se sono ancora in vigore l’art. 117, titolo V della Costituzione italiana che stabilisce che: lo Stato ha legittimazione esclusiva sulle seguenti materie: dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; e l’articolo 120 della stessa che stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di pericolo grave per la sicurezza  e l’incolumità pubblica”.
  • “non capisco se coloro che approfittano del mio intenso lavoro per pretendere, in una fase cruciale dello stesso, un cambio di governo, siano italiani o alieni e perché se sono così favorevoli alla mia azione non vengano isolati. Io sono un giovane serio e non mi piace di essere strumentalizzato”.
  • “Vi voglio invece, assicurare che il boom televisivo di virologi o aspiranti tali e di opinionisti e annessi e connessi, non era stato da me assolutamente previsto. Si tratta di un semplice effetto collaterale indesiderato. Vi chiedo scusa e, se di interesse, potrei suggerire ai dirigenti della televisione il nome di un buon psichiatra specialista”.
  • “Non potete eludere la domanda che, al di là di scuse e manipolazioni, resta quella centrale: come mai, se siete così bravi come dite, è proprio in Italia che ho mietuto così larghi successi e dei quali vi sono grato?”

Queste sono le prime riflessioni che ci suggerisce il Coronavirus con i suoi ammaestramenti.  Auguriamoci che la nostra collettività utilizzi questa dolorosa sfida per migliorare la propria cultura e la propria organizzazione sociale. Scienza, conoscenza, buona organizzazione, rispetto reciproco e fiducia devono diventare i pilastri della nuova Italia che dobbiamo, in gran parte rifondare anche seguendo la mappa del tesoro che il Coronavirus ci aiuta a tracciare.

Marco Vitale

IN & OUT

Gabry little hero,
operazione eroica al Civile di Brescia

In questi giorni il piccolo Gabry, milanese di due anni, ha festeggiato i 100 giorni dal trapianto delle cellule staminali emopoietiche, effettuato presso il gli Spedali Civili di Brescia, ed è tornato a casa terminando la quarantena post-operatoria.

Un’operazione di successo che è stata possibile grazie all’incontro con un anonimo sconosciuto donatore che è il “gemello genetico” del piccolo Gabriele, affetto da una rarissima malattia (unico italiano su circa 20 casi al mondo) chiamata SIFID (anemia sideroblastica con immunodeficienza delle cellule B, febbri e ritardo dello sviluppo).

Per questa malattia l’aspettativa di vita è quattro anni, l’unica speranza è il trapianto del midollo osseo e la possibilità di trovare il donatore “gemello” (in genere i parenti non sono compatibili) è una su centomila.

In Italia ci sono 435 mila donatori che secondo la percentuale di compatibilità, possono soddisfare forse quattro malati, mentre in Germania i donatori sono circa 8 milioni pari a quasi il 10% della popolazione.

La storia di Gabry, dei suoi genitori che non si sono arresi e che hanno avviato una ricerca del “gemello genetico” a livello mondiale (Gabry little hero la pagina Facebook) e dei medici dell’ospedale bresciano che hanno effettuato l’operazione è senz’altro una “Notizia In”, anzi una buonissima notizia, specialmente di questi tempi. 

Una storia di amore, di speranza, generosità e scienza.

Aumenta ancora la concentrazione della ricchezza

A fine gennaio 2020 è uscito il rapporto dell’Onu ” World Social Report 2020” (https://www.un.org/development/desa/dspd/wp-content/uploads/sites/22/2020/01/World-Social-Report-2020-FullReport.pdf) con dati allarmanti che dimostrano come la concentrazione della ricchezza e le diseguaglianze stiano, anno dopo anno, aumentando in misura impressionante.

Riportiamo solo alcuni dati:

  • Due terzi della popolazione mondiale vive in Paesi dove le diseguaglianze sono aumentate;
  • l’1% della popolazione più ricca, sotto il profilo patrimoniale, deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone;
  • In Italia, il 10% più ricco possedeva oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero dei nostri connazionali. Quota di ricchezza che, in vent’anni, per i più ricchi è aumentata del 7,6%, mentre per i più poveri si è ulteriormente ridotta del 36,6%;
  • L’anno scorso inoltre, la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco degli italiani superava quanto detenuto dal 70% più povero, sotto il profilo patrimoniale;
  • Nel 2018 (secondo i dati Oxfam) 26 super miliardari possedevano la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale. Un dato ancora più allarmante se lo si confronta con il numero di individui che ancora oggi sopravvivono con meno di 5,5 dollari al giorno, che sono circa 3,4 miliardi di persone.
  • Nel 2017 coloro che detenevano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale erano 43 e nel 2010 erano 388.

È impressionante la velocità con cui il divario tra ricchi e poveri si sta ampliando.

Tra le cause più rilevanti di questo preoccupante fenomeno, che tra l’altro alimenta nazionalismi di vario genere nel mondo, possiamo certamente includere il fenomeno della cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”. Con questo termine si intende “la crescita del settore finanziario e del suo potere sull’economia reale, compresi i modi di agire, i valori e le pratiche con cui il settore finanziario ha influito sull’evoluzione del resto della Società”. 

Si tratta del fenomeno, grosso modo partito negli anni ’80 del Novecento, che diventa rapidamente cultura dominante sostenuta soprattutto dalla scuola di Chicago che fa capo al premio Nobel Friedman, secondo cui l’unica funzione dell’impresa è quella della massimizzazione di valore degli azionisti (principio del “maximization of shareholder value”) e che l’unico obiettivo del management è quello di perseguire e realizzare questo obiettivo. Questa teoria è diventata rapidamente dominante in tutto il mondo occidentale con esclusione della Germania e del Giappone.

Questo approccio all’economia sappiamo essere stato anche una delle principali cause della crisi finanziaria mondiale del 2008, infatti il premio Nobel per l’economia, 2001, Joseph E. Stiglitz ci spiega che: “la crisi non è stata il frutto di un volere divino, come un diluvio o un terremoto. È stata il risultato delle nostre politiche e della nostra politica” .

Stiglitz fa chiaro riferimento alla politica ed alla cultura economica americana che, se negli ultimi settanta anni è stata punto di riferimento per tanti e in tanti campi, oggi invece ha abbandonato questo ruolo di leadership, anche morale, ed è forte di fatto solo sul piano militare.

A tale riguardo può essere utile riportare i 14 difetti che Philip Kotler (di formazione economica presso l’Università di Chicago, allievo di Milton Friedman, di Paul Samuelson e Robert Solow, uno dei massimi guru del Marketing), identifica nel capitalismo attuale americano e che richiedono una profonda riforma:

  1. propone poco o nulla per risolvere il problema della povertà;
  2. tende a far aumentare la disparità del reddito e l’ingiusta ripartizione delle ricchezze;
  3. non garantisce un reddito dignitoso a miliardi di lavoratori;
  4. rischia di non poter garantire un numero sufficiente di posti di lavoro a fronte della crescente automazione;
  5. non impone alle aziende di coprire appieno i costi generati dalle loro attività;
  6. sfrutta l’ambiente e le risorse naturali in assenza di regolamentazioni;
  7. amplifica i cicli economici e crea instabilità nell'economia;
  8. dà la priorità all’individualismo e all’interesse personale a spese della comunità e dei beni comuni;
  9. incoraggia un elevato indebitamento dei consumatori e conduce a un’economia sempre più guidata dalla finanza anziché dai produttori;
  10. permette a politici e aziende di lavorare insieme per contrastare gli interessi economici della maggioranza dei cittadini;
  11. favorisce la pianificazione dei profitti a breve termine rispetto alla pianificazione degli investimenti a lungo termine;
  12. non prevede normative sufficientemente adeguate sulla qualità dei prodotti, la sicurezza, la veridicità dei messaggi pubblicitari, i comportamenti contrari alla concorrenza;
  13. tende a concentrarsi eccessivamente sulla crescita del PIL;
  14. non inserisce i valori sociali e la felicità nella visione del mercato. 

Dobbiamo quindi continuare a lavorare affinché torni a riaffermarsi la cultura che considera l’impresa, ed il porre al centro dell’agire di impresa la persona, il vero motore di sviluppo per la società.

  1. Joseph E. Stieglitz – premio Nobel per l'economia nel 2001
  2. Joseph E. Stieglitz: The Great Divide. Unequal Societies and what we can do about them (2015). Ed. Italiana: La grande frattura. Le disuguaglianze e i modi per sconfiggerla, Einaudi, 2016.
  3. Philip Kotler, Confronting Capitalism, Real Solutions for a Trembled Economic System, 2015 (ed. Italiana: Ripensare il capitalismo, Hoepli Editore, 2016).
VNZ NEWS

"100 MINUTI DI"
Il caso OMB Saleri

Lo scorso 24 gennaio, in occasione dell’incontro 100 Minuti di, abbiamo incontrato Paride Saleri, presidente di OMB Saleri Spa. Abbiamo avuto la conferma che l’uomo è il protagonista dello sviluppo e che l’Imprenditore ha la responsabilità di garantire la continuità nel tempo dell’impresa, anche dopo di lui. Si può raggiungere questo obiettivo solo attraverso l’innovazione e ponendo la persona sempre al centro di ogni attività. 

 

"100 MINUTI DI"

Il 22 aprile si terrà il prossimo incontro dei 100 Minuti di, il nostro ciclo di incontri focalizzati sull’impresa, un’opportunità per interagire con i nostri esperti e con un numero ristretto di selezionati imprenditori e manager. Incontreremo un imprenditore prestato all’Amministrazione pubblica: Roberto Saccone, presidente di Olimpia Splendid e neo presidente della Camera di Commercio di Brescia.




 

È STATO DETTO

«Anziché parlare di confronto triangolare tra Stato, mercato e grande impresa, preferirei parlare di “confortevole adattamento”»
 

Colin Crouch, 
Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo
Laterza 2012

Nella nostra VNZ News #3 abbiamo visto che ci sono soggetti economici che lavorano per “circoscrivere la democrazia”. Tra questi, le grandi imprese globali, oggetto di un libro di Colin Crouch molto articolato, denso e importante, destinato alla grande divulgazione: Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il Neoliberismo, Laterza 2012 (titolo originale: The Strange Non-Death of Neoliberalism, Polity Press, Cambridge, UK, 2011). 

Il libro vuole indagare: 

«non i motivi per cui il neoliberismo in crisi è destinato a morire, ma esattamente l’opposto: come mai esso stia riemergendo, dal collasso finanziario, politicamente più forte che mai». 

«Al cuore dell’enigma c’è il fatto che il neoliberismo realmente esistente, a differenza di quello ideologico puro, non è favorevole come dice di essere alla libertà dei mercati. Esso, al contrario, promuove il predominio delle imprese giganti nell’ambito della vita pubblica. La contrapposizione tra Stato e mercato, che in molte società sembra essere il tema di fondo del conflitto politico, occulta l’esistenza di questa terza forza, più potente delle altre due e capace di modificarne il funzionamento. Agli inizi del ventunesimo secolo la politica, proseguendo una tendenza iniziata già nel Novecento e accentuata, anziché attenuata, dalla crisi, non è affatto imperniata sullo scontro tra questi tre soggetti, ma piuttosto su una serie di confortevoli accomodamenti tra di loro». 

Insomma, bisognerebbe capire: 

«perché un dibattito politico che continui a ruotare intorno allo Stato e al mercato, eluda le questioni implicate da questo importante fenomeno». 

La grande impresa, più potente dello Stato, più potente del mercato, non partecipa apertamente al dibattito politico. Lo scavalca, in qualche modo: lo bypassa. 

«Anziché parlare di confronto triangolare tra Stato, mercato e grande impresa, preferirei parlare di “confortevole adattamento”». 

Lo Stato collude con l’impresa globale.

«Come far fronte all’enorme azzardo morale creato dal fatto che i governi considerano l’irresponsabilità finanziaria un bene collettivo? Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto renderci conto che le élite politiche ed economiche faranno tutto ciò che è in loro potere per difendere il neoliberismo in generale e la sua specifica forma imperniata sulla finanza. Quelle élite hanno tratto enormi vantaggi dalle disparità di ricchezza e potere create dal sistema dopo la fine dell’epoca socialdemocratica imperniata su imposte fortemente redistributive, sindacati forti e regolamentazione pubblica. Queste caratteristiche erano state tollerate finché erano parse necessarie per sostenere i consumi di massa e per evitare che i lavoratori dell’industria aderissero al comunismo. Ma quest’ultimo, per fortuna, è finito per sempre, e la possibilità dei consumi di massa basati, attraverso i mercati finanziari, su un massiccio indebitamento privato ha significato ingenti ricchezze per alcuni, che perciò rimarranno tenacemente attaccati al modello basato sulla finanza».

Nascono problemi ovunque. 

«Questi fenomeni costituiscono un problema non solo per la democrazia, ma anche per il mercato. Non esiste teoria politica o economica che abbia dimostrato la possibilità di affidare i nostri fini collettivi a imprese giganti, relativamente affrancate dai vincoli del mercato o più forti di quei vincoli – imprese che diventano sempre più una fonte di potere nei confronti della stessa politica».

Nascono problemi anche per la stessa impresa globale. 

«Questa supremazia universale della grande impresa comporta conseguenze paradossali per la stessa impresa. Le imprese giganti, la cui importanza pubblica è fin troppo evidente, non possono più sperare di cavarsela sostenendo che dovendo stare sul mercato non possono preoccuparsi che dei propri interessi finanziari immediati. Che gli piaccia o no, che la teoria economica abbia una giustificazione al riguardo o no, le grandi imprese vengono percepite sempre più come attori politicamente e socialmente responsabili. (…) I politologi riconoscono sempre più che tanto le imprese, quanto le campagne di opinione contro di esse, sono ormai parte di un sistema politico globale. Paradossalmente, tutto questo non fa che accrescere ulteriormente la supremazia delle imprese nella società. È il loro processo decisionale interno, né democratico, né trasparente, a stabilire quali temi debbano essere sostenuti e reclamizzati e quali ignorati. In tanti modi diversi, dunque, tutte le strade dell’agenda neoliberista (e persino i tentativi di opporvisi) portano non al mercato, ma alla grande impresa».

Come se ne esce?

«Questo libro guarda a una quarta forza – le voci vivaci ma flebili della società civile – non per cancellare quella confortevole triangolazione, ma per portarne alla luce i misfatti e gli abusi, per sottoporli a critica e tenerli sotto pressione». 

Basterà?

DA NON PERDERE

VIAGGIO AL TERMINE
DELL'OCCIDENTE

di Carlo Bastasin
2019, Luiss University Press
Pag. 160, 16,50€

Superiorità degli uni, inferiorità degli altri, chiusura delle frontiere, protezionismo ed esaltazione della nazione. No. No non è la descrizione dell’Italia di Mussolini, ma l’amara fotografia contemporanea di un paese che fagocita ed esplicita in questo modo la totale perdita dei valori o degli ancoraggi culturali, antichi riferimenti che hanno costituito le basi della civiltà occidentale. Da dove viene la deriva sovranista? E cosa comunica all’occhio attento dell’esperto? Carlo Bastasin descrive il senso di marginalità avvertito da alcuni decenni: non c’è più convergenza, bensì divergenza. Non è tanto un problema di condizioni disuguali, ma di una tendenza al declino secolare percepito come irreversibile. Alcune parti della società diventano più ricche, più istruite e più centrali, altre più povere, ignoranti e ignorate. Talvolta, a segnare il destino è sufficiente la scuola o il quartiere sbagliati, altre volte un lodevole desiderio di altruismo o di diversità.

 

 

IL DIRITTO DI CONTARE 

La vera storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson, le tre scienziate afro-americane che hanno rivoluzionato gli studi alla NASA, tracciando le traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11.
Nella Virginia segregazionista degli anni Sessanta, la legge non permette ai neri di vivere insieme ai bianchi. Uffici, toilette, mense, sale d'attesa, bus sono rigorosamente separati. Da una parte ci sono i bianchi, dall'altra ci sono i neri. La NASA, a Langley, non fa eccezione. I neri hanno i loro bagni, relegati in un'aerea dell'edificio lontano da tutto, sono considerati una forza lavoro flessibile di cui disporre a piacimento e sono disprezzati più o meno sottilmente. Reclutate dalla prestigiosa istituzione, Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono la brillante variabile che permette alla NASA di inviare un uomo in orbita e poi sulla Luna. Matematiche, supervisori (senza esserlo ufficialmente) di un team di 'calcolatrici' afroamericane e aspirante ingegnere, si battono contro le discriminazioni, imponendosi poco a poco sull'arroganza di colleghi e superiori.

 

 

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Domenico Gamarro, Giorgia Piccinelli, Monica Rossetti,
Margherita Saldi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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