Newsletter n. 17 - agosto 2022

“L’ora sta precipitando; il mondo si sta armando e una terribile sfiducia appare negli occhi di tutti, la fanfara di guerra può essere suonata domani.
Cosa stiamo aspettando ancora?
Vogliamo essere noi stessi complici come mai prima d’ora?”

(Dal memorabile discorso sulla pace di Dietrich Bonhoeffer, ventottenne, ai giovani della conferenza internazionale del Concilio Ecumenico a Fano il 28 aprile 1934)
 

Primo Piano

La grande contraddizione

Tempo di lettura: 11 min.

Ci troviamo sempre più frequentemente ad affrontare problemi, difficoltà, rischi dei quali, con difficoltà, comprendiamo la vera natura.  Con la conseguenza che siamo spesso incerti sul da farsi. Sono incertezze che derivano da temi che sembrano molto lontani dai nostri interessi quotidiani. Sembrano ma non lo sono. E quindi dobbiamo provare ad affrontare questi temi anche se ci sembrano lontani dalla nostra quotidianità.

Molte delle nostre difficoltà quotidiane derivano da una grande contraddizione nella quale siamo profondamente immersi. Da un lato stiamo vivendo l’inizio di un processo di deglobalizzazione, dall’altro siamo incalzati da problemi che richiedono una sempre più stretta integrazione e collaborazione mondiale. 

Da qualche tempo ascoltiamo, con sempre maggiore frequenza, l’affermazione che siamo entrati in una fase storica di deglobalizzazione, di un riorganizzarsi dell’economia mondiale per grandi blocchi regionali. Ma si tratta di conclusioni affrettate e, in gran parte, superficiali, come erano quelle dei movimenti no global dei decenni scorsi. 

La prima, chiara formulazione del concetto di globalizzazione l’ho trovato in Polibio, l’ultimo scrittore della Grecia libera, storico ammiratore della crescita di Roma a potenza globale. Proprio all’inizio delle sue storie, Polibio scrive: dopo la prima guerra punica “la storia viene a costituire quasi un corpo unitario, le vicende dell’Italia e dell’Africa settentrionale si intrecciano a quelle dell’Asia e della Grecia e i fatti sembrano tutti coordinarsi a un unico fine”. Ma anche nel nostro tempo il processo di globalizzazione si muove tra alti e bassi, tra avanzamenti e ritirate. Nella seconda parte dell’‘800, parte finale del secolo degli inglesi, il mondo era molto più integrato e libero di tutto il ‘900 ed aveva compiuto una lunga strada verso quella che oggi chiamiamo globalizzazione. 

“Nella seconda parte dell’800 il mondo era già abbastanza integrato e aveva già compiuto una lunga strada verso quella che oggi chiamiamo globalizzazione. La libera circolazione dei fattori essenziali dello sviluppo (persone, conoscenza, beni, servizi, capitali) era già molto avanzata. Sono i decenni in cui ingenti capitali europei si riversano su quel paese in via di sviluppo, denominato Usa. Sono i decenni in cui, in poco tempo, cinquanta milioni di europei si riversano nelle Americhe. Sono gli anni in cui i siciliani emigrano in Tunisia. Sono i decenni in cui paesi chiusi al resto del mondo, come il Giappone e la Cina, vengono obbligati, anche con metodi brutali, ad aprirsi. Poi, la guerra civile europea, che durerà dal 1914 al 1945 con il breve intermezzo di un armistizio armato, porterà alla deflagrazione del sistema nelle singole nazioni, ai nazionalismi, al fascismo, al totalitarismo nazista, ai protezionismi, alle dogane proibitive, alle svalutazioni competitive, ai controlli valutari e, con la rivoluzione bolscevica del 1917, alla creazione della più grande economia collettivizzata della storia umana. La risposta del Novecento alla globalizzazione si chiama Hitler, Mussolini, Stalin, nazionalismo giapponese”. (Marco Vitale, America. Punto e a capo, Libri Scheiwiller, 2002, pag. 106).

Il mondo diventa così sempre più spezzettato, autarchico, lacerato. Dopo la fine della seconda fase della grande guerra mondiale europea (1914-1945) il confronto tra economie di mercato, guidate da Usa emersi dalla guerra come leader indiscusso, e i grandi blocchi di economie collettiviste diviene serrato. Ma all’inizio degli anni Settanta inizia, ben mascherato, il declino ed implosione della più grande economia collettivista della storia umana, quella dell’URSS. 

Doveva cadere il muro di Berlino nel 1989 e dovranno venire gli anni Novanta per farci capire bene la portata storica di questa implosione. Così dopo l’implosione dell’URSS, il processo di globalizzazione ha ripreso, negli anni Novanta, il suo cammino, dopo essere stato stroncato dal 1914 al 1989, dalle guerre, dai nazionalismi, dai collettivismi. Ma non si tratta di un processo né automatico né sicuro. Il pendolo può sempre girare da un altro lato ed ha ricominciato a farlo. Così ci ammonisce lo storico americano, Harold James, che ha studiato a fondo il passaggio dalla globalizzazione britannica ai laceranti nazionalismi che hanno caratterizzato quasi tutto il ‘900 (The End of Globalisation, Lessons from the great depressione, Harvard University Press, 2001) e che, ben prima del 21 settembre 2001, aveva previsto che “vi sono almeno quattro ragioni per pensare che una violenta reazione (al processo di globalizzazione) sia inevitabile”. Fu proprio la lettura di questo importante libro che mi fece riflettere, nel 2001, su: “I nodi della globalizzazione prima e dopo l’11 settembre 2001” (ora in Marco Vitale, op.cit., pag. 105-126).  La mia conclusione fu che la globalizzazione dei nostri giorni non era imposta da quello che è stato chiamato “il consenso di Washington”, come volevano farci credere i talebani dei movimenti antiglobalizzazione. Essi erano la conseguenza, in primo luogo, del crollo per inefficienza, disumanità, umiliazione dell’uomo, dei regimi collettivisti e satrapeschi che, a lungo, hanno dominato gran parte del mondo, ingannandolo e inferendo inaudite sofferenze a milioni di persone. In secondo luogo, all’emergere di un intreccio di grandi forze positive: estensione dei meccanismi di mercato agli ex paesi comunisti e ai paesi in via di sviluppo; liberalizzazione dei commerci mondiali; sviluppo delle tecnologie in rete; mercati finanziari sempre più integrati. Nell’insieme la globalizzazione del nostro tempo è stata ed è un fattore positivo, ma dopo il 1989 si stava trasformando in una inaccettabile omogeneizzazione, con modalità di imperialismo economico-militare americano. Ciò ci chiamava ad una revisione profonda di tanti aspetti della stessa. Come scrive Harold James: “Questi mutamenti ci rendono consapevoli di come la nostra attività è ormai legata con il destino di altri miliardi di esseri umani nel mondo. Il dramma delle trasformazioni economiche che stiamo vivendo richiede un riordino sostanziale delle nostre istituzioni, non un loro abbandono ma un rafforzamento rispetto alle politiche tradizionali, come esse si sono sviluppate nel corso del secolo scorso”. Abbiamo bisogno, dunque, di maggiore mondializzazione più che di maggiore globalizzazione economica all’americana. Questo scrivevo nel 2001. Ed arriviamo così all’altro termine della grande contraddizione che ci stringe. 

Un grande libro ci aiuta a comprendere la portata del secondo termine della grande contraddizione: Luigi Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, L’umanità al bivio, Feltrinelli, gennaio 2022, pag. 11:

“L’umanità di fronte a un bivio. Il progetto kantiano

L’umanità si trova di fronte a emergenze globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: il riscaldamento climatico, destinato, se non verrà arrestato, a rendere inabitabili parti crescenti del nostro pianeta; la minaccia nucleare proveniente dalle migliaia di testate atomiche sparse sulla Terra e dotate di una capacità di distruzione totale; la crescita delle disuguaglianze e della miseria e la morte ogni anno, per fame o per malattie non curate, di milioni di esseri umani; la diffusione di regimi dispotici che violano sistematicamente le libertà fondamentali e gli altri diritti proclamati in tante carte costituzionali e internazionali; lo sviluppo del crimine organizzato e delle economie illegali, che hanno mostrato una straordinaria capacità di contagio e di corruzione dell’economia legale; il dramma, infine, di centinaia di migliaia di migranti, ciascuno dei quali fugge da una di queste tragedie. A causa della catastrofe ecologica, per la prima volta nella storia il genere umano rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. “… “Grazie a questa crescente integrazione, l’umanità forma già una società civile planetaria. Ma è attraversata da conflitti e confini che le impediscono di affrontare i suoi tanti problemi globali, i quali richiedono risposte politiche e istituzionali altrettanto globali che certamente non possono essere date dai singoli Stati nazionali. È quindi inverosimile, in mancanza di limiti e vincoli costituzionali, che quasi 8 miliardi di persone, 196 Stati sovrani, 10 dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile, possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità, alle guerre endemiche senza vincitori, alla crescita delle disuguaglianze e della povertà e, insieme, dei razzismi, dei fondamentalismi, dei terrorismi, dei totalitarismi e della criminalità. Oggi, perciò, è più attuale che mai il progetto kantiano della stipulazione di una “costituzione civile” quale fondamento di una “federazione di popoli”…“È da questa elementare consapevolezza che è nata l’idea di dar vita a un movimento d’opinione – la cui prima assemblea si è svolta a Roma il 21 febbraio 2020 – diretto a promuovere una Costituzione della Terra in grado di imporre limiti e vincoli ai poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali, a garanzia dei diritti umani e dei beni comuni di tutti.  L’aspetto più allarmante e sconcertante delle sfide e delle emergenze odierne è infatti la mancanza di una risposta politica e istituzionale alla loro altezza, dovuta al fatto che esse non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali e possono essere affrontate con successo soltanto a livello globale.”

Questa, in breve sintesi, il pensiero centrale del libro e del movimento per una Costituzione della Terra. Ma il libro merita di essere meditato riga per riga, anche perché esso indica i passi concreti attraverso i quali si può camminare verso la meta. Alcuni di questi passi sono più semplici di quanto pensiamo. Prendiamo il caso più eclatante: quello della sanità. Il Covid ha colto tutti i governi impreparati, svelandone la totale imprevidenza. Eppure, il servizio sanitario internazionale dispone già di un’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma pochi sanno che questa organizzazione, roboante nel titolo, può contare su scarsissimi mezzi (4 miliardi e 800 milioni ogni due anni, in gran parte provenienti da privati) e sulla mancanza di effettivi poteri. Come meravigliarsi che in occasione del Covid abbia dato prova di una clamorosa inefficienza? “Bisognerebbe perciò riformarla e rafforzarla, quanto ai finanziamenti e quanto ai poteri, trasformarla in una vera istituzione globale di garanzia della salute” (Ferrajoli, pag. 25). Questi è solo un esempio anche se molto evidente. Ma lo stesso ragionamento si può sviluppare con la FAO sul tema dell’alimentazione, con la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio nel campo economico, per il costituendo Demanio Planetario a tutela dei beni vitali come l’acqua potabile, l’aria, i grandi ghiacciai, le grandi foreste.  È necessario rafforzare questi organismi internazionali e trasformarli in istituzioni indipendenti dal controllo dei paesi più ricchi, “onde porli in grado di attuare le finalità emanate dai loro stessi statuti”. (Ferrajoli, pag. 85). 

Niente è facile, ma niente è impossibile. La nostra Costituzione, compreso l’art.11, traccia la nostra via che è quella dell’homo faber, della pace, del rispetto della terra, dell’economia circolare, della dignità inviolabile delle persone ed è già in perfetta armonia con i principi base del titolo primo del Progetto di Costituzione della Terra (L. Ferrajoli, op.cit. pag. 149-153).  Per portare avanti la trasformazione verso un mondo multipolare che è la grande trasformazione che stiamo vivendo, e poter così affrontare i grandi temi comuni di sopravvivenza della specie umana sulla terra, è indispensabile un mondo di pace, cioè capace di ripudio della guerra come strumento di soluzione di controversie tra Stati. Anche in questo campo decisivo abbiamo, almeno sul piano astratto, fatto molti progressi, come analizza Ferrajoli, nel capitolo: “Il costituzionalismo globale come attuazione dell’universalità dei diritti umani”. Ma non sufficienti. Sono molte le carte internazionali sulla pace, sui diritti umani, sui crimini di guerra, che dimostrano che la coscienza del mondo è andata ben oltre la tradizionale visione che conta solo la legge del più forte: “oggi questa legge non soltanto è entrata in contraddizione con tutte le carte internazionali sulla pace e sui diritti umani, è diventata più che mai insostenibile a causa di due fenomeni nuovi, in passato impensabili: l’enorme potenza distruttiva degli armamenti in possesso degli Stati e la crescente integrazione e l’inevitabile interdipendenza fra tutti i popoli della Terra generate dalla globalizzazione. Di qui la necessità di una ridefinizione sia della cittadinanza che della sovranità, logicamente conseguente ai diritti umani universali e al principio di pace, e perciò di un salto di qualità del costituzionalismo imposto dalle emergenze globali e dai crimini di sistema che pesano sul futuro dell’umanità.” (L. Ferrajoli, op.cit. pag. 60).

Ma l’aggressione all’Ucraina, per le modalità disumane e insensate con le quali è stata condotta, ed ancor più la retorica militarista che essa ha suscitato in gran parte della classe dirigente americana ed europea, dimostra che, su questa tematica essenziale abbiamo fatto una regressione paurosa verso la quale fa ancora molto senso ricordare le parole fondamentali di I. Kant: “Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo fra loro piuttosto che sottoporsi a una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si dovrebbe pensare che popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi a uscire al più presto da uno stato così degradato”(I. Kant, Per la Pace perpetua, 1795).

Ma alla fine ognuno deve prendere una posizione precisa per sé stesso, per la sua attività nel mondo, per le idee e gli interessi che rappresenta, per i compiti che deve assolvere. Noi ci dedichiamo ai temi dell’impresa e della imprenditorialità. Non abbiamo dubbio nell’affermare, con vigore, che l’impresa italiana è interessata ad una rapida uscita dallo stato di barbarie di cui parla Kant e verso il quale vogliamo disimpegnarci, a favore invece di una mondializzazione aperta ed inclusiva, una pace stabile e costituzionalizzata, una stretta collaborazione con tutti gli altri popoli per affrontare insieme i grandi temi della sopravvivenza del genere umano sulla terra: riscaldamento climatico, minaccia nucleare, disuguaglianze crescenti, creazione di un demanio mondiale di beni fondamentali (acqua, foreste e altri), pandemie e altri temi generali della salute, dell’uomo, degli animali, della natura, lo sviluppo del crimine organizzato e la loro capacità di controllare il potere politico, l’azione responsabile di fronte alle grandi migrazioni. Nel contribuire ad affrontare responsabilmente questi grandi temi, l’impresa italiana, se libera e flessibile, può svolgere un ruolo positivo molto importante e molto utile.

Marco Vitale

Brescia, 22 luglio 2022

Scenari incerti, alcuni suggerimenti

Tempo di lettura: 8 min.

Abbiamo visto nel precedente articolo che siamo di fronte ad una profonda revisione della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi: la globalizzazione non sparirà ma avremo un nuovo modello di globalizzazione, che non è ancora del tutto definita ma i cui contorni cominciano ad essere chiari.

Innanzi tutto, riprendendo il tema di fondo dell’articolo di Primo Piano, è bene affermare che, a nostro avviso, non dobbiamo pensare di chiuderci in noi stessi, di abbandonare la visione internazionale e globale che ha sempre caratterizzato le imprese di successo italiane. Si dovrà forse declinare l’internazionalizzazione in modo diverso, ma sarebbe un grosso sbaglio chiuderci in noi stessi. A testimonianza di ciò tra le notizie IN di questa Newsletter portiamo, non a caso, l’investimento in Cina di Brembo. 

In queste acque turbolente ci troviamo oggi a dover navigare e, riprendendo il discorso avviato nella nostra precedente Newsletter (la n. 16 del giugno 2022) con l’articolo “Tempi difficili, impresa e imprenditore”, torniamo al tema per noi fondamentale di come le imprese devono essere capaci di capire i cambiamenti in atto e di avviare le corrette azioni, anche quelle di sola difesa temporanea.

A giugno dicevamo che “chi si occupa di impresa, a vario titolo, ha la responsabilità di trovare la soluzione ad una situazione difficile, complicata o complessa che sia”. Significa operare con lucidità, metodo e disciplina avendo innanzi tutto fiducia nei propri collaboratori, verificando le risorse (di tutti i tipi) a disposizione e mettendosi in discussione, distinguendo gli effetti delle crisi dalle pregresse debolezze. Significa, come dicevamo, riesaminare la Formula Imprenditoriale ed il proprio modello di business.

Con l’obiettivo di cercare di dare concretezza a temi che possono sembrare astratti, ma non lo sono affatto, affrontiamo ora alcune questioni che, nella pratica quotidiana di consulenti, incontriamo molto spesso in questi tempi. 

Si tratta di due temi che oggi sono molto rilevanti e collegati tra loro: la finanza aziendale ed il controllo di gestione.

Finanza aziendale

È ormai in atto una importante stretta creditizia accompagnata da un incremento, anche abbastanza veloce, dei tassi di interesse.

È questo un aspetto molto delicato, soprattutto in questo momento in cui il circolante è sotto pressione per gli effetti dell’inflazione da una parte e dello shortage delle materie prime nonché dalle difficoltà delle catene di approvvigionamento che determinano, in quasi tutte le imprese, una crescita dei magazzini non solo in valore ma anche in volumi.

È diffusa anche una consistente crescita dei crediti nei confronti dei clienti che scontano l’incremento inflattivo accompagnato dal maggior rischio derivante dal contesto problematico generale che impone seria attenzione alla valutazione del rischio credito.

Poiché il circolante di un’azienda è la prima banca, è evidente che tutti gli strumenti, approcci e professionalità che possono essere introdotti per una migliore gestione del circolante sono inderogabili. Per citarne alcuni, che la nostra esperienza professionale ci mostra, possiamo riportare:

  • strumenti di corretta pianificazione della produzione e degli approvvigionamenti; 
  • strumenti che supportano un adeguato controllo ed una costante e stabile analisi delle movimentazioni dei magazzini;
  • strumenti, ma soprattutto procedure e cultura diffusa, di monitoraggio dei tempi di incassi;
  • metodi stabili e costanti di valutazione del rischio cliente.

Su questi temi la digitalizzazione offre tanti ed importanti aiuti, sia sul fronte della gestione interna e dei processi, sia sul fronte degli strumenti a supporto che però, affinché possano davvero essere utili ed incisivi, devono essere inseriti in contesti in cui i processi e le procedure siano ben chiari e fluidi, diversamente si rischia di digitalizzare le inefficienze.

Un altro tema rilevante nel campo della finanza aziendale è la capacità di dialogo e la sua qualità con le istituzioni finanziarie, bancarie ma non solo.

Su questo fronte è necessario conoscere a fondo tutti gli strumenti finanziari oggi a disposizione, non solo quelli bancari. È necessaria un’evoluzione nella cultura finanziaria dell’imprenditoria che consenta di diversificare le fonti finanziarie, dominando tutti gli strumenti operativi che la finanza offre, sempre però sull’assunto di fondo che la finanza è uno strumento al servizio dello sviluppo dell’impresa e non viceversa.

L’imprenditore e la sua struttura operativa devono impadronirsi dei meccanismi e degli strumenti che la finanza offre senza però soccombere al suo giogo soffocante.

Fondamentale è individuare, con grande attenzione, le forme tecniche corrette di finanziamento: il breve termine, nelle sue varie forme, per il circolante ed il medio lungo termine, o forme vicine al capitale proprio, per gli investimenti. Ancora troppo spesso ci capita di vedere confusione su questo tema.

In questa specifica congiuntura economica dobbiamo chiederci, tra l’altro, se una parte del magazzino, per le ragioni sopra menzionate, non sia oggi un investimento e quindi con quale forma o quale strumento sia opportuno finanziare quella parte che risulta parzialmente immobilizzata per ragioni che esulano dalla operatività industriale e attribuibili alle difficoltà dei mercati di approvvigionamento. Evidentemente questa valutazione deve essere fatta con grande serietà senza nascondere eventuali problemi di capacità di ottimizzazione della rotazione del magazzino che deve, comunque, essere sempre un obiettivo da perseguire.

Oggi è sempre più importante la qualità del dialogo con le banche, che deve fondarsi su alcuni pilastri quali:

  • trasparenza, con informazioni complete vere e adeguate; 
  • aggiornamenti periodici, con condivisioni di budget e piani; i piani industriali sono utili anche per costruire un rapporto trasparente con i propri finanziatori (banche o soci che siano);
  • verifica periodica della centrale rischi; 
  • gestione corretta degli affidamenti (non essere a tappo con l’utilizzo, non avere troppi fidi inutilizzati che costano).

Anche il giusto mix di banche (come numero e come tipologia) è fondamentale. Bisogna saper (e poter) selezionare le banche in base alle proprie necessità, dimensione, tipo di lavoro. Non sempre, anzi quasi mai, una banca vale l’altra, soprattutto oggi che le grandi banche (o aspiranti tali) si stanno di fatto disimpegnando su una grande fetta di clientela, quella delle imprese di minori e medie dimensioni.

Avere il dialogo con le persone giuste è altrettanto importante, incontrare e dialogare non solo con il gestore della posizione ma anche con i suoi responsabili; è importante incontrarli almeno una volta all’anno per illustrare il piano pluriennale e confrontarsi su di esso.

La trasparenza è ciò di cui abbiamo un bisogno assoluto. La mancanza di trasparenza è forse la causa principale di tanti problemi, non solo nelle imprese.

Trasparenza anche con sé stessi, nell’analizzare gli eventi del passato e le cause di determinate situazioni. Troppo spesso nella nostra professione sentiamo imprenditori che additano responsabilità alle banche, quando invece sono dell’impresa, delle scelte fatte, ma soprattutto di quelle non fatte.

Tutto ciò nella consapevolezza di cosa sono oggi le banche: soggetti controllati (vigilati) da organi superiori (BCE e Banca d’Italia) molto invasivi ed invadenti, che limitano l’operatività e la discrezionalità degli istituti di credito e dei loro funzionari con regolamenti, algoritmi, raccomandazioni spesso anche molto discutibili che, di fatto, stanno limitando la capacità imprenditoriale del sistema bancario per portarlo verso un modello unico ed omologato di banca, con la conseguenza inevitabile che ci sarà sempre meno credito per le imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni.

Controllo di gestione

Il contesto descritto sopra non permette più una gestione a vista, spannometrica, non supportata da dati attendibili, significativi ed utili. Sono ancora tante le imprese, anche di discrete dimensioni, che sono inadeguate in termini di processi gestionali, di raccolta dei dati ed analisi degli stessi.

Oggi, a parità di capacità decisionale la differenza la fa la qualità dei dati e delle informazioni tempestivamente disponibili. La funzione controllo di gestione, o meglio la cultura del controllo di gestione, è perciò un fattore strategico e competitivo importantissimo. Non a caso le imprese di successo hanno efficaci ed efficienti sistemi di controllo di gestione.

Un buon sistema di controllo di gestione dovrebbe fondarsi su:

  • sistema informatico adeguato e coerente alla dimensione e all’attività svolta dall’impresa;
  • processi gestionali chiari e fluidi (troppo spesso quando si parla di processi si pensa al solo aspetto produttivo, ma non è così, anche le attività indirette e “d’ufficio” sono rilevanti);
  • capacità di trovare i pochi indicatori utili in quel momento. Troppo spesso vediamo nelle aziende una produzione enorme di dati, tra i quali è difficilissimo districarsi. La selettività, infatti, aiuta a dominare la complessità;
  • disponibilità e attitudine a mettersi in discussione.

Per arrivare a quello che noi definiamo controllo strategico o gestione strategica bisogna passare da un approccio di analisi dei risultati alla ricerca delle cause dei risultati. Il controllo di gestione non deve essere ispettivo, non deve trovare i colpevoli, ma deve essere di supporto nelle decisioni, soprattutto quelle strategiche. 

Ed in questo ambito è altresì rilevante la velocità di reazione ed i tempi della decisione, sempre più spesso ormai il confine tra il momento strategico e quello dell’implementazione è molto labile e strategia e controllo non possono più essere due momenti separati. Si tratta quindi di un nuovo approccio, un cambiamento per certi versi culturale, certamente organizzativo. 

In questo senso la figura del CFO e del Controller deve cambiare, deve evolvere. Da un punto di vista organizzativo il controller, che è al servizio di tutta l’organizzazione per l’analisi e soprattutto per capire le cause dei risultati ai vari livelli aziendali, non deve più essere “relegato” nell’area amministrazione e finanza, sotto il CFO o essere lo stesso CFO. Il controller deve stare in staff all’AD e al servizio delle varie funzioni aziendali.

Serve perciò una nuova e rafforzata cultura del controllo e dell’analisi del dato.  Arthur Andersen diceva che è necessario andare "behind the figures" (oltre le cifre) ma "through the figures" (attraverso le cifre) cioè non ci si deve fermare alle cifre in quanto tali ma attraverso di esse andare ai fatti essenziali dell'impresa e del contesto, le cifre sono infatti il linguaggio vero ed universale delle imprese, ma devono essere capite, si deve essere in grado di cogliere ciò che ci dicono.

Per concludere non si può non sottolineare che anche i due soli temi che abbiamo qui affrontato ci portano inevitabilmente su un altro grande argomento che le imprese devono affrontare oggi: quello della sfida delle persone, delle competenze necessarie, del senso del lavoro, della gestione dalla leadership. Non affrontiamo oggi questo ampio tema ma, a conferma della sua importanza, rimandiamo alla sezione delle NEWS dove presentiamo il prossimo percorso formativo della nostra Academy: “Leadership per imprese nella nuova economia: dare un senso al lavoro nell’impresa nella prospettiva di un nuovo spirito di collaborazione e partecipazione”, 5 incontri dal 13 ottobre al 10 novembre 2022.

Proverbi riletti per l'impresa

Tempo di lettura: 3 min.

Proseguiamo con i proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa.
Questa volta suggeriamo un proverbio siciliano tratto dal libro di Marco Vitale
“I proverbi di Calatafimi”, pag. 95-98, Edizioni Studio Domenicano, 2009.
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L’apprendimento continuo

Non bastano l’impegno e la competenza tecnica. Bisogna imparare continuamente da chi è migliore di te, pronti anche ad investire su questo processo di apprendimento. Sono numerosi i proverbi siciliani che sviluppano il tema del valore della conoscenza, come: Lu sapìri è megghiu di l’aviri (il sapere è meglio dell’avere); o come: Studia, come si avissi a campari sempri (continua a studiare come se dovessi vivere in eterno); o come: U sapiri è u vastuni di la vita (il sapere è il bastone della vita); o come: L’omu sempre ‘nzigna, e mori gnuranti (l’uomo apprende sempre, eppure muore ignorante). Il che richiama un antico detto: Ars lunga, vita brevis, il sapere è lungo, la vita è corta. O, come ha scritto il poeta inglese Percy B. Shelley (1792-1822): “The more we study, the more we discover our ignorance”. Non provo neanche a incrociare questi antichi saggi concetti con citazioni di autori contemporanei, tanta è la ricchezza e la varietà delle fonti che sottolineano che la conoscenza e l’apprendimento continuo sono il fattore chiave e il motore della nostra società e della nostra economia della conoscenza. L’unica cosa irritante e sbagliata è che questa letteratura propina questi concetti come se fossero una scoperta attuale, mentre sono valori antichi, come gli stessi proverbi di Calatafimi dimostrano. Basta del resto ricordare il formidabile saggio di Carlo Cattaneo (1861): L’intelligenza come principio dell’economia pubblica per far sprofondare nel limbo dell’ignoranza tanta letteratura contemporanea sul tema. Mi limito a porre in evidenza le analogie con il testo di Bennis e Thomas che, in un certo senso, ho scelto come testo di raffronto nell’ambito della letteratura manageriale. Nel capitolo “Esercitare la leadership e imparare dalla vita”, i nostri Autori affermano: 

“La capacità di imparare è una caratteristica degli esseri umani, l’abilità nel continuare ad apprendere è una componente essenziale della leadership. I leader quando perdono tale capacità, inevitabilmente entrano in crisi. Qualsiasi persona che perde tale abilità smette di crescere (…). Vedrete perché “imparare ad imparare” rappresenta la chiave per diventare un leader.”

Più oltre Bennis e Thomas ricordano la lezione fondamentale che il mentore mago Merlino rivolge al giovane principe destinato a diventare Re Artù: “il miglior modo per essere rispettato consiste nell’imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai, l’unica cosa di cui l’anima non si può mai stancare, da cui non ci si può mai allontanare.”

Ma perché, si domandano gli autori, alcuni traggono insegnamento dall’esperienza ed altri no? È proprio il diverso approccio di fronte all’esperienza e alle dure prove che fa emergere il leader. Perché, come ha detto molto profondamente Aldous Huxley: “L’esperienza non è quello che accade ad un uomo. È ciò che egli fa con quello che gli accade” (A. Huxley, La filosofia perenne, Mondadori, 1959). E nel capitolo finale i nostri autori ritornano sul tema con queste parole conclusive:

“Sorprendentemente, rileggendo la nostra collezione di storie autobiografiche, abbiamo scoperto che di fatto ognuna riguardava l’educazione del narratore. Sebbene ognuno dei nostri leader avesse un proprio modo di raccontarla, avrebbero tutti potuto descrivere la propria vita come fece Solone circa 3000 anni fa quando disse di se stesso: ogni giorno è diventato più vecchio ed ha imparato qualcosa di nuovo. Imparare a imparare, potrebbe essere il dono più grande che i nostri leader hanno tratto dalle loro dure prove (…). Quando il loro imparare a imparare si è unito alla creatività, i nostri leader sono diventati irresistibili”.

Nel proverbio di Calatafimi vi è anche un senso di apprendimento collettivo, di apprendimento attraverso quelli migliori di te. E ciò evoca anche l’importanza dell’ambiente sociale e culturale, del “villaggio”. Come dice un delicatissimo proverbio africano, Ci vuole un intero villaggio per educare un bambino.

1. W.G. Bennis e R. J. Thomas, L’alchimia della leadership, Geek e Geezer, generazioni di leader a confronto (Il Sole 24 Ore, 2003; titolo originale: Geek & Geezers, 2002)

Notizie IN

Doppio premio per la Cooperativa La Paranza di Napoli

Tempo di lettura 4 min.

La Paranza, la ormai famosa cooperativa napoletana che è stata in grado di attivare, coinvolgendo i giovani del Rione Sanità, concreti processi di rigenerazione sociale, economica e culturale, attraverso la valorizzazione, la tutela e la pubblica fruizione di beni storici artistici e archeologici dall’inestimabile valore, ottenendo risultati eccezionali (con l’apertura al pubblico dello straordinario sito archeologico delle Catacombe di San Gaudioso custodite nella basilica di Santa Maria della Sanità, oltre che delle Catacombe di San Gennaro, ma anche la valorizzazione e fruizione di numerose chiese ed edifici storici  del quartiere che sono diventati strutture ricettive, centri educativi, laboratori d’arte etc), si è aggiudicata due prestigiosi premi.

European Heritage Award/ Europa Nostra Award 2022
Il 30 giugno 2022 La Paranza si è aggiudicata il premio Europeo per il Patrimonio Culturale/ Europa Nostra Awards 2022, finanziato dal programma Europa Creativa dell’Unione Europea, nella categoria “Heritage Champion”. 

Quest’anno, che segna il XX anniversario del premio, sono stati premiati, in 5 categorie (identificate in linea con i più recenti sviluppi e priorità della politica e pratica culturale in Europa), 30 progetti provenienti da 18 paesi: tra questi vincitori c’è La Paranza.

Commentando l’annuncio dei vincitori del 2022, Mariya Gabriel, Commissaria Europea per l’Innovazione, la Ricerca, la Cultura, l’Istruzione e la Gioventù, ha affermato: 

“Il 2022 è un anno speciale in quanto si celebra il XX anniversario del Premio Europeo per il Patrimonio Culturale, che con gli anni è diventato il più prestigioso premio per la Comunità Europea del Patrimonio Culturale. Molte tra le iniziative vincitrici dimostrano il notevole interesse e impegno dei giovani per il nostro patrimonio, per la nostra storia e per la nostra identità culturale, fattore di grande rilevanza in questo Anno Europeo dei Giovani. Un pensiero speciale va ai due vincitori Ucraini. Europa Creativa, che co-finanzia i Premi, si impegna a promuovere la cultura e la creatività nella costruzione di società future coese e inclusive, fondate sui nostri fondanti valori Europei”.

Il Presidente Esecutivo di Europa Nostra, Prof. Dr. Hermann Parzinger, ha dichiarato: 

“I vincitori di questa edizione dimostrano con forza come il nostro patrimonio culturale sia in grado di riconnetterci con la natura, ci aiuti a creare un senso di appartenenza, e come sia un elemento integrale per lo sviluppo di un’economia circolare a sostegno di uno stile di vita sostenibile ed inclusivo. Faccio dunque le mie congratulazioni a questi vincitori eccezionali – professionisti ma anche entusiasti- per il loro impegno fondamentale e lodevole”. 

Premio Angelo Ferro per l’“innovazione nell’economia sociale”
Nello stesso mese di giugno, La Paranza si è aggiudicata anche il premio Angelo Ferro per l’innovazione nell’economia sociale, promosso da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo assieme a Fondazione Emanuele Zancan Onlus con il sostegno di Intesa Sanpaolo e dedicato alla memoria del Prof. Angelo Ferro, imprenditore e filantropo, scomparso nel 2016, che ha ricoperto numerose cariche associative e ha promosso molte attività di interesse generale in campo sportivo, culturale e assistenziale, già Consigliere di Amministrazione di Intesa Sanpaolo e della Cassa di Risparmio del Veneto, Presidente Nazionale UCID e Presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus di Padova, che ha realizzato il Centro Polifunzionale “Civitas Vitae” (https://angeloferro.oiconlus.it/).

Il premio, giunto quest’anno alla sua sesta edizione, si propone di valorizzare l'innovazione dell'economia sociale che, adottando la definizione OCSE, è articolata in termini di soluzioni capaci di intercettare nuovi bisogni sociali e/o che attivano risposte originali per tipo di intervento o soggetti coinvolti. “Una iniziativa – ha detto Gilberto Muraro, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo – che fin dalla sua nascita si propone di contribuire alla crescita di chi fa innovazione nell’economia sociale con un premio che non è solo un sostegno materiale ma anche un riconoscimento spendibile di autorevolezza e di eccellenza: il che in verità è più importante”.

Siamo doppiamente contenti che la giuria, presieduta dal Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, abbia attribuito il premio alla Cooperativa La Paranza: perché si tratta di un riconoscimento meritato per l’alto valore dell’esperienza de La Paranza nell’ambito dell’innovazione sociale e perché siamo vicini al ricordo di Angelo Ferro, come documentato dalla lettera inviata, in occasione del premio, da Marco Vitale a Vincenzo Porzio, Responsabile Comunicazione e Marketing de La Paranza, e dai relativi allegati, visionabili qui:

Brembo insieme a Gold Phoenix:
nuovo impianto in Cina

Brembo, azienda italiana leader nel settore della produzione di impianti frenanti, ha avviato una nuova espansione industriale in Cina, in un’ottica di apertura e dinamismo internazionale che giudichiamo preziosa, tanto più in questa fase storica, e che si pone in controtendenza a molti moti di chiusura, come si evince dalle notizie riportate nella nostra sezione Notizie OUT.

Come riportato dal Corriere della Sera del 26 luglio
Brembo e Gold Phoenix hanno firmato un accordo di joint venture paritetica per formare Shandong Brg Friction Technology Co. La nuova società darà vita al primo stabilimento produttivo Brembo a Jinan, nella Cina orientale, dedicato alla produzione su larga scala di pastiglie freno per il mercato del ricambio. La newco sarà attiva dall’inizio del 2023. L’operazione prevede da parte delle due società un investimento complessivo pari a circa 35 milioni di euro per i prossimi 3 anni.
 

Notizie OUT

Aziende e capitali via dalla Cina

Tempo di lettura 3 min.

Il Sole 24 di Venerdì 6 maggio ha dedicato un’intera pagina all’analisi di una vera e propria “fuga” degli investitori dalla Cina in atto.

Proprio il giorno prima, il presidente della Camera di Commercio Europea in Cina Joerg Wuttke aveva commentato il rituale sondaggio sul sentiment degli iscritti paventando il rischio delocalizzazione. Nemmeno il primo lockdown, ai tempi di Wuhan, aveva sortito un simile impatto, le aziende avevano stretto i denti contribuendo alla ripresa. Ora, invece, c’è l’eventualità che si investa su altri mercati a causa delle misure di contenimento del Covid-19 che hanno causato pesanti interruzioni della supply chain. La Cina non fa marcia indietro e il Governo centrale continua la strategia Zero-Covid, per questo è comprensibile che il 60% dei 372 intervistati da Roland Berger abbia detto di aver abbassato le previsioni di profitto per il 2022.

Pechino ha annunciato altre misure di sostegno, tagli alle tasse per le Pmi, sconti su interessi di mora e garanzia della sicurezza degli ordini dall’estero, sostenendo l’e-commerce. Ma quasi un quarto delle aziende europee, il 23%, sta valutando di spostare gli investimenti attuali o pianificati fuori dalla Cina, più del doppio rispetto a inizio 2022, mentre il 7% sta pensando a una soluzione analoga a causa della guerra tra Russia e Ucraina.

Sul fronte degli investimenti esteri la situazione appare ancora più grave: il rapporto del 3 maggio dell'Institute of International Finance (IIF), l’associazione globale dell’industria finanziaria a cui aderiscono 450 tra banche, assicurazioni e fondi internazionali di 70 Paesi del mondo, ha descritto in questi termini la prima fuga di capitali da Pechino dell’ultimo decennio: «I deflussi di capitali esteri dalla Cina hanno raggiunto livelli record nel primo trimestre del 2022 a causa delle forti vendite su bond e azioni che sono scattate a febbraio e marzo».

Si tratta di una fuga dal valore stimato di 17 miliardi di dollari che rappresenta una vera e propria inversione di tendenza rispetto all'ultimo decennio e soprattutto in confronto al biennio 2020-2021 quando «gli investitori non residenti avevano aumentato l'esposizione ai bond cinesi al ritmo del 30-40% all'anno». Perché questo improvviso deflusso di capitali esteri dagli investimenti finanziari in Cina? Sono molte le concomitanti motivazioni economiche, finanziarie e geopolitiche che, secondo il report di IIF, hanno portato alla vendita di asset cinesi:

  • la cessione di una parte delle riserve della Banca Centrale Russa (70 miliardi di dollari a fine 2021), costretta a liquidare una parte degli investimenti dal blocco sanzionatorio delle riserve depositate in Occidente. Ma questo, secondo IIF, è «probabile che sia avvenuto soprattutto nella seconda metà di febbraio» mentre è «meno evidente che il trend sia proseguito anche in marzo» dato che le riserve totali russe hanno mostrato segni di stabilizzazione. Ed è addirittura possibile che poi il surplus di bilancio russo sia tornato a essere investito in bond cinesi, che non sono oggetto di sanzioni
  • le attese (peraltro comuni a molti altri Paesi emergenti) per il rialzo dei tassi di interesse negli Usa che poi si sono concretizzate
  • la frenata del Pil cinese e il timore di un'ulteriore “gelata” a causa dei lockdown e dei vari stop all'attività economica collegati alla ripresa dei contagi da Covid e alla politica di tolleranza zero scelta da Pechino
  • i crescenti timori che la conflittualità geopolitica tra Occidente e Russia, scattata dopo l'invasione in Ucraina, sia destinata ad allargarsi a Est con un’escalation di sanzioni economiche che potrebbe coinvolgere anche la Cina, tuttora stretta alleata di Mosca.

Capital Group via dalle banche

Tempo di lettura 1,5 min. 

Il fondo di investimento statunitense Capital Group, uno dei più grandi fondi al mondo con 2,7 mila miliardi di dollari di asset gestiti, è passato da essere solido azionista di alcune delle principali banche europee a investitore in fuga: lo riportano Luca Davi e Alessandro Graziani su Il Sole 24 Ore del 24 maggio.

Questa parabola, in poche settimane, ha lasciato sul campo oltre 8 miliardi di euro di azioni bancarie, affondando così a cascata le stesse quotazioni. 

Il fondo per lungo tempo ha spiccato per essere tra i grandi sostenitori dei titoli delle banche europee. Dopo la lunga stagione di fragilità seguita alla crisi Lehman, il veicolo statunitense aveva accumulato partecipazioni in colossi del calibro di Barclays, Deutsche Bank, Commerzbank, Société Générale, UniCredit, Santander, Bnp Paribas e Ubs: banche dove spesso emergeva tra i primi cinque azionisti di peso.

Tuttavia, nel corso degli ultimi mesi, e in particolare a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, c’è stata una vera e propria inversione a U, dovuta ad un deciso cambio di strategia. Troppe, a quanto pare, le incertezze generate dallo scontro bellico e i rischi connessi all’infiammarsi dell’inflazione. E così, una dopo l’altra, tutte le partecipazioni sono state progressivamente assottigliate fino ad essere in alcuni casi totalmente azzerate:

  • dapprima il fondo statunitense ha ridotto la quota nel Santander, dove è sceso dal 2,7% dello scorso anno a meno del 2% nelle ultime settimane di maggio
  • tra gennaio e marzo, il fondo ha ceduto la quota del 3,6% detenuta in Barclays
  • le partecipazioni nelle due tedesche Deutsche Bank e Commerzbank – entrambe pari al 5% circa - sono state smontate pressoché di colpo
  • ad aprile ha ceduto l’intera partecipazione (pari al 5%) in Ing

Un assottigliamento ha riguardato anche Banche italiane:

  • in UniCredit, dove Capital Group a lungo è stato principale azionista e dove oggi dovrebbe detenere una quota tra il 3 e il 4% dal precedente 6,8%
  • in SocGen, in cui il fondo di investimento, ai tempi primo azionista, ha ridotto la sua partecipazione dal 7,8% al 4,8% a maggio
  • in Banco Bpm, in cui, secondo quanto risulta al Sole24Ore, la partecipazione del fondo, che alle ultime rilevazioni Consob si attesterebbe al 5%, sarebbe stata ceduta sul mercato nel corso del tempo.

Per non dimenticare

Il discorso di Giuseppina Baffi
al Convegno del 2019 dedicato al padre

Pubblichiamo nella rubrica Per non dimenticare il discorso tenuto da Giuseppina Baffi al Convegno dedicato al padre: “Paolo Baffi, Economista e Governatore della moneta: la commemorazione nei luoghi in cui ha insegnato”, organizzato presso l’Università La Sapienza di Roma il 3 ottobre 2019 e pubblicato sulla rivista Minerva Bancaria n.5-6 – Settembre-Dicembre 2020 dal titolo: “L’Europa deve farsi carico delle nuove generazioni. La trasmissione del sapere e la cultura della responsabilità nell’insegnamento universitario di Paolo Baffi”.
 
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Nuovi paradigmi economici

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Articolo di Jeffrey D. Sachs tratto da Il Sole 24 ore di sabato 28 maggio 2022 dal titolo “Finalmente abbiamo capito che crescita e sviluppo non sono la stessa cosa”

Cinquant’anni fa, gli imprenditori italiani del Club of Rome diedero una scossa al mondo intero con il loro rivoluzionario trattato Limits to Growth. Questa avanguardia di pensiero e d’azione continua oggi, con il lancio della Regenerative Society Foundation da parte di altri imprenditori italiani, un richiamo potente a pratiche di business più olistiche, etiche e sostenibili, nell’intento di aiutare il mondo a raggiungere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sdgs) e quelli stabiliti nell’Accordo di Parigi. Il percorso di 50 anni da Limits to Growth alla Regenerative Society Foundation mostra quanto siamo progrediti nella comprensione delle sfide più critiche per l’umanità, ma anche quanta strada abbiamo ancora da fare per vincerle.

Il mezzo secolo dalla pubblicazione di Limits to Growth definisce anche il mio percorso intellettuale, visto che ho cominciato i miei studi ad Harvard 50 anni fa. Uno dei primi libri che mi sono stati assegnati nel corso introduttivo di economia era Limits to Growth. Quel libro mi colpì, lasciando un segno che dura ancora oggi. Per la prima volta si pubblicava una proiezione matematica dell’economia mondiale e della natura considerate in modo olistico, utilizzando nuovi modelli dinamici di simulazione dei sistemi che erano in elaborazione al Massachusetts Institute of Technology (Mit).

Limits to Growth ci metteva in guardia sul fatto che la crescita economica ponderata era sulla strada del superamento delle risorse planetarie, andando verso il rischio di una potenziale catastrofe nel XXI secolo. Il mio professore respinse stizzosamente il libro e il suo cupo avvertimento. Quel libro, ci disse, aveva tre punti a sfavore della propria tesi: era scritto da ingegneri, e non da economisti; non prendeva in considerazione le meraviglie di un sistema di mercato autocorrettivo ed era scritto al Mit, non ad Harvard! Già allora, io non ero convinto che l’avvertimento cruciale contenuto nel libro fosse da liquidare così facilmente.

Cinquant’anni dopo, e dopo infiniti incontri internazionali, conferenze, trattati, migliaia di studi e ricerche e, soprattutto, dopo un altro mezzo secolo di esperienza su questo pianeta, possiamo dire quanto segue.

  1. La crescita economica mondiale sta effettivamente oltrepassando la disponibilità delle risorse della Terra. Gli scienziati parlano oggi di un’economia globale che supera le “soglie planetarie”.
  2. La violazione di questi confini planetari minaccia i sistemi fisici della Terra, e di conseguenza l’umanità stessa. In particolare, l’umanità sta riscaldando il clima, distruggendo l’habitat di milioni di altre specie viventi, e sta inquinando aria, acque e suolo.
  3. L’economia di mercato da sola non fermerà questa distruzione. La maggior parte delle azioni più pericolose – come l’emissione di gas serra che provocano il cambiamento climatico, la distruzione di foreste autoctone, la dispersione di sostanze chimiche nei fiumi e negli estuari – non si presentano con le istruzioni allegate. 

La Terra, in questo momento, è trattata come una discarica per le peggiori pratiche distruttive.

Vent’anni dopo Limits to Growth, nel 1992, i governi mondiali si ritrovarono all’Earth Summit di Rio de Janeiro per adottare alcuni accordi sull’ambiente, tra cui la Un Framework Convention on Climate Change (Unfccc, Convenzione Quadro Onu sul Cambiamento Climatico) e la Convention on Biological Diversity (Convenzione sulla Biodiversità). Altri vent’anni dopo, nel 2012, gli stessi governi si ritrovarono a Rio per discutere del fatto che quegli accordi non funzionavano come avrebbero dovuto. La Terra, riconoscevano, era sempre più in pericolo. Al convegno del 2012 si impegnarono a definire gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sdgs) per guidare l’umanità verso la salvezza. Nel 2015, tutti i 193 Stati membri della Nazioni Unite adottarono gli Sdgs e poche settimane dopo firmarono l’Accordo di Parigi sul Clima, per l’implementazione del trattato climatico del 1992.

Intanto, è passato mezzo secolo dal primo monito a oggi. Abbiamo firmato convenzioni e trattati, adottato molti obiettivi globali, ma, nella pratica, non abbiamo ancora cambiato corso. La Terra continua a riscaldarsi, addirittura più velocemente di prima. La temperatura terrestre media è oggi di 1,2°C più calda del periodo preindustriale (1880-1920) e più alta di sempre nei passati 10mila anni di civiltà. Il riscaldamento globale ha accelerato di oltre 0,3°C ogni decennio, il che significa che nel prossimo potremmo molto probabilmente superare il limite di 1,5°C sul quale il mondo si era accordato a Parigi.

Un’intuizione fondamentale per il nostro futuro è che oggi capiamo finalmente la differenza tra semplice “crescita economica” ed effettivo sviluppo economico. La crescita economica si basa sull’aumento degli indicatori tradizionali di reddito nazionale, e continua a provocare quello che è accaduto finora: più inquinamento, più emissioni di gas serra, più distruzione delle foreste. Il vero progresso economico mira a migliorare il benessere dell’umanità, sconfiggendo la povertà, sviluppando un’economia più equa e giusta, assicurando un livello educativo di qualità per tutti, prevenendo nuove pandemie, migliorando la qualità di vita attraverso tecnologie e modelli di business sostenibili. Il vero sviluppo economico punta a trasformare la nostra società creando benessere.

La Regenerative Society Foundation è una potente iniziativa governata da leader del mondo imprenditoriale italiano, seriamente impegnati in un’autentica trasformazione. Il concetto di rigenerazione trae origine e ispirazione dalla natura stessa, creando un’economia più circolare che elimini residui e inquinamento grazie al riciclo, al riutilizzo e alla rigenerazione delle risorse naturali. È chiaro che un sistema economico non può essere interamente circolare – ha bisogno di energia da fuori (altrimenti violerebbe le leggi della termodinamica). Ma invece di attingere da fonti fossili, l’energia del futuro dovrebbe venire da fonti rinnovabili (che si tratti di solare, eolico, idroelettrico o bioenergia sostenibile) e da altre tecnologie sicure. Persino energia proveniente da una fusione artificiale sicura potrà probabilmente essere tecnologicamente ed economicamente accessibile nel giro di qualche decennio.

Da parte mia, cerco di rigenerare anche l’economia, intesa come nuova disciplina accademica olistica per lo sviluppo sostenibile. Proprio mentre le aziende cambiano per allinearsi agli Sdgs, l’economia come disciplina intellettuale deve riconoscere che l’economia di mercato deve essere pervasa di una struttura etica, e che la politica deve avere come obiettivo il bene comune. Le discipline scientifiche devono lavorare insieme, unendo le forze tra scienze naturali, scienze politiche, scienze umane e arti. Papa Francesco ha lanciato un appello per questa nuova economia olistica, incoraggiando i giovani ad adottare l’Economia di Francesco, ispirata all’amore della natura e dell’umanità di San Francesco d’Assisi.

Sviluppo sostenibile, economia rigenerativa ed Economia di Francesco sono, in fondo, un nuovo modo di mettere a frutto la nostra conoscenza, le tecnologie del XXI secolo e l’etica, promuovendo il benessere umano. Il primo principio è il bene comune – e questo significa che dobbiamo cominciare con la pace e la cooperazione. Mettere fine alla guerra in Ucraina sui tavoli della diplomazia, e trovare uno scopo comune globale tra Ovest ed Est, è il punto da cui ripartire.

VNZ News

Festival Oltre Confine

Giovedì 23 Giugno si è tenuto nella Palestra comunale di Pian Camuno l’incontro conclusivo del Festival Oltre Confine, durante il quale Silvio Garattini ha parlato, introdotto da Marco Vitale, del suo libro “Brevettare la salute? Una medicina senza mercato”: la serata ha avuto un grande successo, con vivi apprezzamenti da parte delle circa 300 persone presenti degli interventi di Garattini e di Vitale. L’evento ha chiuso il festival Oltre Confine che si sta imponendo sempre più come un evento importante per tutta la Val Camonica e sul quale sono disponibili maggiori informazioni al seguente link: www.oltreconfinefestival.it

 

Presentazione del libro
di Carla De Bernardi

Lunedì 27 Giugno, al Teatro Franco Parenti di Milano, si è tenuta la presentazione del libro di Carla De Bernardi “Storia di Milano, guida per curiosi e ficcanaso”.
Marco Vitale è intervenuto con Carla De Bernardi, Lorenzo Degli Esposti e Alberto Oliva.
A questo link vi proponiamo una sintesi dell’intervento pubblicata su Quotidiano di Sicilia il 27 luglio 2022.

FABBRICA FUTURO
Brescia 2022

Venerdì 8 luglio si è tenuto a Borgo Santa Giulia l’Evento FABBRICA FUTURO – Brescia 2022, organizzato dalla casa editrice Este, sulle sfide che l’industria manifatturiera ha davanti a sé. VNZ ha partecipato con un intervento di Nicola Boni sul tema “SCENARI INCERTI, PREPARIAMOCI A DOVERE”.
Potrete leggere i dettagli dell’evento
a questo link: https://www.este.it/incontro/fabbrica-futuro-brescia-2022/
 

Academy VNZ

Venerdì 1 luglio si è concluso il primo corso della nostra VNZ Academy, tenuto dal prof. Alberto Bubbio sul tema “Controllo di gestione e attuazione della strategia: la Balanced Scorecard”, che ha visto la partecipazione soddisfatta di imprenditori, CFO e controller di aziende clienti e non.
Dopo la pausa estiva l’Academy riprenderà le proprie proposte con un nuovo percorso formativo in 5 incontri, dedicato ad un altro tema fondamentale per la gestione delle imprese ovvero: “Leadership per imprese innovative nella nuova economia: dare un senso al lavoro nell’impresa nella prospettiva di un nuovo spirito di collaborazione e partecipazione”.

Consulta il programma
 

Da non perdere

Per una Costituzione
della Terra
L'umanità al bivio

Luigi Ferrajoli
Feltrinelli, 2022
19,00 €

Tempo di lettura: 1 min.

Esistono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità. Il riscaldamento climatico, il pericolo di conflitti nucleari, le disuguaglianze, la morte di milioni di persone ogni anno per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salva-vita e le centinaia di migliaia di migranti in fuga segnano il nostro orizzonte presente e futuro. In gran parte dipendono dall’assenza di limiti ai poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali. Tuttavia, secondo Luigi Ferrajoli, un’alternativa istituzionale e politica è possibile e la sua stella polare è una Costituzione della Terra. Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Al contrario, è la sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che Thomas Hobbes affrontò quattro secoli fa: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica basato sul divieto della guerra e sulla garanzia dell’abitabilità del pianeta e perciò della vita di tutti. La vera utopia, l’ipotesi più inverosimile, è l’idea che la realtà possa rimanere così com’è. Solo una Costituzione della Terra che istituisca un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura, metta al bando le armi, a cominciare da quelle nucleari, e introduca un fisco globale e idonee istituzioni globali di garanzia in difesa delle libertà fondamentali e in attuazione dei diritti sociali di tutti può realizzare l’universalismo dei diritti umani, assicurare la pace e, prima ancora, la vivibilità del pianeta e la sopravvivenza dell’umanità.

Le 10 mappe
che spiegano il mondo

Tim Marshall
Garzanti, 2017
14,00 €

Tempo di lettura: 50 sec.

Per comprendere quel che accade nel mondo abbiamo sempre studiato la politica, l’economia, i trattati internazionali. Ma senza geografia, suggerisce Tim Marshall, non avremo mai il quadro complessivo degli eventi: ogni volta che i leader del mondo prendono decisioni operative, infatti, devono fare i conti con la presenza di mari e fiumi, di catene montuose e deserti. Perché il potere della Cina continua ad aumentare? Perché l’Europa non sarà mai veramente unita? Perché Putin sembra ossessionato dalla Crimea? Perché gli Stati Uniti erano destinati a diventare una superpotenza mondiale? Le risposte a queste domande, e a molte altre, risiedono nelle dieci fondamentali mappe scelte per questo libro, che descrivono il mondo dalla Russia all’America Latina, dal Medio Oriente all’Africa, dall’Europa alla Corea. Con uno stile chiaro e una prosa appassionante, Marshall racconta in che modo le caratteristiche geografiche di un paese hanno condizionato la sua forza e la sua debolezza nel corso della storia e, così facendo, prova a immaginare il futuro delle zone più calde del pianeta.

Geografia diversa e preziosa
Il pensiero geografico
in altri saperi umani

Giacomo Corna Pellegrini
Carocci, 2007
23,00 €

Tempo di lettura: 40 sec. 

Tutti gli uomini sentono il bisogno di conoscere, capire e raccontare il mondo che li circonda. Anche molti grandi personaggi del passato e del presente hanno vissuto questa esperienza. Il libro analizza, nella vita e nell'opera di una trentina di essi, quale sapere geografico abbiano espresso. Si scopre così, inaspettatamente, che psicologi, fisici, letterati, politici ed economisti, registi e poeti hanno dato contributi importanti alla descrizione e all'interpretazione di molte vicende umane, di territori diversi o addirittura di interi continenti: di fatto hanno realizzato della buona Geografia. Ciò conferma il valore della ricerca geografica, ma le offre anche nuovi paradigmi di studio, diversi da quelli tradizionali; preziosi per arricchire questi di nuovi caratteri. Scoprire il pensiero geografico in altri saperi umani è dunque un contributo alla ricerca geografica e ad una innovativa didattica della Geografia.

 


 
Hanno collaborato a questo numero:
Sara Belotti, Nicola Boni, Lamberto Correggiari, Margherita Saldi,
Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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