NEWSLETTER n. 9, dicembre 2020
Non strappate le rotaie del tram

Molti a Milano ricordano questo episodio dell’estate 1943.
Lungo Corso Vittorio Emanuele, assolato e deserto,
cammina un uomo solo, silenzioso e triste
che reca un grande cartello sul quale sta scritto:

Mentre la Patria muore litigano per chi deve strappare le rotaie del tram”.

Sono parecchie le vicende contemporanee
che evocano alla memoria questo episodio.
 
PRIMO PIANO

La crisi economica mondiale determinata dall’epidemia Covid-19 ha trovato “terreno fertile” sui grandi e gravi problemi da tempo esistenti, su tutti le diseguaglianze in forte accelerazione e la necessità di rendere più sostenibile per il nostro pianeta il modello dominante di sviluppo.

Gli squilibri finanziari mondiali conseguentemente si stanno aggravando anche sull’onda della crescita dei debiti degli Stati per effetto dei recenti sostegni a imprese e famiglie per contrastare gli effetti della pandemia. Il Fondo monetario stima - riferendosi ai soli Stati - che il rapporto tra debito pubblico e Pil tra la fine del 2019 e il 2021 salirà in media di 20 punti percentuali per le economie avanzate, di 10 punti percentuali per i Paesi emergenti e di 7 per quelli poveri. Per le economie avanzate il rapporto supererà il 130% (livello raggiunto dal 1880 solo nell’immediato dopoguerra).

Ammesso e non concesso che i Paesi più sviluppati avranno ancora la capacità di andare sul mercato e di ottenere prestiti dagli investitori, gli Stati più poveri rischiano invece di non farcela, di essere le future vittime del Covid-19.

Non possiamo per altro disconoscere, se si vuole essere obiettivi, che la crescita dei debiti pubblici nazionali per le economie avanzate non è cosa nuova. Infatti, il rapporto sul Pil è superiore al 100% dal 2009.

È quindi evidente come, anche in questo caso, il Covid è, e sarà, un potentissimo acceleratore di problemi già esistenti che, inevitabilmente, dovranno essere affrontati, sebbene molto complessi. Ci auguriamo che ciò avvenga prima che esplodano ulteriormente. Ci sarà bisogno probabilmente di un “reset” generalizzato sui debiti pubblici nazionali, tema che pare cominci ad entrare nel dibattito pubblico.

Il quadro politico internazionale sembra invece migliore soprattutto dopo la sconfitta di Trump alle elezioni. Non dobbiamo però farci illusioni: il “trumpismo” ed i suoi pericoli rimangono e Biden avrà grandi difficoltà a fare passare una linea diversa sul piano internazionale. Infatti, gli USA rimangono un Paese imperialista che ancora non vuole rendersi conto che il mondo è entrato in una fase storica nuova che non permette più l’esistenza di paesi dominanti bensì si avvia verso un assetto con più centri di riferimento e di guida. 

Il problema è che l’America non ha ancora capito che deve cambiare anch’essa profondamente.

Ciò detto dobbiamo ringraziare tutti gli americani che hanno fermato Trump, ma non dimentichiamo che sono tanti quelli che ancora lo sostengono.

Sul fronte nazionale la seconda ondata del Covid è molto dura. Le ultime decisioni del Governo per contrastarla sembrano essere efficaci, dopo le gravi mancanze di questa estate che ci hanno fatto trovare ancora una volta impreparati ed in ritardo alla recrudescenza dell’infezione e forse l’hanno anche accentuata.

Gli effetti negativi della seconda ondata sono molto forti sul fronte economico ma anche su quello psicologico. Ed è su questo secondo fronte che tutti dobbiamo dare un grande contributo, partendo dal riaffermare con chiarezza una cosa che da sempre noi sosteniamo: la manifattura italiana resta solida, seria e forte e potrà certamente riprendere la via dello sviluppo con fiducia, sia pur attraverso le difficoltà. 

Sono tante le imprese che oggi stanno lavorando in questo senso e che assicurano un’adeguata difesa dal Covid. Alleghiamo un esempio di buone pratiche applicate presso un’impresa.

Certamente ci sono settori che sono duramente colpiti dagli effetti della pandemia (turismo, trasporti, ristorazione, tessile, ecc.). Per questi settori la solidarietà pubblica, attraverso gli interventi statali, deve assicurare un grande sostegno.

Fortunatamente però il cuore dell’economia italiana, la manifattura, resta solido e coraggioso e non è andato affatto perduto come purtroppo ogni tanto ci capita di leggere anche su giornali che, per loro missione, dovrebbero rappresentare il mondo manifatturiero.

Gli indici ed i parametri che invece inchiodano il nostro Paese al “non sviluppo” sono tutti i settori dei servizi pubblici e dello Stato.

Il Coronavirus, quindi, ha posto in grande luce che non dobbiamo migliorare l’industria che è già forte e sa reagire, ma lo Stato dove, purtroppo, continuano ad imperversare gli “azen” di cui Marco Vitale scriveva già nel 1992, come potete leggere nel successivo articolo che riportiamo integralmente.

ESEMPIO DI BUONE PRATICHE A DIFESA DAL COVID APPLICATE PRESSO GLI STABILIMENTI DI UN’IMPRESA MANIFATTURIERA 

  • Impostazione di orari e turni di lavoro sfalsati per liminare gli assembramenti e ridurre il numero di persone contemporaneamente presenti nel ristorante aziendale
  • Eliminazione delle pause collettive ed introduzione dei jolly di linea produttiva
  • Tutte le persone in rientro post lock-down / assenza prolungata hanno fatto visita medica con il medico aziendale
  • Rilievo temperatura ad ogni ingresso nel sito e due volte al giorno durante il turno produttivo
  • Utilizzo della mascherina obbligatoria e dotazione di n° 2 mascherine al giorno
  • Sanificazione giornaliera degli ambienti e due volte al giorno dei servizi igienici
  • Proseguimento dell’attività di sorveglianza sanitaria ordinaria e per il personale sottoposto ad indagini specifiche (tampone)
  • Tracciamento dei dipendenti che hanno soggiornato in Paesi a rischio e successiva sorveglianza sanitaria prima del rientro in Azienda
  • Gestione mirata dei casi positivi tracciando tutti i possibili contatti, tenendoli da subito in isolamento cautelativo ed organizzando nell’arco di 48h i relativi tamponi di verifica

Gli "AZEN"
Marco Vitale, scritto del 20 settembre 1992

Poco si parla, nel nostro Paese, di un ceto sociale assai importante ed influente: gli “azen”. Con questa efficace espressione lombarda si intendono quelle persone che, in relazione ad una data situazione od attività per le quali sono chiamate ad esibirsi, hanno un livello di incompetenza ed una mancanza sia di doti naturali che di qualificazioni professionali assolute, integrali, irreversibili.

Insomma “n’azen” è, per una data situazione od attività, il massimo, in negativo. Quando di uno si dice che è “n’azen”, si potrà nutrire per lui simpatia, in qualche caso affetto. Ma il discorso è chiuso: con lui, per quella data materia, non c’è niente da fare, né oggi né mai.

La nostra economia pubblica, i consigli di amministrazione delle nostre imprese soprattutto pubbliche, e segnatamente della nostra regione, sono piene di “azen”. 

Ho avuto la fortuna di poterli osservare a lungo, con attenzione, sovente con simpatia, per cercare di capire da dove viene, per quali scopi, con quali conseguenze, un ceto così numeroso e, grazie ai partiti, così influente.

Un amministratore “azen”, qualunque sia la sua origine, presenta delle caratteristiche di fondo abbastanza standard: il punto base è che deve essere rigorosamente privo di qualunque conoscenza, diretta o indiretta, utile per l’attività che è chiamato a svolgere; il secondo punto fondamentale è che deve avere una ferma determinazione a non curare la sua ignoranza (in primo luogo perché non ne è minimamente cosciente, in secondo luogo perché, ove, per qualunque ragione, acquisisse tale coscienza, ne sarebbe lieto, convinto com’è che la sua ignoranza è un bene assoluto da difendere, una sicura garanzia di successo); il terzo punto è che deve avere una scala di valori con al primo posto la cosca di partito cui appartiene, al secondo il partito, al penultimo il paese, all’ultimo l’impresa che è chiamato ad amministrare.

Dunque l’amministratore d’impresa “azen” non deve sapere rigorosamente niente di imprese, di amministrazione, di strategie, di corretti rapporti tra proprietà-amministratori-management-lavoro, di finanza. Deve inorridire quando sente ignote e minacciose parole come autofinanziamento. Tutte le conoscenze che faticosamente si vanno accumulando ed ordinando, grazie all’attività di ricerca delle più prestigiose Università e scuole di management mondiali, sono, per lui, sciocchezze, per le quali non ha tempo da perdere. Infatti lui – esclamerà enfaticamente in qualche consiglio – non è amministratore per fare il tecnocrate (figura che lo disgusta) ma per sviluppare e portare avanti le istanze sociali e il pensiero sociale del suo grande partito.

Sono migliaia e migliaia. Sono una catastrofe nazionale. La maggior parte delle imprese pubbliche locali, imprese di grande importanza, sono nelle loro mani. Come è potuta avvenire una tale catastrofe? Non intendo certamente dire che tutti gli amministratori di imprese locali appartengono al ceto degli “azen”, (ve ne sono, invero, di bravissimi) né che “azen” non siano presenti altrove. Ma qui si tratta di un vero e proprio ceto, che ha una posizione dominante in un’attività assai significativa del Paese. E dunque si tratta di un fenomeno e di un problema di rilievo nazionale.

Perché gli “azen” hanno assunto una posizione così dominante, da dove vengono, che danni procura la loro azione? La risposta al perché è molto facile: sono lì così numerosi perché sono funzionali ai ladri di tangentopoli; senza tanti “azen” i ladri di tangentopoli non avrebbero potuto operare così impunemente. Il rispondere alla domanda sul “da dove vengono” è invece più complesso. Vengono dai partiti ovviamente. Ma i partiti dove sono riusciti a trovare tanti “azen”, tutti insieme, tutti simili, tutti così affidabili, ed in numero così alto da costituire, in pochi anni, un vero e proprio ceto? Ed è mentre li guardo e li ascolto che mi viene l’illuminazione. Questi non devono essere uomini; sono ominidi mascherati provenienti da altri pianeti. Forse sono marziani (ed i marziani veri, se esistono, mi perdonino). Questa intuizione si collega al tema dei danni. Infatti i danni che gli “azen” procurano sono immensi. Impossibile quantificarli, ma una ragionevole proiezione dei fatti noti permette di affermare che l’unità di misura, a livello nazionale, è certamente di molte migliaia di miliardi all’anno.

Marco Vitale

Scritto il 20.09.1992

 

I giovani

Nei giorni scorsi sul blog online diretto da Angelo Gaccione ODISSEA è apparso un dibattito sui giovani d’oggi. 

Riportiamo di seguito la risposta di Marco Vitale alla lettera aperta di Danilo Reschigna (autore-attore-regista-drammaturgo) che ha avviato il dibattito. La risposta di Vitale è preceduta dalla lettera di Reschigna con il commento iniziale di Angelo Gaccione.


LETTERA APERTA

Pubblichiamo volentieri questa lettera aperta di Danilo Reschigna, anche se ne individuiamo i limiti. 

Parlare genericamente di “giovani” è fuorviante come parlare genericamente di “anziani”, di “donne”, di “intellettuali” e così via. Ci sono intellettuali servi, stronzi e disimpegnati, come ci sono giovani servi, stronzi e disimpegnati e così continuando. 

Che la gran massa dei giovani di questi luridi anni abbia in testa solo il divertimento, lo sballo, la discoteca, è indubitabile. Che la gran parte di loro (ma non solo loro) siano i migliori clienti delle mafie acquistando droghe e frequentando i locali alla moda che le mafie gestiscono, è altrettanto indubitabile. Che di giovani se ne vedono pochissimi in tutte le occasioni in cui sarebbe necessario, è anche questo indubitabile. 

Morta quella che una volta si chiamava “coscienza di classe”, trasformatisi i ceti popolari in un’orda di piccoli borghesi arrivisti e dalla cultura individualista (mi arrangio come posso, mors tua vita mea, chi se ne frega della dignità…), il risultato non poteva essere che questo. 

Il tradimento delle classi dirigenti, il disgusto suscitato dai partiti, l’ignominia di una borghesia corrotta e vorace, il degrado di istituzioni il cui prestigio è naufragato, il pessimo esempio da ogni parte: arricchirsi costi quel che costi, l’impunità dei potenti, l’inefficacia delle leggi, la saldatura tra finanza, banche, mafie, lo sperpero di denaro pubblico che ha devastato la Nazione, una stampa nella sua quasi totalità compiacente, hanno precipitato il nostro Paese nel risentimento individuale e nell’abulia. Sono pochi, molto pochi i giovani che resistono e si mobilitano? Verissimo. Ma un appello generico ai “giovani” è perfettamente inutile. La stragrande maggioranza di loro è da anni indifferente come lo è la stragrande maggioranza degli “anziani”, delle “donne” e di tante e tante altre generiche categorie sociali.

[Angelo Gaccione]   


Non vi stimo, non vi amo, mi fate paura e rabbia.

Danilo Reschigna

Carissimi giovani,

Goffredo Mameli, che ha composto il nostro inno nazionale che voi non conoscete, ha sacrificato la sua vita per difendere la Repubblica Romana nel 1849 alla giovanissima età di ventidue anni. Tanti giovani hanno immolato la loro esistenza in montagna come partigiani per donarvi una patria democratica e libera e voi se potete manifestare il vostro giusto dissenso è appunto per merito di questi giovani che diventati anziani stanno morendo per colpa del virus. 

Nella Firenze dell’alluvione del quattro novembre millenovecentosessantasei, moltissimi ragazzi della vostra età e di tutto il mondo, si sono rimboccati le maniche, e non solo quelle, per salvare la cultura storica di questa importante città. I famosi angeli del fango. 

Ho sempre ammirato la vostra esuberanza di voler cambiare questa società e la vostra generosità nell’aiutare il terzo mondo, i disabili, i poveri e altre attività umanitarie. Avete lottato con decisione e fervore appassionante per le grandi battaglie civili: la chiusura dei manicomi, la battaglia sul divorzio e l’aborto, le marce per la pace e contro le armi nucleari. 

Ma ora non vi riconosco più: molti di voi marciano contro il governo perché non credono alla pandemia e naturalmente lo fanno senza distanza e senza le mascherine. Anche se anch’io sono d’accordo che i politici hanno fatto degli errori ma chi non fa niente non sbaglia mai. 

Voi non siete angeli del fango ma demoni incoscienti che non si interessano di cultura della vita e non indossano le mascherine. Voi, invece di aiutare il terzo mondo non tollerate chi scappa dalla propria terra per fame e guerra: invece di soccorrere chi soffre aiutate, non avendo la mascherina, a uccidere i vostri cari e tutta l’umanità: siete degli assassini da scaraventare in galera. 

Voi non vi rimboccate le maniche per salvare la cultura ma vi compiacete della vostra ignoranza con assembramenti da gregge inebetito per bere il vostro agognato aperitivo e dialogare con altri sordi che non vi vedono ma costantemente senza mascherina. 

Molti di voi mi diranno che tanti giovani non sono come li ho descritti e fanno anche del bene e la storia umana è sempre stata, purtroppo, questa: è vero ma partendo da questo cataclisma che modificherà probabilmente il nostro futuro possiamo iniziare una nuova era rinascimentale che riguarda ognuno di noi. 

È anche vero che numerosi giovani non sono quelli che ho “demolito” ma questo è l’eccezione che conferma la regola.


Risposta di Marco Vitale

mercoledì 25 novembre 2020

A PROPOSITO DI GIOVANI

di Marco Vitale

Caro Gaccione,

accolgo volentieri l’invito a partecipare al dibattito iniziato con la lettera aperta di Danilo Reschigna del 20 novembre 2020, contenente una dura accusa ai giovani d’oggi, definiti “demoni incoscienti” e “assassini da scaraventare in galera”. Lo faccio perché il parlare di giovani e con i giovani è sempre stato al centro del mio interesse, sia come docente che come assuntore di giovani molti dei quali ho avviato alla professione.

La lettera mi ha colpito come atto d’amore. Infatti, è solo l’amore e l’amarezza frutto dell’amore deluso, che può suggerire una accusa così generale, così generica, così ingiusta. Nel finale della sua lettera Reschigna stesso corregge il tiro affermando che “numerosi giovani non sono quelli che ho “demolito”, ma questa è l’eccezione che conferma la regola”. 

La domanda da porsi è dunque: la regola è quella illustrata dall’apocalittica riflessione di Reschigna o quella dei tantissimi giovani che studiano e lavorano silenziosamente e seriamente fuori dai riflettori, dalle discoteche, dalle feste della “nuova” Milano da bere anzi da sniffare?

L’immagine più rappresentativa è quella ributtante di quella parte della gioventù milanese ricca o benestante che abbiamo, con orrore, visto recentemente partecipare a feste imbottite di cocaina e di stupri (e mi riferisco non solo a chi organizza queste feste ma a chi alle stesse partecipa) o sono i giovani medici e infermieri siciliani che hanno risposto immediatamente, senza se e senza ma, alla richiesta di aiuto della Val Seriana nel momento più acuto della pandemia? 

E perché questi giovani sanitari siciliani dovrebbero essere meno meritevoli degli “angeli del fango” di Firenze? Forse ci voleva più coraggio ad andare a esercitare attività sanitarie in Val Seriana che andare a spalare fango a Firenze. 

E non sono giovani i ragazzi e le ragazze del Rione Sanità di Napoli che, guidati da un sacerdote-imprenditore-maestro hanno fatto, in questo importante Rione di Napoli, un autentico “miracolo” (copyright Papa Francesco) sociale, culturale, economico? E non è un anziano, anzi un vecchio, carico di onori, di patacche e di potere, il cardinale che sta cercando di soffocare e umiliare questo “miracolo”, questa bellissima storia giovanile? 

E siamo certi che i giovani che generosamente sono impegnati nel terzo settore siano così pochi da rappresentare una minoranza senza valore, una eccezione trascurabile? 

Molti intellettuali che scrivono sui giornali sono convinti che le fabbriche non esistano più, e gli operai non esistano più. Io che, per mestiere di medico condotto d’impresa, ho a che fare con molte fabbriche, vorrei assicurarvi che le fabbriche, (comprese molte fabbriche fordiste) esistono ancora e che gli operai esistono e lavorano fabbricando cose utili per tutti noi e che la grande maggioranza di essi sono giovani. 

E non sono stati i giovani che hanno dato un aiuto decisivo a bloccare la scalata alla Regione Emilia, di quella sventura nazionale di Salvini? E non è stato il voto giovanile a dare un grande contributo a fermare la tragedia di Trump che, a differenza di quello che lui pensa di essere, tanto giovane più non è?

Potrei continuare a lungo, ma non credo si tratti di un esercizio molto utile, mancando la prova statistica e aritmetica ognuno resterebbe della propria opinione. Meglio provare a ragionare sul significato dell’allarme lanciato da Reschigna, perché l’allarme, a prescindere dai toni esasperati e dal suo fondamento statistico, è giustificato e preoccupante.

Io penso che i giovani descritti da Reschigna siano una minoranza, ma anche se fossero una forte minoranza, l’allarme merita la più seria attenzione. Ma vi è qualcosa di più triste dell’allarme lanciato da Reschigna ed è la conclusione di Gaccione quando afferma: “Ma un appello generico ai “giovani” è perfettamente inutile. La stragrande maggioranza di loro, infatti, è da anni indifferente”. 

Se questo è vero e temo che, in parte, lo sia, dobbiamo porci la domanda centrale: da dove viene questa indifferenza? È una domanda che ci porta inevitabilmente a fare i conti con noi stessi, come genitori, nonni, come cattivi maestri.

Nel 2016 ho pubblicato un libro dedicato alla mia città, intitolato: Città di Brescia, culla d’intrapresa. Questo libro mi portò a ripercorrere gli anni della mia formazione ed a rendere un profondo ringraziamento ai grandi maestri, laici e religiosi, che la mia generazione ebbe la fortuna di avere. 

Riflettendo su questa grande fortuna mi posi una domanda fondamentale: “Ma cosa abbiamo fatto, di ciò che questi maestri ci hanno dato? Ne abbiamo fatto buon uso? Cosa abbiamo restituito? Cosa abbiamo dato, in cambio?”. 

Sono queste le domande che contano. E le risposte possono essere, in parte, individuali, ma anche, in parte, comuni, generazionali. Sul piano personale e professionale, mi sembra di aver fatto buon uso degli insegnamenti di quei maestri, così come dei tratti essenziali della “brescianità”, che ci vengono trasmessi dalla storia della città, con la quale mi sono sempre profondamente identificato e della quale sono sempre stato molto orgoglioso. 

Sul piano pubblico e civico, invece, il bilancio è negativo: e ciò, non solo a livello personale, ma dell’intera nostra generazione. Non mi pare che abbiamo fatto buon uso di quel patrimonio che ci è stato affidato. 

Una volta in Vaticano un importante prelato mi chiese “ma cosa è successo a Brescia? Possibile che la sua grande tradizione di rigoroso cattolicesimo liberale, di un rigore quasi protestante, si sia squagliata, svanita nel nulla?”. Una domanda difficile e inquietante. Verrebbe da rispondere: non ci sono più maestri. 

Risposta facile, ma pesante: perché se non ci sono più maestri, dipende da noi, da quelli della mia generazione. Siamo noi che dovevamo portare avanti la fiaccola che quei grandi maestri ci avevano affidato. Se non ci sono più maestri, è perché noi non siamo stati capaci di prendere il testimone e portarlo avanti: come maestri, abbiamo fallito.

Non abbiamo saputo far fruttare i grandi doni che ci sono stati affidati. Come generazione siamo, dunque, sul piano pubblico, una generazione fallimentare. 

Ma, dopo aver recitato il “confiteor”, da bravi cristiani – o come diceva il mio amico Ermanno Olmi, da aspiranti cristiani – è nostro dovere ricominciare ad alimentare la speranza, a rimettere la fiaccola sopra il moggio, a parlare ai nostri figli e ai nostri nipoti, affinché sappiano diventare migliori di noi, maestri mancati”.

Questa progressione, che ho scritto per Brescia e per la mia giovinezza, può avere una valenza generale e il Covid ci aiuta a capirlo ed a farlo capire anche ai giovani di oggi, che sono apparentemente indifferenti ma tali sono o appaiono, prevalentemente perché non hanno avuto bravi maestri, credibili ed affidabili.

Oggi, anche grazie al Coronavirus, possiamo ricominciare a parlare con i giovani, anzi con i giovanissimi, quelli che sono oggi alle elementari che sono molto turbati ma non spaventati e che, talora, mi colpiscono per la loro precoce maturità. 

Hanno solo bisogno di qualcuno credibile che spieghi loro come stanno veramente le cose e il significato di ciò che sta avvenendo. Qualcuno che spieghi loro, ad esempio, che chi ha aperto le discoteche in Sardegna non erano dei giovani ma dei signori abbastanza attempati. Qualcuno che li incoraggi ad essere forti ed a prepararsi per quando il virus sarà sconfitto. Ma che spieghi anche che il Coronavirus ci sta insegnando tante cose e ci lascerà in dono maggiore consapevolezza. 

Parliamo dunque con i giovanissimi dicendo loro quelle parole che non abbiamo saputo dire ai loro fratelli maggiori o ai loro giovani genitori.

Allego un trafiletto di un giovane non indifferente, su “Economy Francesco”, mio collaboratore*.

Suggerisco di vedere il docu-film di Giacomo Gatti, regista, Inaz produttore, intitolato: “Il fattore umano. Lo spirito del lavoro", dove si vedono giovani e meno giovani non “indifferenti” all’opera su lavori fatti con tanto amore.

[*Economy of Francesco. Percorso bresciano di Mario Nicoliello, Giornale di Brescia del 20 novembre 2020]

IN & OUT

Economia di Francesco

Sono tante le cose sbagliate nell’economia e nella nostra vita. Tante contraddizioni stanno emergendo anche per effetto del Coronavirus e purtroppo, come abbiamo anche affrontato in altre parti della Newsletter, la pandemia è un potente acceleratore degli effetti negativi delle cose che non vanno.

Molte di queste sono legate ad un modello di economia che deve cambiare in profondità e questo è un uno dei nostri temi di sempre. 

Accogliamo e seguiamo perciò con grande attenzione lo sforzo di Papa Francesco che attraverso il grande incontro, virtuale, dei giorni scorsi ad Assisi (dopo una lunga fase preparatoria) “The Economy of Francesco” vuole diffondere la consapevolezza della necessità di profondi cambiamenti individuandone anche possibili linee guida.

Un incontro importante quello di Assisi, con oltre 2mila tra economisti, ricercatori, imprenditori sociali e attivisti da 120 Paesi del mondo, tutti e tutte con meno di 35 anni. 

Registriamo anche con grande felicità la partecipazione all’evento di un nostro collaboratore, Mario Nicoliello, che di seguito ci offre la sua diretta testimonianza.

 

Raccolgo volentieri l’invito a portare in questa Newsletter la mia testimonianza sulla partecipazione ai lavori di Economy of Francesco, un’esperienza altamente stimolante nella quale sono stato coinvolto negli ultimi otto mesi e nella quale mi cimenterò anche lungo il prossimo anno.

L’idea originaria di Papa Bergoglio era incontrare di persona ad Assisi lo scorso marzo duemila giovani ricercatori e imprenditori, con i quali avviare il discorso su una nuova economia, più inclusiva e partecipativa. Metterci insieme per tre giorni sotto lo stesso tetto, farci conoscere e poi ragionare – dopo aver ascoltato gli stimoli di premi Nobel, economisti di fama internazionale e capi azienda di successo – sui temi dell’economia globale. Purtroppo ci si è mezzo di mezzo il Covid, ma quel che ne è scaturito è stato sorprendente. 

I previsti dodici tendoni si sono trasformati da aule fisiche a villaggi virtuali: dodici tavoli tematici, a loro volta organizzati in sottogruppi, in modo da creare articolazioni snelle e facili da gestire. Nel mio caso mi sono confrontato con altri cinque colleghi – due brasiliani, una filippina, una venezuelana e un’italiana – per approfondire la missione delle imprese. Il nostro lavoro è confluito – assieme a quello degli altri dieci sottogruppi del villaggio “Aziende in transizione” – in un unico contenitore, dal quale è stata scelta la proposta spedita al Santo Padre prima dell’incontro virtuale di novembre. Una sola idea per ciascun villaggio: la nostra ha riguardato la creazione di una piattaforma per formare le piccole e medie aziende sui valori comuni espressi dall’enciclica Laudato Si’ e dagli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Durante la tre giorni di conferenze on line ci siamo confrontati su quanto sinora fatto, onde capire come proseguire il percorso, con un obiettivo preciso: collaborare per il bene comune. 

Al momento le idee sul tavolo sono tante, anche riguardanti i temi cari a VNZ, come lo sviluppo generale in chiave socio-economica o la strategia d’impresa, starà a noi concretizzarle e poi divulgarle. Intanto il Papa ci ha spronato ad avviare processi, allargare orizzonti e creare appartenenze, ma anche a osare senza cercare scorciatoie. Insomma, dobbiamo sporcarci le mani, convinti che Assisi stato solo l’inizio, il meglio dovrà ancora venire.

Come tutti i processi, però, anche nel nostro caso occorreva mettere nero su bianco qualcosa di concreto, così abbiamo deciso di sintetizzare in dodici punti le nostre prime proposte, creando una sorta di Manifesto dei giovani di Assisi. 

In sintesi, abbiamo cominciato chiedendo alle potenze mondiali e alle istituzioni economico-finanziarie di rallentare la propria corsa per lasciar respirare la Terra. Abbiamo continuato chiedendo di attivare una comunione mondiale delle tecnologie più avanzate, affinché pure nei Paesi a basso reddito si possano realizzare produzioni sostenibili. Abbiamo quindi affrontato il tema della custodia dei beni comuni (atmosfera, foreste, oceani, risorse naturali, biodiversità), aspetto che andrebbe posto nelle agende dei governi e negli insegnamenti in scuole e università. Nel Manifesto abbiamo chiesto anche di non usare le ideologie economiche per offendere e scartare i poveri e gli svantaggiati, di rispettare il diritto al lavoro dignitoso per tutti, di abolire i paradisi fiscali e dare vita a nuove istituzioni finanziarie, riformando in senso democratico le esistenti. L’obiettivo è scoraggiare la finanza speculativa e predatoria, incentivandone una più giusta. Così, da un lato imprese e banche dovrebbero introdurre un comitato etico indipendente con veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui poveri, dall’altro le istituzioni nazionali dovrebbero premiare gli imprenditori innovatori in ambito ambientale, sociale, spirituale e manageriale. Siccome poi il capitale umano è il più importante, gli Stati dovrebbero curare un’istruzione di qualità e gli enti economici non dovrebbero darsi pace finché le lavoratrici non abbiano le stesse opportunità dei lavoratori. Infine abbiamo chiesto l’impegno per un mondo di pace, nel quale non si sottraggano risorse alla scuola e alla sanità per costruire armi e alimentare le guerre necessarie a venderle. 

Certamente si tratta di richieste pesanti, che qualcuno bollerà forse come irreali, ma pensiamo che oggi occorra richiedere con insistenza, affinché ciò che al momento appaia impossibile domani lo sia meno. 

 

Mario Nicoliello, ricercatore in Economia Aziendale

 

Il decreto correttivo non “riforma”
la riforma della legge fallimentare

Siamo purtroppo costretti a riproporre come “notizia out” il tema della riforma della disciplina della crisi d’impresa che avevamo già trattato a giugno 2019 nella Newsletter n. 1/2019, cui rimandiamo per approfondimenti.

Nel 2019 la cattiva notizia che avevamo segnalato era costituita dalla disciplina dei cd “sistemi di allerta” previsti dalla riforma della legge fallimentare (D. Lgs n. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) applicabile alle imprese con un fatturato inferiore ai 40 milioni di euro. Nello specifico avevamo segnalato il grande pericolo collegato all’introduzione dell’OCRI (Organismo di composizione della crisi d’impresa), quale organo “corporativo” nominato d’ufficio presso le Camere di Commercio deputato a cercare di risolvere situazioni di crisi d’impresa non gravi, attraverso l’individuazione degli interventi necessari sul piano aziendale e favorendo il raggiungimento di accordi con i creditori.

Nel 2019 auspicavamo un intervento legislativo correttivo che fosse promosso con forza da chi dovrebbe in primis essere maggiormente interessato, e preoccupato, dai possibili impatti dell’OCRI, ovvero dal mondo imprenditoriale. Nei confronti del mondo delle professioni, nello specifico i commercialisti, esprimendo i componenti dell’OCRI, era invece difficile nutrire qualche speranza.

Oggi la cattiva notizia è che il 26 ottobre 2020 è stato varato il decreto correttivo (D. Lgs. 147/2020), ma lo stesso non apporta alcuna modifica alla disciplina dell’OCRI che è quindi stata confermata in tutta la sua portata e che entrerà in vigore a settembre 2021. Tutto ciò sempre nel perdurante totale silenzio da parte delle categorie imprenditoriali.

Situazioni di squilibrio o crisi reversibili, efficacemente gestibili con soluzioni stragiudiziali di natura privatistica (o al limite anche ricorrendo al piano attestato di risanamento ex art. 67 o all’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis), rischieranno quindi di essere “incanalate” nel perverso meccanismo dell’OCRI, composto da professionisti specializzati in procedure concorsuali, quindi con un’ottica sostanzialmente liquidatoria.

Come aziendalisti non possiamo quindi che confermare e manifestare il nostro grande allarme, reso ancora più forte in considerazione degli impatti economici legati al Covid, verso una disciplina che è volta a istituzionalizzare inefficaci percorsi di risanamento, e che anzi rischia di portare per mano verso una crisi definitiva tante imprese che avrebbero invece i presupposti per risollevarsi. Ovvero l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere lo spirito della riforma.

VNZ NEWS

Presentazione del libro “Al di là del tunnel.
Se non ora, quando?”


Lo scorso 21 ottobre, in occasione della presentazione del libro del prof. Marco Vitale "Al di là del tunnel", abbiamo avuto il piacere di confrontarci con l’autore, Reza Arabnia e Ferruccio De Bortoli sull'impatto che sta avendo il Covid-19 sulla nostra società e sulle nostre aziende. Il libro "Al di là del tunnel" nasce dal confronto con imprenditori e luminari del nostro Paese durante la prima ondata della pandemia. Sono state così riassunte 10 lezioni del Coronavirus che vi proponiamo attraverso un estratto dell'incontro del 21 ottobre che potete guardare sul nostro canale Youtube
a questo link:
 https://www.youtube.com/watch?v=aVq7qP0Zz3Q
 

DA NON PERDERE

Il Sud esiste

Cinquant’anni di impegno professionale nel Sud di un economista lombardo, riletti con gli occhi di oggi e di domani
 
di Marco Vitale
2020, Marco Serra Tarantola Editore
Pag. 382, 18 €

È uscito il nuovo libro di Marco Vitale: “Il Sud esiste” è una raccolta di scritti e testimonianze di esperienze professionali dell’autore nel Sud, nell’arco di un cinquantennio. Esperienze che, lette con gli occhi di oggi e di domani, vorrebbero far luce sugli errori commessi per imboccare nuove strade, utili sia al Nord che al Sud. L’esperienza del Coronavirus, che ha unito il Paese in una sofferenza comune, ma anche in una reazione collettiva per tanti versi esemplare, letta insieme a una critica onesta degli errori del passato, indica le nuove vie da percorrere. 
C’è un filo rosso che unisce questi interventi professionali al Sud, un filo rosso rappresentato da alcuni principi e convinzioni profonde che sono nate, non nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno, ma in un contesto molto più ampio, dallo studio della storia, dell’economia, e dall’esperienza professionale internazionale. Principi e convinzioni che, però, hanno trovato nell’esperienza meridionale tante occasioni di confronto, approfondimento, affinamento, e conferme, sia in positivo che in negativo. Purtroppo, sono molti i principi che hanno trovato conferma in negativo, assumendo così gli scritti a essi riferiti, il carattere di prediche inutili. Ma le prediche che non hanno trovato ascolto in una stagione, se fondate e animate dallo spirito della “parresia” degli antichi ateniesi, possono conservare valore e diventare utili con il passare del tempo.
Non si comprende, infatti, il mancato decollo del Sud se non si considerano le forze che hanno avuto e hanno interesse a impedirlo: dai baroni siciliani ad alcuni presidenti di Regione che operano in modo diametralmente opposto a ciò che la loro regione richiederebbe; dai nababbi della povertà, che sul non-sviluppo hanno prosperato e prosperano, a quelle “élite” vaticane che vogliono bloccare quel “miracolo”– copyright: Papa Francesco – che è stato fatto al Quartiere Sanità di Napoli.
Ma forse, oggi, si può davvero voltare pagina e tornare a lavorare, insieme, per un futuro migliore.

Benedetto Cotrugli
The Book of the Art
of Trade

Curatori: Carlo Carraro e Giovanni Favero 
2017, Palgrave Macmillan
Pag. 244, 139 €

Questa è la prima traduzione inglese del Libro dell’arte de la mercatura scritto nel 1458 da Benedetto Cotrugli, un vivace racconto della vita di un mercante raguseo che operò a lungo anche a Napoli e Barcellona nel primo Rinascimento.

Il libro è un'appassionata difesa della legittimità delle pratiche mercantili e include la prima menzione scientifica della contabilità in partita doppia. Le sue quattro parti si concentrano rispettivamente sulle tecniche di trading, dalla contabilità all'assicurazione, la religione del mercante, la sua vita pubblica e le questioni familiari.

Scritto originariamente a mano, il libro fu stampato nel 1573 a Venezia in una versione ridotta e rivista. Questa nuova traduzione fa riferimento alla nuova edizione critica, basata su un precedente manoscritto scoperto solo di recente.

Opere come quelle di Cotrugli sono preziose per capire le radici dell’etica imprenditoriale che non è affatto cosa solo dei nostri giorni. Si veda al riguardo lo scritto di Marco Vitale: “Orgoglio e legittimazione dell’impresa” (http://www.marcovitale.it/lezioni_di_marco_vitale_02.html)

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Domenico Gamarro, Mario Nicoliello, Giorgia Piccinelli, Luca Soressi Serena, Monica Rossetti, Margherita Saldi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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