La Realtà Capovolta
Oggi, di fronte ad una realtà di guerre, avvenimenti politici, sociali e climatici ecc. voglio ricordare i tre slogan, che erano incisi sulla facciata del Ministero della Verità nel libro “1984” di George Orwell:
…“La guerra è pace”, “La libertà è Schiavitù”, “L’Ignoranza è Forza”
Tre slogan di una “Realtà Capovolta”, oggi, forse attuale…
Milano 26 maggio 2024, Lamberto Correggiari
“La parrēsia è l’attività che consiste nel dire tutto: pau rēma. Parresiaresthai significa “dire tutto”. Il parrēsiastēs è colui che dice tutto. La parrēsia è dunque, in poche parole, il coraggio della verità di colui che parla e si assume il rischio di esprimere, malgrado tutto, l’intera verità che ha in mente”.
(Michel Foucault, nell’ultimo dei corsi tenuti al Collège de France, tutto dedicato alla “parrēsia” dei greci, 1984)
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Tempi cupi, ma…
Marco Vitale, scritto il 2 giugno 2024 per Newsletter Vitale Zane & Co
Tempo di lettura: 18 min
“E voi dite: sono tempi difficili, sono tempi duri, tempi di sventure. Vivete bene e, con la vita buona, cambiate i tempi: cambiate i tempi e non avrete di che lamentarvi”
(Sant’Agostino, Discorso 311 Nel Natale del Martire Cipriano, 8.8).
Questo profondissimo pensiero di Sant’Agostino (che ho, a lungo, erroneamente pensato fosse di Sant’Ambrogio) mi è sempre stato molto caro. L’ho riprodotto in un quadretto che da anni è appeso, nel mio studio, bene in vista. E spesso il guardarlo è per me fattore di incoraggiamento e di guida.
Ho vissuto tempi difficili, ho vissuto tempi duri, ho vissuto tempi di sventure, come li ha certamente vissuti il vescovo di Ippona.
Ma il problema è che oggi non viviamo in tempi solamente difficili, duri, di sventure ma in tempi cupi. Perché i tempi difficili, i tempi duri, i tempi di sventure lasciano aperta la prospettiva del loro superamento una volta superate le difficoltà, una volta passati i tempi più duri stringendo i denti, una volta terminate le sventure.
Ma i tempi che viviamo sembrano privi di ogni ragionevole prospettiva e direzione. La sensazione è di muoverci nel buio più cupo e totale.
Pontelli, un economista che stimo, ha scritto recentemente di “tempi foschi” ed anche questa definizione può essere accettabile. Ma a me sembra più convincente quella di tempi cupi perché nella foschia, come nella nebbia fosca, si possono intravedere sprazzi di luminosità che aiutano a orientarsi nella giusta direzione, mentre a me sembra che, attualmente, ci troviamo immersi in una gabbia di cristallo sigillata nella quale una gigantesca seppia ha scaricato tutto il nero che portava in corpo. Resta la speranza che il buio fitto nel quale siamo immersi sia, almeno in parte, dovuto alla debolezza della nostra vista. Per questo la speranza cristiana contenuta nella raccomandazione di Sant’Agostino appare ancora più importante. Solo che il nostro impegno, la nostra resistenza, la nostra resilienza devono essere ancora più forti e lucide di quanto Sant’Agostino potesse immaginare. Quando Agostino, Vescovo di Ippona, morì, il 28-VIII-430, la città era assediata dai Vandali, il flagello ch’egli invano si era sforzato di tenere lontano e che invece avrebbe travolto quella fiorente comunità cristiana, per lo sviluppo della quale egli aveva tanto lavorato. Ma quando, morto Agostino, i Vandali espugnarono ed occuparono Ippona, essi rispettarono la sua biblioteca che racchiudeva la grande eredità da lui lasciata ai posteri e la sua salma, che dopo diversi passaggi fu riscattata dai saraceni dal longobardo Liutprando e portata a Pavia dove ancora riposa. Se Agostino fosse morto oggi nella striscia di Gaza o a Kiev la sua salma e la sua biblioteca non sarebbero state rispettate e salvaguardate dai nuovi e più feroci barbari odierni. Ed è proprio questo che mi fa dire che i nostri tempi sono più cupi e barbari di quelli nei quali visse e morì il vescovo di Ippona.
Ho chiesto a Correggiari, il nostro artista disegnatore e grafico, di esprimere, con uno dei suoi sempre efficaci ed intelligenti disegni, questo sentimento e concetto dei tempi cupi. Ci ha fornito la prima bozza di un disegno che era tutto occupato da scene di guerra. Gli ho scritto che il disegno non mi convinceva perché sembrava trasmettere il messaggio che solo la guerra è il vero male mentre la questione è più complessa. Le guerre sono una conseguenza di malattie più gravi e generali. Correggiari ha così arricchito il suo disegno di tutti i principali malanni che rendono i nostri tempi più cupi. E al centro c’è il mondo che invece di collaborare ad affrontare i temi che richiedono collaborazione, va a pezzi: la grande contraddizione. Cercherò, dunque, in estrema sintesi, di commentare alcuni dei temi di fondo che, a mio giudizio, determinano il buio cupo che ci attanaglia con riferimento, ovviamente, non solo all’Italia ma allo scenario mondiale, pur sottolineando quelli che meritano una particolare attenzione in Italia.
➢ Assenza di parrēsia
Nella Grecia classica e soprattutto nel breve periodo della democrazia ateniese emerse il concetto fondamentale di parrēsia. Michel Foucault (1926-1984) filosofo, archeologo del sapere ha insegnato al Collège de France dal 1971 all’anno della morte. L’ultimo corso al Collège de France del febbraio 1984, fu dedicato alla parrēsia, con il titolo: “Le courage de la vérité. Le Gouvernment de Soi e des Autres”. Con i testi del corso fu poi pubblicato un libro in Francia nel 2009 (Seuil Gallimard) e nel 2011 una edizione italiana da Feltrinelli editore. Il concetto di parrēsia è complesso come analizza magnificamente Foucault nel suo libro. Ma ai fini del nostro discorso basta ricordare che il concetto di parrēsia è nella Grecia classica “il coraggio della verità di colui che parla e si assume il rischio di esprimere, malgrado tutto, l’intera verità che ha in mente, ma è anche il coraggio dell’interlocutore che accetta di accogliere come vera la verità oltraggiosa da lui sentita”.
Secondo Foucault la parrēsia si contrappone, parola per parola, a quella che è l’arte della retorica, mentre secondo Aristotele la pratica della parrēsia va collegata alla grandezza d’animo (megalopsichia). In molti testi, e soprattutto nei tragici, la parrēsia è considerata un diritto che va conservato ad ogni costo; è un diritto da esercitare in tutti i modi possibili; è una delle forme attraverso cui si manifesta l’esistenza libera di un libero cittadino. E come dice Foucault “in altre parole, la città ha bisogno della verità per poter esistere ed essere salvata”. Il campione della parrēsia greca è Socrate.
Ma c’è una convergenza su questo punto tra pensiero greco e pensiero cristiano, se è vero che papa Francesco, nella Messa mattutina in Casa Santa Marta del 6.6.2017 ha, nell’omelia, affermato: “l’ipocrisia non è il linguaggio di Gesù, né deve esserlo dei cristiani perché l’ipocrisia è capace di uccidere una comunità. Gesù ci fa vedere la realtà che è il contrario dell’ipocrisia e dell’ideologia”. Quando ci sono ipocriti in una comunità c’è un pericolo grande lì, c’è un pericolo molto brutto. Il Signore Gesù ci ha detto: Sia il vostro parlare sì, sì, no, no. Il superfluo proviene dal maligno. L’ipocrisia fa male alla Comunità e fa tanto male alla Chiesa”.
L’assenza pressoché totale di parrēsia è, forse, il fattore dominante del nostro tempo a Kiev come a Gaza, come a New York o a Mosca, a Washington come a Berlino. E il clima e la pratica di guerra, si sa, sono, per definizione, il maggiore produttore di falsità. Ma l’Italia, pur non essendo direttamente impegnata in azioni di guerra, è tra le maggiori produttrici di falsità in tutti i campi e soprattutto in campo economico e sociale. Di chi possiamo fidarci? Di nessuno. Una volta la Banca d’Italia era un utile punto di riferimento ma da oltre dieci anni anche questo riferimento è venuto meno. È rimasta la liturgia del 31 maggio, ma è, appunto, una semplice liturgia senza più fede. È per questa mancanza totale di parrēsia, di istituzioni e comportamenti sulle quali fare affidamento che, in materia economico-sociale e non solo, barcolliamo come ubriachi che si muovono a tentoni in una notte cupa.
➢ Dilagare dello spirito bellico
C’è qualche cosa di peggio del dilagare degli scontri bellici ed è il dilagare dello spirito bellico soprattutto in paesi, come l’Italia, che stanno mostrando in questo ambito atteggiamenti semplicemente fanciulleschi nei più alti vertici politici e di mezzi nazionali di comunicazione. Eppure, l’Italia sembrava avere chiuso con le guerre e lo spirito bellico sancendo questa chiusura con un saggio articolo della Costituzione come l’articolo 11, posto tra i principi fondamentali della Costituzione nel quale “l’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. E noi abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo ad un, almeno per me, sorprendente dilagare di spirito bellico tra governanti, stampa e buona parte del popolo, tutti apparentemente ignoranti del fatto che noi e in particolare il Nord Italia, per gli insediamenti militari che in esso si trovano, si troverà in primissima linea in un folle scontro Nato – Russia. Mentre gli Stati Uniti staranno tranquilli protetti dall’Oceano, dalla distanza e dalle avanzatissime difese tecnologiche, noi ci divertiamo a fare i servitori deli Stati Uniti che cercano nella guerra la risposta al loro declino. Buio pesto. Buio cupo.
➢ Il grande tradimento dell’Europa
Il grande tradimento dell’America come ho accennato al punto precedente, è il suo rifiuto di accettare pacificamente, anzi di guidare, il passaggio verso un mondo multipolare che comporta sacrifici di potere e di livelli economici nell’ambito di una più equilibrata e responsabile suddivisione del mondo e in una prospettiva universale simile a quella evocata dai principi contenuti nell’art.11 della nostra Costituzione. Il grande tradimento della Russia è analogo a quello degli USA, ma con minore responsabilità per il minor peso della sua economia nel quadro mondiale. Ma il tradimento maggiore è quello dell’Europa. Il grande studioso, filosofo, religioso Romano Guardini (italiano di nascita e tedesco di formazione) il 28 aprile 1962, in occasione del Praemium Erasmianum a lui conferito a Bruxelles (presieduto dal principe Bernardo d’Olanda), tenne un mirabile discorso dal titolo: “Europa, Wirchlichkeit und Aufgabe” (Europa, Realtà e Compiti)1. In esso Guardini analizza il problema su chi riposi la maggiore responsabilità per un nuovo ordine mondiale in cui il potere sia domato e non degeneri in potenza incontrollata e quindi in violenza. In esso Guardini afferma:
“Credo di non giudicare ingiustamente, se penso che il problema non sia stato ancora visto in tutta la sua serietà, anzi nemmeno affrontato. Ma chi è chiamato a porlo e ad avvicinarsi ad una soluzione? Con ciò noi ritorniamo alla nostra questione. Non sembra che sia l’America, come continente, quella a cui è affidato questo compito. La storia di questa grande terra è ancora troppo breve per questo; essa è cominciata insieme col sorgere della scienza e della tecnica moderna. Inoltre, il suo orientamento spirituale - se è permesso un giudizio così generale - è ancora in ampia misura legato troppo strettamente alla fede in un progresso universale e sicuro. Certamente, la questione è sentita da singole personalità o circoli, ma essi sono ritenuti piuttosto come outsiders.
Neppure l’Asia, credo, lo sarà. Certo la sua storia è antichissima, ma essa sembra separarsi da questo passato e precipitarsi sulle nuove possibilità con una sollecitudine di impressionante rapidità. Certamente è prematuro parlare dell'Africa in questo contesto. Frattanto il suo incontro con scienza e tecnica sembra piuttosto creare, nel senso di una genuina cultura, confusione, che portare promozione e avanzamento. Credo che qui ci sia un compito che è affidato particolarmente all'Europa.
Richiamiamoci al fatto che la sua storia, prolungata per oltre tremila anni, conduce con un andamento ininterrotto fino al più recente sviluppo di scienza e tecnica. Essa non ci si è gettata dentro con un salto, ma l'ha prodotta; e così ha avuto anche il tempo per abituarvisi.
Ma, di più e di maggiore importanza: essa ha avuto tempo per perdere le illusioni. Non sbaglio certo se penso che all'Europa autentica è estraneo l'ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tanto di irrecuperabile; è stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell'umana esistenza. Nella sua coscienza c'è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall'Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. Essa ne sa troppo.
Perciò io credo che il compito affidato all'Europa - compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all'essenziale - sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l'uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà.
L'Europa è vecchia. Prima sembrava che il carattere della vecchiaia fosse marcato più fortemente sul volto dell'Asia - una volta, quando ancora si parlava della sua intemporalità. Oggi essa sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere ad una nuova gioventù, certo grandiosa, ma anche pericolosa. L'Europa ha creato l'età moderna, ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell'accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà anche questo - ma nel domare questa potenza. L’Europa ha prodotto l’idea della libertà, dell’uomo come della sua opera; ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà di fronte alla sua propria opera”.
Questo, magistralmente descritto da Guardini, sembrava essere il destino dell’Europa, la chiamata della storia per lei. E nel non aver risposto a questa chiamata della storia negli ultimi trent’anni è il suo grande e pericoloso tradimento, sicché la nostra sopravvivenza e quella dei nostri figli e nipoti è oggi molto a rischio e la si gioca sul tavolo di un funzionario della Nato, giustamente denominato: un demente. Buio pesto, buio cupo.
➢ La grande contraddizione
In una precedente Newsletter (N. 17 agosto 2022) avevamo evidenziato la grande contraddizione in cui il mondo si trova. Da un lato le sfide da affrontare e risolvere ci chiamano a nuove forme di responsabile collaborazione. La maggior parte dei grandi problemi si possono risolvere solo collaborando. Dall’altro assistiamo ad un mondo che si va spezzando in misura crescente. Allora concludevamo. “Niente è facile, ma niente è impossibile. La nostra Costituzione, compreso l’art.11, traccia la nostra via che è quella dell’homo faber, della pace, del rispetto della terra, dell’economia circolare, della dignità inviolata, delle persone. Per portare avanti la trasformazione verso un mondo multipolare che è la grande trasformazione che stiamo vivendo per poter affrontare i grandi temi comuni della sopravvivenza della specie umana sulla terra, è indispensabile un mondo di pace, cioè capace di ripudiare le guerre come strumento di soluzione di controversie tra Stati”. Da allora abbiamo purtroppo fatto solo passi indietro e l’incapacità del mondo, con le inconcludenti assise dei vari organismi di coordinamento dal G7 al G20, incapaci di affrontare seriamente i problemi veri è diventata drammatica e patetica. Queste assise servono solo a fare grottesche e penose fotografie di gruppo dei governanti. Buio cupo. Buio pesto.
➢ Il ruolo della follia umana
Non possiamo dimenticare nell’analisi dei nostri tempi cupi il ruolo o, meglio, la responsabilità della follia umana. È questa un’espressione cui ricorreva talora il grandissimo maestro Luigi Einaudi quando non riusciva a spiegare con il ragionamento rigoroso dell’economista, certi fenomeni politico-sociali altrimenti inspiegabili. Il tema della follia umana fu utilizzato da Luigi Einaudi in un memorabile scambio di corrispondenza che egli ebbe con Giovanni Agnelli nel gennaio 1933. Il tema della discussione era la paura che imperversava in Europa e Stati Uniti della disoccupazione dilagante, conseguenza, si diceva, dell’innovazione tecnologica e dei rimedi tecnici utilizzabili. Einaudi spiegò, con grande lucidità ad Agnelli che quella lettura, quelle paure e quei rimedi tecnici erano ingannevoli.
Ma la pagina immortale è quella in chiusura della lettera nella quale Einaudi distingue tra disoccupazione tecnica e disoccupazione dovuta alla follia umana, parole che meritano di essere lette da chi non le conosce e rilette, in chiave contemporanea, da chi già le conosce: “Finora ho sempre parlato di disoccupazione tecnica come se questa fosse la causa unica e principale dei 25 milioni di disoccupati che pare esistano oggi nel mondo. Prima di chiudere la mia già lunga lettera desidero mettere le mani avanti. Non Le pare che questa sia una grossissima esagerazione? Che davvero i disordini militari e politici della Cina, le agitazioni indiane, la chiusura in se stessa della Russia, lo stato di agitazione politica e sociale dell'Europa centrale, il nazionalismo ultra-trionfante, creatore di minuscoli impoveriti mercati chiusi, follemente intesi a creare industrie artificiali, le moltiplicate barriere doganali, i disordini monetari, lo squilibrio conseguente fra i diversi gruppi di prezzi, fra salari e profitti, fra interessi fissi e dividendi, fra imposte crescenti e redditi calanti non abbiano nulla a che fare con la disoccupazione? Le confesso che la mia meraviglia è non che ci siano 25 milioni di disoccupati nel mondo; ma che in mezzo a tanti malanni, a tanta pazzia collettiva ingigantita dalle vociferazioni di tanti spacciatori di empiastri, i disoccupati non siano molti di più. Fra le tante disoccupazioni, la disoccupazione tecnica da macchina, ossia da progresso industriale, mi pare davvero la meno rilevante fra tutte. Dio volesse che al mondo ci fosse solo quella varietà di disoccupazione, la quale dicesi tecnica! Penso che darebbe pochi fastidi ad industriali e a uomini di governo. La disoccupazione tecnica non è una malattia; è una febbre di crescenza, un frutto di vigoria e di sanità. È una malattia, della quale non occorre che i medici si preoccupino gran fatto, ché essa si cura da sé. Gravi sono invece le altre specie di disoccupazione, gravi poiché nate dalla follia umana. Contro di esse non giova il rimedio della riduzione delle ore di lavoro; ché il rimedio tecnico non è adatto a guarire le malattie mentali. Noialtri industriali ed economisti dobbiamo farci da un lato e lasciare il passo ai veri competenti, ai sacerdoti di Dio, ai banditori di idee ed ai reggitori dei popoli. Se costoro non sanno o non vogliono salvare gli uomini, che cosa possiamo fare noi produttori di beni materiali o commentatori delle azioni economiche degli uomini?”
Sostituiamo le domande che Einaudi riferisce al suo tempo, con analoghe domande riferite al nostro tempo e domandiamoci che migliore Italia potremmo lasciare ai nostri figli se riuscissimo a contenere le degenerazioni dovute alla follia umana e al malgoverno.
Mai il mondo è stato nella possibilità di risolvere tutti i problemi economici, sociali, climatici che deve affrontare compresi i temi della fame e della sete e i problemi climatici. E a quale causa, se non alla follia umana, possiamo attribuire il fatto che non solo non risolviamo i problemi come potremmo ma anzi li peggioriamo e ci troviamo così a camminare sul ciglio del baratro. Riconoscere ciò è indispensabile per affrontare i problemi con strumenti e concetti adeguati. Non si tratta di produrre più armi ma meno armi e piuttosto correggere le idee perverse, le idee folli presenti in molti dei nostri governanti della nostra classe dirigente e in noi stessi. Si tratta di impegnarci contro il dominio dell’apparire sull’essere e contro il dominio dell’avere sull’essere. Si tratta di impegnarci per un grande cambio di marcia anche nel pensiero economico e nell’organizzazione economico-sociale.
Tempi cupi, ma….
Una volta mi capitò di trovarmi nel buio più fitto durante una ascensione con gli sci su una montagna sui tremila metri. Ero insieme ad un amico che era istruttore nazionale di sci alpinismo e che era già salito decine di volte su quella montagna che conosceva meglio delle sue tasche. Anche io la conoscevo bene. Ma quando, quasi improvvisamente, ci trovammo avvolti in nubi basse e scure che avevano coperto l’intera cima della montagna e noi con essa, ci preoccupammo. Non avevamo nessuna visibilità oltre i cinque metri, non riconoscevamo più la nostra montagna, il ghiacciaio crepacciato ci faceva paura, il nostro senso di orientamento sembrava svanito. Decidemmo di muoverci, nonostante tutto, ma a passi molto piccoli e con grande prudenza cercando, piano piano, di abbassarci di quota con lunghe diagonali trasversali. Così, con grande attenzione, fatica e molto tempo, sbucammo, alla fine, dal buio che ci aveva avvolti. Reagendo con calma ed evitando reazioni istintive e precipitose avevamo evitato il peggio. Il ricordo di questo episodio mi aiuta ad illustrare ciò che dobbiamo fare oggi per tentare di uscire dal buio cupo che ci ha avvolto. Prima di tutto prendere atto della realtà, non ingannare noi stessi, esercitare la parrēsia. E poi, ma con grande prudenza, muoverci a piccoli passi, cogliendo le occasioni anche piccole che le vicende ci possono offrire, senza nutrire troppe illusioni; evitare decisioni precipitose; non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza e scoraggiamento; non farci vincere dalla paura: coltivare la parrēsia dove è ancora possibile farlo.
Vi sono settori della società nei quali è ancora possibile agire e collaborare per dare il nostro piccolo contributo per tentare di uscire dal buio cupo. Al primo posto metto il mondo dell’impresa media familiare che è uno dei mondi più seri e moralmente più sani della nostra società. Non parlo delle strutture e dei vertici politico-amministrativi del mondo imprenditoriale che sono avvolte anch’esse, come tutti, nel buio più cupo. Parlo delle migliaia di imprese dove si coltiva il buon lavoro, dove si rispetta la professionalità, dove si è imposto veramente il valore della collaborazione, dove si coltiva l’antico principio liberale che “honesty is best policy”, dove si dedica tempo e risorse alla formazione dei collaboratori, dove passo dopo passo, giorno dopo giorno, si coltiva il miglioramento continuo, dove i rapporti e la comunicazione interna sono improntati ai principi della parrēsia. Al secondo posto metto il mondo del terzo settore dove l’incrocio tra la generosità del volontariato e i buoni metodi aziendali sta dando grandi frutti. È solo la valorizzazione e il potenziamento del terzo settore che può arginare i danni dello sfascio dello stato sociale. Al terzo posto metto i Comuni. L’elezione diretta del sindaco conserva per i cittadini un simulacro di democrazia che può, attraverso l’intelligente partecipazione al voto, portare, come talora avviene, alla guida delle nostre città persone serie, per bene, capaci. Ma anche le strutture burocratiche dei Comuni, grazie agli aspetti positivi delle nuove tecnologie digitali, e collaborando con il terzo settore, possono dare un contributo importante a migliorare i rapporti con i cittadini. Al quarto posto metto gli ambienti dove, strutturalmente, si può coltivare la parrēsia, cioè la libertà coraggiosa di parola e di ascolto dei cittadini, la ricerca e il riscatto della verità. Lo sfascio intellettuale e morale della grande stampa è componente importante del buio cupo in cui siamo immersi. A questo sfascio possiamo contrappore quelle strutture e quei canali di comunicazione dove è ancora possibile coltivare la parrēsia. In primo luogo, le università (ultimo baluardo di libertà di pensiero) e la rete della comunicazione on line che, nonostante tutto, permette ai cittadini di dialogare tra loro in spirito di verità. E infine dobbiamo stare attenti a non perdere le poche e residue occasioni utili per il nostro voto, che permettendoci di votare per gli eletti da noi scelti, può conservare qualche valore. È questo il caso delle imminenti elezioni per il Parlamento europeo, che ci offre la possibilità di scegliere dei candidati decenti. Perciò non sprechiamo questa occasione. Andiamo a votare e scegliamo con cura chi votare non facendoci distrarre da questioni di schieramenti partitici nazionali ma puntando su persone che pensiamo essere degni di rappresentarci nel grande Parlamento europeo, che avrà un peso sempre maggiore sul ruolo dell’Europa nel mondo.
Nonostante tutto, quindi, non possiamo lasciarci sopraffare dai tempi cupi che ci opprimono e riconoscere che, individualmente e collettivamente, abbiamo ancora qualcosa di utile da fare, ricordando l’antico motto lombardo che dice: “Piutost che nient l'è mej piutost”.
E in questo ci può aiutare questo bel testo di Michel Quoist (poeta, scrittore, sacerdote francese, 1921-1997):
“SE LA NOTA DICESSE”
Se la nota dicesse:
non è una nota che fa una musica
…. non si avrebbe sinfonia.
Se la parola dicesse:
non è una parola che può fare una pagina
…non si avrebbe un libro.
Se la pietra dicesse:
non è una pietra che può alzare un muro
…non si avrebbe una casa.
Se la goccia d’acqua dicesse:
non è una goccia d’acqua che può fare il fiume
…non ci sarebbe l’oceano.
Se il chicco di grano dicesse:
non è un chicco di grano che può seminare il campo
…non si avrebbe la messe.
Se l’uomo dicesse:
non è un gesto d’amore che può salvare l’umanità
…non si avrebbe mai giustizia e pace, dignità e bontà sulla terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota,
come il libro ha bisogno di ogni parola,
come la casa ha bisogno di ogni pietra,
come l’oceano ha bisogno di ogni goccia d’acqua,
come la messe ha bisogno di ogni chicco di grano,
tutta l’umanità intera ha bisogno di te, qui dove sei tu, unico, e dunque insostituibile.
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1 Ora in Romano Guardini, Europa, compito e destino, Morcelliana 2004
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Psicologia, organizzazione, strategia
Tempo di lettura: 10 min
Marco Vitale, nell’articolo di Primo Piano, mette le imprese al primo posto nell’elenco dei settori che possono dare un contributo per dipanare il “buio pesto e cupo” che caratterizza i nostri tempi: la nostra lunga e diretta esperienza interna al mondo dell’impresa, la concezione di impresa che guida e sostiene tale esperienza e la lettura del contesto attuale confortano questa conclusione.
Su questa vogliamo soffermarci, perché ci rendiamo conto di essere di fronte a una sfida esiziale per le nostre imprese e per la nostra società e siamo convinti che per fronteggiarla dobbiamo calare la riflessione all’interno delle imprese e rendere quella conclusione una vera e propria “chiamata alle armi” per tutti coloro che vi hanno una qualche responsabilità.
Da tempo siamo convinti che le imprese, in quanto istituzioni di interesse pubblico a gestione privata e strumenti strategici e operativi per lo sviluppo collettivo, sono per natura chiamate a contribuire allo sviluppo generale, economico e civile della società, e ciò in accordo con una lunga tradizione di pensiero che vedeva il fine dell’impresa niente meno che nella “conservazione dell’humana generatione” (Benedetto Cotrugli), con l’esperienza dei grandi mercanti italiani, di grandi pensatori e operatori economici, e della grande scuola italiana di economia aziendale.
Ma lo scenario descritto e il nostro “mondo che va in frantumi” rendono questo ruolo naturale e tradizionale dell’impresa tanto più importante e urgente oggi:
- sia per aprire spiragli di luce nel buio di fondo da cui i nostri tempi sono avvolti anche per fronteggiare le complessità e reagire alla velocità e alla tumultuosità delle turbolenze che li caratterizzano;
- sia perché l’impresa è oggi chiamata a vicariare altri soggetti (lo Stato, l’educazione, la famiglia), che sono sempre più in difficoltà a dare il loro contributo e che sempre di più la rendono una leva essenziale attraverso cui le persone possono orientarsi nella situazione di incertezza e complessità in cui si trovano, facendosi motore sociale di integrazione e di evoluzione con una più forte responsabilità di organizzazione civile, oltre che economica.
Tutto questo significa che, proprio mentre il ruolo delle imprese diventa sempre più importante, la loro vita diviene al contempo sempre più difficile, per effetto delle varie incertezze di contesto (economiche, psicologiche, sociali, geopolitiche, tecnologiche), così che le imprese si trovano costrette, secondo la sempre efficace immagine mutuata da Lewis Carrol, a dover “correre più veloce che possono anche solo per rimanere nello stesso punto”. Solo che nemmeno rimanere nello stesso punto è più, oggi, sufficiente. Bisogna puntare più in alto, e per farlo ricercare strade possibili sforzandosi di unire alla velocità di azione e reazione, una nuova profondità di pensiero e nuove capacità di innovazione, di coinvolgimento, di costruzione di senso, di visione strategica che sono le sole, ma potenti, armi che le imprese possono avere e preparare.
Ecco perché, di fronte a complessità e sfide crescenti, riteniamo fondamentale che imprenditori e manager si sforzino di trovare il tempo e lo spazio per riflettere su questi temi, per cercare di comprenderli e per provare a disegnare, ripartendo da questi, ipotesi e soluzioni, con l’obiettivo di innescare in tutte le imprese quei fenomeni positivi che vediamo applicati, spesso anche inconsapevolmente, dalle medie imprese italiane di cui parla da anni Marco Vitale, o dalle imprese che incarnano il modello dell’“italian way of doing business” di cui parla Federico Butera (nel suo libro Disegnare l’Italia - cfr. letture raccomandate).
Ecco perché, per accompagnare le imprese - tutte le imprese che ambiscono alla continuità - in un rinnovato sforzo di pensiero che sia al contempo profondo nella sua riflessione e proiettato a innervare la pratica, abbiamo avviato, alcuni anni fa, l’Academy VNZ, che ha l’obiettivo di chiamare imprenditori e manager a un confronto su questi temi, di invitarli a sostare e, ancorché continuamente sollecitati da fenomeni che richiedono decisioni veloci e reazioni immediate, a fermarsi a riflettere, nella convinzione che, come scrisse K. Lewin, pioniere della psicologia sociale, (ma come ben sapeva anche Ferdinando Bocconi, quando decise di fondare una scuola di commercio di alto livello, contro gli imprenditori milanesi che pensavano di aver bisogno solamente di bravi contabili) “non c’è niente di più concreto di una buona teoria” e che, quindi, questo sforzo di pensiero serve a potenziare proprio l’azione.
Questo significa peraltro riscoprire la vera natura del management che è un fatto prima di tutto culturale, come già Marco Vitale scriveva a proposito di un famoso corso che tenne in Bocconi con Vittorio Coda nel decennio che va dall’anno accademico 1981-82 al 1991-92, intitolato “Valori imprenditoriali e comportamento strategico”:
“Come osare “vendere” certezze in un mondo oggetto di così profonde incertezze, discontinuità e trasformazioni? […] noi cercammo di rispondere suscitando negli allievi una rinnovata capacità di pensiero, che li aiutasse a non temere l’incertezza ma a cercare le vie per trarre da essa prospettive positive, e ad addestrarsi all’apprendimento innovativo, ricordando l’insegnamento di Socrate: “La verità si trova nell’incertezza”. In questo sforzo ci aiutava l’incrocio continuo con altre discipline, dalla fisica, alla storia, alla filosofia, alle scienze biologiche”.
E ancora, nel testo di una lezione per l’apertura di un corso Istao del 1988-89 Vitale diceva: “se aprissimo una discussione su quali sono le principali caratteristiche della moderna dottrina del management, potremmo disputare a lungo. Ma su una di queste caratteristiche chiunque abbia riflettuto sull’argomento difficilmente potrebbe dissentire: la dottrina dominante del management è caratterizzata da una notevole incultura. Ciò non implica un giudizio negativo sulla ricerca ed elaborazione dei temi più strettamente propri di questa disciplina, che anzi, forse, non ne esiste altra alla quale siano state dedicate tante, probabilmente eccessive, risorse e attenzioni. Né questo giudizio si riferisce al livello culturale individuale dei singoli studiosi, che spesso è notevole ed è comunque un fatto irrilevante ai fini del mio argomentare. Neppure si intenda questo giudizio come derivante da una visione della cultura ristretta a certe sfere più elevate dell’attività intellettuale dell’uomo, se non addirittura in contrasto con le discipline pratiche, una visione, questa, di matrice letteraria e spiritualista che ha radici lontane nel tempo e che ha a lungo e infaustamente dominato il nostro pensiero. […] la dottrina manageriale, avendo a che fare con temi come potere e responsabilità, servizio e proprietà, organizzazione, evoluzione e trasmissione del “saper fare” dell’uomo, viene a incrociare un punto centrale dello sviluppo culturale generale ed è proprio nel non essersi saputa collocare in questo punto centrale dell’evoluzione culturale generale che risiede l’incultura della dottrina del management.
È mia convinzione che la dottrina e quindi la pratica manageriale non riusciranno a passare a una fase più matura della loro elaborazione se non riusciranno a collocare le loro problematiche fondamentali in una prospettiva più ampia e più propria”.
Solo riscoprendo questa profonda valenza culturale del management e aggiornando la sua ricerca nell’incertezza alla luce dei fenomeni più attuali, si potrà avviare quella maturazione in primis culturale necessaria a promuovere l’auspicato “cambio di marcia nel pensiero economico e nell’organizzazione economico-sociale”, che può essere la prima declinazione della nostra chiamata alle armi.
Questa riflessione sarà preliminare e necessaria a sostenere un’azione, che dovrà avere, poi - come i passi incerti degli scalatori che scendono al buio - tempi lunghi e passaggi graduali: un approccio per prova ed errore, da laboratorio, in un “cantiere” (copyright Butera) dove si ricerchino soluzioni possibili, alla luce della teoria e alla prova di esperimenti fattuali.
Coerentemente con questo obiettivo generale, l’Academy VNZ è stata, quest’anno, dedicata all’area tematica: “psicologia del lavoro, organizzazione, strategia”, perché riscoprire gli incroci di queste tre prospettive è il primo passo per tornare a guardare al tema con la dovuta complessità culturale, valorizzando l’impresa nella sua unitarietà e nella sua essenza di comunità di persone e interessi, prendendo atto che solo le energie specificamente umane, mobilitate dalla capacità di organizzarle efficacemente, possono dare alle imprese lo scatto necessario per svilupparsi, per non chiudersi in difese che sarebbero, comunque, inadeguate, ma anzi per gestire le energie umane mettendole a profitto per tutti (persone, sistema aziendale e, per loro tramite, società).
Nell’ambito di questo filone, tra aprile e maggio 2024, si è tenuto il corso per CEO, imprenditori e prime linee funzionali sul tema “Psicologia e organizzazione. Un’organizzazione centrata sulle persone: solo parole o reale necessità?”. Leggi la documentazione
Il corso si è configurato, appunto, come un cantiere di ricerca collettiva in cui i partecipanti si sono potuti confrontare con gli spunti teorici ed empirici provenienti dalla psicologia e con una serie di testimoni, imprenditori, practitioner e docenti che tutti i giorni si confrontano con l’inserimento della prospettiva psicologica e umana in azienda, nell’ambito della sua strategia e attraverso la sua organizzazione.
Come la dinamica del cantiere prevede, non ne sono emerse ricette preconfezionate, ma linee d’azione e sperimentazione possibili, suffragate da un’approfondita riflessione e guidate dalla riscoperta dell’importanza che l’incrocio tra le diverse prospettive di psicologia, organizzazione e strategia può avere allo scopo.
Riscoprire l’importanza di questo incrocio significa rendersi conto che:
- La dimensione psicologica nelle imprese è fondamentale, in quanto portatrice della dimensione più specificamente umana, in quelle società complesse e fondamentalmente umane che sono le imprese: il “campo relazionale” è un elemento fondamentale dell’impresa, all’interno della quale le persone interagiscono a più livelli tra loro e con l’organismo sovraordinato e unitario che è l’impresa stessa. È valorizzando questo “campo relazionale” che le imprese, grazie alla psicologia, potranno coinvolgere le persone, cooptarle in team funzionali e in percorsi di costruzione di senso, personale e collettivo, attivare tra loro comunicazioni efficaci, generare benessere, fiducia, serenità, motivazione e beneficiare dell’energia positiva che questi elementi forniscono al buon lavoro, alla creatività, alla permanenza delle persone in azienda (dall’inserimento al percorso di carriera interno), al confronto con i colleghi, i superiori, i clienti, gli stakeholder etc. Ma in questa attività, la psicologia è strettamente connaturata sia con l’organizzazione che con la strategia:
- senza l’organizzazione, la psicologia rimane, infatti, una scienza astratta, non in grado di entrare nelle imprese e di penetrarne i meccanismi; mentre un’organizzazione che non sia, oggi, in grado di farsi carico della psicologia, è inefficace, in quanto certamente incapace di organizzare la presenza delle persone in azienda per quella variabile complessa che le persone sono;
- qualificandosi come la prospettiva che tiene insieme la ricerca di senso individuale e la costruzione di un progetto comune, la psicologia nelle imprese chiama in causa costitutivamente la strategia, che di questo progetto comune è l’essenza.
- L’organizzazione è dunque intimamente legata con la psicologia, ma anche con la strategia:
- Come già detto, l’organizzazione rappresenta i confini dentro cui può crearsi una valorizzazione della psicologia umana, perché un’organizzazione efficace si fonda sulla valorizzazione del campo relazionale come componente fondamentale dell’impresa. Ma il legame è biunivoco: l’organizzazione è essa stessa un modo in cui si può agevolare (financo indurre) l’instaurarsi di meccanismi di valorizzazione delle persone. Il legame tra le due discipline in azienda è davvero forte, tanto che la psicologia del comportamento organizzativo arriva a identificare processi di creazione di senso (che sono una dimensione eminentemente psicologica) e processi organizzativi: con le parole di K. Weich “le organizzazioni e i processi di sense-making sono fatti della stessa stoffa. Organizzare significa imporre ordine, neutralizzare le deviazioni, semplificare e connettere, e lo stesso vale quando le persone cercano di dare senso. Organizzare e dare senso hanno molto in comune”.
- Ma anche i legami tra strategia e organizzazione hanno una forza tale da far ritenere che anche queste due prospettive arrivino a coincidere, come Gianfranco Rebora suggerisce nel suo “Governare le organizzazioni nel rumore e nel caos”: “L’organizzazione non è solo un complemento o una conseguenza della strategia, ma incide sull’anima dell’impresa; a partire dagli assetti di vertice fino alla routine della base operativa, può diventare la fonte di scelte progettuali ad ampio raggio e orientare il futuro”. La strategia astrattamente corretta non è, dunque, sufficiente se non si incarna in una organizzazione funzionale, anzi coincidente, con la strategia.
- La strategia, indicando il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali e orientandolo verso risultati e obiettivi comuni, necessita, quindi, per esplicarsi compiutamente, del supporto dell’organizzazione e della psicologia. Ma la strategia non è un elemento unitario e granitico elaborato solo dal vertice e semplicemente recepito dalle persone: attraverso il campo relazionale e la struttura organizzativa, le imprese possono attivare, ai diversi livelli e nelle diverse funzioni aziendali, un “approccio strategico”, che è una declinazione della strategia partecipata in prima persona dagli individui e incarnata dall’organizzazione stessa, che diventa una modalità di pensiero e azione diffusa, e che rappresenta una straordinaria forza su cui l’impresa può basarsi per reggere nel tempo, oltre che un frutto dello strettissimo legame tra queste tre dimensioni
Se, quindi, riscoprire l’intimità dei rapporti tra le diverse prospettive è il primo passo per comprendere concretamente cosa sono e come funzionano le imprese in quanto organismi complessi e, però, unitari, che contengono e compongono ad unità molteplici interessi (e che le complessità contemporanee arricchiscono ulteriormente di valenze e sfumature), fare lo sforzo di capire e sperimentare soluzioni concrete basate su questi legami nelle imprese è il primo passo per allenarle a divenire più forti, più attuali, più pronte alle sfide che le attendono e che sono già in atto.
È, in definitiva, il primo di una serie di passi che possa portarci, dopo “grande attenzione, fatica e molto tempo” se non a sbucare fuori dal buio, quanto meno a intravvedere sprazzi di luce: sia sulle imprese che sapranno, così, trovare nuova forza per competere innovando e producendo sviluppo, sia sulle persone che nelle imprese vivono e lavorano, e che sempre di più potranno sperimentarvi modalità e spunti di una partecipazione sensata, vera e responsabile.
In questa direzione intendiamo continuare a collaborare con il vostro aiuto sia nel lavoro quotidiano che nella prossima Academy d’autunno sulla quale abbiamo iniziato a lavorare e per la quale saremo lieti di ogni vostro suggerimento e sollecitazione.
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Cu nesci, arrinesci
«Chi esce, riesce»
Proverbio che apre il prologo de “I leoni di Sicilia” (Stefania Auci, Nord Editore, 2019) e che recuperiamo come invito a spezzare un «cerchio di arretratezza, di convenzioni, di remore, di abitudini, di leggi» di cui Andrea Camilleri parla riferendosi alla Sicilia (A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Rizzoli, 2000), ma che può valere come riferimento a un più generale approccio alla vita.
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Col cibo si educa, col cibo si cambia
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SlowFood Italia, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e le Comunità Laudato si’, hanno lanciato l’Appello per l’educazione alimentare come insegnamento obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado nell’ambito delle celebrazioni per il ventennale dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, nel convegno "Col cibo si educa, col cibo si cambia", alla presenza di oltre 600 rappresentanti di aziende, enti ed istituzioni e dei relatori Carlo Petrini, Alessandro Barbero, Sveva Sagramola, Maurizio Martina e Barbara Nappini.
L’appello è leggibile e sottoscrivibile qui.
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Potrebbe sembrare corruzione
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Giudichiamo positivamente la notizia che, nell’ambito della nota vicenda di corruzione che ha coinvolto i vertici della Regione Liguria, la manager Ivana Semeraro abbia rifiutato un finanziamento al comitato di Giovanni Toti. Riportiamo in merito il commento di Massimo Gramellini che della vicenda ha scritto sul Corriere della Sera il 21 maggio nella sua rubrica Il caffè.
Leggi qui
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Italia al 36° posto su 46 per propensione all’impresa (rapporto Gem, Universitas Mercatorum)
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Nonostante le forza e il buon livello qualitativo di tante nostre imprese, e tanto più alla luce del valore che queste hanno per lo sviluppo del nostro Paese e per la sua capacità di reagire ai tempi, giudichiamo come una notizia out molto grave il dato emerso dal rapporto Global Entrepreneurship Monitor (GEM) Italia 2023-24 secondo il quale l’Italia si posiziona al 36° posto su 46 nazioni esaminate per la propensione imprenditoriale. Il confronto con gli altri paesi evidenzia un basso livello di propensione imprenditoriale nelle fasce di età sopra i 45 anni. Considerato il progressivo invecchiamento della popolazione andrebbe prestata maggiore attenzione ai fattori che influenzano la propensione imprenditoriale nelle fasce di popolazione più anziane (silver entrepreneurship). La propensione imprenditoriale cresce in modo significativo al crescere dei livelli di istruzione. La bassa percentuale di laureati nella popolazione adulta potrebbe contribuire a spiegare la bassa propensione imprenditoriale nel nostro paese. Il TEA (Total Early Stage Entrepreneurial Activity) è aumentato del 2% nel 2020 e dell’8% nel 2023; tra i laureati è del 10%, tra i non laureati poco superiore al 5 per cento. Questo pone l’Italia in una posizione critica, soprattutto considerando il divario di genere che è stato rilevato nel rapporto. Giovanni Cannata, rettore dell'Universitas Mercatorum, sottolinea che per invertire questa tendenza: “occorre migliorare i fattori abilitanti e quindi la finanza per l’impresa, i programmi di imprenditorialità e di incentivazione, ridurre la burocrazia, rendere più efficienti le infrastrutture. È fondamentale il trasferimento tecnologico dalle università alle imprese e va rafforzata la formazione imprenditoriale».
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Dopo un dibattito debole e ambiguo, che ha tutti i caratteri dell’assenza di parrēsia, il DDL Capitali è diventato la legge 5 marzo 2024, n.21, che consente nell’art. 11 alle Società quotate di prevedere per Statuto che le loro assemblee si svolgano esclusivamente “a porte chiuse”, ovvero tramite Rappresentante Designato dalla società (e quindi senza l’intervento fisico dei soci). In tale ipotesi non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima della stessa. L’articolo proroga, inoltre, le misure previste per lo svolgimento delle assemblee societarie a porte chiuse (anche per le imprese che non lo prevedano per Statuto) con riferimento all’emergenza Covid-19 dal D.L. n.18 del 2020, estendendole fino al 31 dicembre 2024. Mentre questa proroga (che giunge in un periodo in cui l’emergenza Covid può, dopo tanto dolore, finalmente ritenersi superata e ormai da tempo) non può che essere giudicata come un escamotage che nulla ha a che fare con la verità, ci sembra che la previsione di legge rappresenti una gravissima lesione dei diritti degli azionisti. Consentendo alle Società, infatti, di prevedere statutariamente la possibilità di impedire la partecipazione fisica degli stessi in Assemblea, la legge colpisce al cuore la possibilità di voice degli azionisti, che è un diritto fondamentale legato allo status socii, un pilastro fondamentale dell’architettura su cui si fonda il funzionamento delle società per azioni e un sistema fondato sulla democrazia economica quale quello tutelato dall’art. 47 della nostra Costituzione. A nulla vale, a nostro avviso, l’invocazione delle “prassi invalse” secondo cui le assemblee a porte chiuse sarebbero più moderne ed efficienti. Per noi la democrazia economica è uno dei pilastri fondamentali su cui si fonda il nostro Paese e la nostra economia e le assemblee sono e continuano ad essere un momento fondamentale della vita sociale, al quale i soci hanno il diritto di partecipare anche per stimolare e assistere al dibattito e alla discussione che nell’assemblea avviene e che può essere un momento importante per la formazione della volontà collegiale e delle decisioni di voto.
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La guerra e l’unità europea
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Dal Discorso di Luigi Einaudi pronunciato all’Assemblea costituente nella seduta del 29 luglio 1947, in La guerra e l’unità europea, Edizioni di Comunità, 1953.
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Storie di errori memorabili
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Brano tratto dal volume Storie di errori memorabili, Piero Martin, Editori Laterza, 2024.
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Comunicazione: un ruolo strategico per l’azienda
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“Il salto dei comunicatori sempre più centrali nelle strategie dei brand”, Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2023.
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Fabbrica Futuro
Dopo le tappe di Torino e Bologna, venerdì 5 luglio parteciperemo all’appuntamento di Brescia del ciclo Fabbrica Futuro, organizzato dalla casa editrice ESTE. Stefano Zane interverrà sul tema Crisi congiunturali e squilibri strutturali: alle imprese della manifattura serve un nuovo management?
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Nike di Samotracia
Martedì 30 gennaio la Scuola di Botticino, eccellente realtà bresciana, sotto la supervisione della docente Cinzia Parnigoni, ha raccontato il restauro con cui il calco in gesso della Nike di Samotracia, conservata al Museo della Scienza di Milano, ha riacquistato lo splendore originale.
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VNZ al master della Ca' Foscari
Sabato 10 febbraio Stefano Zane ha tenuto una lezione sul tema “La valutazione delle aziende” nell’ambito del modulo in Risk management and forensic M&A del Master di II livello in Risk Management, Internal Audit e Frodi (RIAF) presso la Ca' Foscari Challenge School di Venezia.
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Convegno “Sviluppo e sistema bancario”
Venerdì 23 febbraio VNZ ha collaborato con la Banca Popolare di Sondrio all’organizzazione di un nuovo convegno sul tema “Sviluppo e sistema bancario” dedicato alle “Linee guida per un nuovo progresso”. Il Convegno, che ha avuto grande successo in quantità e qualità della partecipazione, si è tenuto presso la Sala Besta della sede centrale della Banca Popolare di Sondrio.
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Registrazione completa dell’incontro
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La mia Milano
Giovedì 29 febbraio Marco Vitale ha presentato il libro di Angelo Gaccione, “La mia Milano”, dialogando con l’autore presso la biblioteca “Ostinata” di Milano.
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VNZ Academy
Dal 3 aprile al 2 maggio si è svolto il corso dell’Academy VNZ sul tema “Psicologia e organizzazione. Una organizzazione centrata sulle persone: solo parole o reale necessità?”, percorso formativo in 5 incontri per Imprenditori, CEO, Direttori Generali e per Responsabili di funzione.
Leggi il programma
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Dialogo tra Vitale e Scarano
Mercoledì 10 aprile Marco Vitale ha dialogato con Alfonso Scarano, candidato alla presidenza di AIAF (Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria) ricordando la nascita dell’associazione e proponendo spunti per la sua attività presente e futura.
Guarda il dialogo
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Nuovo corso di laurea UNIMONT
Sono aperte le iscrizioni per il Corso di Laurea Magistrale internazionale “Valorization And Sustainable Development Of Mountain Areas” – MOUNTAINSIDE che presenta un percorso di studi multidisciplinare e in lingua inglese e si svolge interamente a Edolo (BS) nel cuore delle Alpi Centrali, presso il polo UNIMONT dell'Università degli Studi di Milano.
Leggi per maggiori informazioni
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Incontro alla LIUC
Martedì 7 maggio Marco Vitale ha promosso e moderato un incontro presso la biblioteca della LIUC Università Cattaneo sul tema “Il gioco più bello del mondo: scenari per un calcio del futuro” con Michele Uva, Direttore Social & Environmental Sustainability della UEFA e Alessandro Aleotti, Presidente Brera Calcio, e con l’intervento del Rettore dell’Università Federico Visconti. Durante l’incontro sono stati presentati i libri: Un discorso intorno al calcio di A. Aleotti e Soldi vs Idee di M. Uva e M.L. Colledani.
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In onore di Luigi Zanzi
Giovedì 30 maggio Marco Vitale ha partecipato alla giornata di studi promossa dal Collegio F.lli Cairoli di Pavia in onore di Luigi Zanzi sul tema “Le montagne, la storia, la religione. Luigi Zanzi dalla Lombardia all’Europa” con un intervento “Ricordi di un collegiale”.
Leggi l’intervento
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Disegnare l’Italia
Federico Butera
Egea, 2023
22,00 €
Tempo di lettura: 1 min
Alla radice della debolezza del sistema economico e sociale italiano vi è una non riconosciuta questione organizzativa: l'Italia è una società di organizzazioni e lavori fortemente ineguali. Se è vero che è stato sviluppato un ampio repertorio di forme nuove di organizzazione, lavoro e stili di gestione eccellenti, assai più diffuse restano le realtà inefficaci, inefficienti, non sostenibili, regolate da prassi e culture organizzative novecentesche. I lavori di qualità sono una minoranza. Questo è un libro sull'Italia «società di organizzazioni ineguali» e sulla proposta di ridisegnarla a partire dalla progettazione e dallo sviluppo di organizzazioni e lavori di qualità, grazie a tecnologie digitali abilitanti, politiche industriali e cantieri partecipati che impegnino le persone. In una parola, una sociotecnica 5.0 in grado di assicurare la transizione green e digital e di promuovere maggior prosperità, una più alta qualità della vita e soprattutto una società più democratica. Con questa prospettiva, Butera analizza le tre principali dimensioni della progettazione e dello sviluppo delle organizzazioni, ovvero gli ecosistemi e le reti organizzative gestite, le unità organizzative sociotecniche e il lavoro di qualità; descrive modelli e metodi realizzati nelle organizzazioni migliori, avanza la proposta di una politica micro-macro per passare dal dire al fare, offrendo una cassetta degli attrezzi a tutti gli architetti delle nuove organizzazioni e dei nuovi lavori che operano in imprese, PA, università e organi di governo.
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Morire è un passaggio verso la vita vera
Giovanni Palladino
Rubbettino, 2024
10,00 €
Tempo di lettura: 30 sec
In un tempo nel quale sono persino nati gli ateologi, questo libro è quanto mai necessario. Il matematico Piergiorgio Odifreddi sostiene che Gesù sia un personaggio mit(olog)ico e Corrado Augias ritiene che Gesù sia solo una grande figura spirituale, ma che non sia il Figlio di Dio. In questo libro Giovanni Palladino afferma che entrambi sbagliano, perché non conoscono gli scritti di Maria Valtorta come lui che lo hanno convertito a 74 anni, essendo stato prima un cristiano all’acqua di rose. Le loro affermazioni, spiega, sono dovute alla loro ignoranza su verità inconfutabili. Diversi milioni di persone hanno letto e credono negli scritti valtortiani. Sono libri già tradotti in 29 lingue, l’ultima è il cinese. Ma con il tempo i lettori e i convertiti saranno molti di più, se la Chiesa aprirà il processo di beatificazione di Maria Valtorta.
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Organizzazioni Emotive (Intelligenti e Creative)
Luciano Pilotti
McGraw Hill, 2023
33,25 €
Tempo di lettura: 1 min
Il fattore strategico del futuro nella società della conoscenza, delle pratiche, dei saperi e dei mondi digitali, è la qualità del capitale umano e delle relazioni che le danno forma organizzata, non solo la disponibilità di materie prime o di tecnologie avanzate. Forme organizzative coinvolgenti e partecipative, costruttive di un nuovo Umanesimo del Lavoro per realizzare un senso condiviso del nostro inesausto apprendere ad apprendere per prosperare insieme. Obiettivo di questo saggio è quello di fare luce su questa evoluzione che riporta la persona al centro dei processi guardando ai rapporti tra organizzazioni, digitalizzazione ed emozioni, per ricongiungere ciò che il fordismo aveva separato: macchine e uomo, intellettuale e manuale, mente corpo e coscienza, intelligenza ed azione, individuo e comunità. Alla ricerca di un benessere senza aggettivi che non si accompagna alla semplice crescita del reddito e, che le organizzazioni dinamiche possono aiutare valorizzando i fattori emozionali e le molteplici intelligenze umane e gruppali, esplorandone i potenziali e offrendo costruttivamente responsabilità e collaborazione nella consapevolezza tra mindfulness e sensemaking. Una trasformazione ormai necessaria delle organizzazioni per ricostruire un senso di appartenenza aziendale come bene comune che richiede forme “forti” di partecipazione diretta e indiretta alla generazione di valore per nuove forme di creatività al servizio di employeeship per una prosperità condivisa di un’impresa come ecologia.
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Le due <<voci>>
Alberto e Giancarlo Mazzuca, con postfazione di Marco Vitale
Baldini+Castoldi, 2024
17,10 €
Tempo di lettura: 1 min
Giuseppe Prezzolini e Indro Montanelli sono stati le «voci» della cultura di destra in Italia: non solo per il loro carattere intellettuale, ma anche per le parallele avventure de «La Voce», una testata che ha rappresentato nelle sue due manifestazioni non soltanto un ponte di continuità, ma anche un baluardo per gli ideali liberali e conservatori, di cui Prezzolini e Montanelli sono stati interpreti ed esponenti. Questo saggio intende omaggiare la caratura e la valenza ancora contemporanea di due figure così cardinali, ricostruendo nel dettaglio una doppia esperienza che ha segnato la storia del giornalismo italiano. Prezzolini, infatti, fonda la sua «Voce» nel 1908 e la fa diventare uno dei più importanti punti di riferimento del mondo culturale, politico e sociale del Paese. Più breve e controverso il percorso della «Voce» di Montanelli: il quotidiano, “rifondato” nel marzo del 1994, quando il giornalista di Fucecchio decide di prendere le distanze dal centrodestra di Berlusconi, chiuderà amaramente i battenti solamente un anno dopo, rimanendo però saldo nell’immaginario collettivo quale esempio di libertà e rigore professionale. Controcorrente, coraggiosi, lucidi e dotati di tagliente ironia, Prezzolini e Montanelli risaltano in queste pagine come due maestri ancora vividi e attuali cui il pensiero culturale di destra può attingere nel tempo per ritrovarsi e rinnovarsi. Che cosa unisce queste due esperienze? Il coraggio, l’anticonformismo, l’amore non per lo Stato italiano ma per l’Italia intesa come civiltà italiana.
Leggi la postfazione di Marco Vitale
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Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Lamberto Correggiari, Margherita Saldi,
Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.
Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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