Newsletter n. 13 - settembre 2021


≪Una grande crisi, come quella che stiamo vivendo, è un momento ideale per fare dei passi avanti verso questi necessari incroci perché, come scrive Max Frisch: “Eine Krise ist ein produktiver Zustand. Mann muss ihr nur den Beigeschmack der Katastrophe nehmen”, “Una crisi è una realtà produttiva.
Bisogna solo toglierle la caratteristica di catastrofe.

 

Marco Vitale, E se fossimo pazzi?, Milano, 03 novembre 2008

Primo Piano

Avremo davvero una fiammata dei fallimenti?

Tempo di lettura 6 min

Di questi tempi si legge molto spesso sui giornali degli strascichi che il Covid avrà sulle imprese e sul sistema economico in generale. Vengono proposti da più parti scenari caratterizzati da un elevatissimo numero di fallimenti e crisi aziendali una volta che termineranno le misure di sostegno attivate dal Governo e con il termine della sospensione dell’attività di riscossione da parte del Fisco. In questo quadro si colloca lo slittamento, poiché giudicato troppo rigido per fare fronte alla situazione post Covid, dell’avvio del sistema automatico e obbligatorio di allerta previsto dal Codice della crisi al 31 dicembre 2023 e, fortunatamente (come approfondiremo nel successivo articolo), anche la riforma del Codice della Crisi.

Secondo le stime di Banca d’Italia, il 12% delle imprese è a rischio di sottocapitalizzazione. Secondo Cerved c’è da aspettarsi una fiammata dei fallimenti nella seconda metà dell’anno ed il 6% delle imprese è a rischio di insolvenza già nel 2021, con tassi di sofferenza più acuti nel settore dei servizi e fra le piccole imprese (studio Cerved Rating Agency, Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2021).

Uno studio di Banca d’Italia ha stimato una crescita dei fallimenti nei prossimi due anni di circa 6.500 unità rispetto al numero di 11.000 registrato nel 2019. Tale importante incremento, secondo Banca d’Italia, è dovuto a:

  • fallimenti “rimandati” nel periodo della pandemia sia per effetto dell’introduzione della moratoria per le domande di fallimento (dal 9 marzo al 30 giugno 2020) che per le forti limitazioni delle attività dei tribunali durante il lockdown e nel periodo successivo alla riapertura; 
  • agli effetti economici della crisi da pandemia sulla tenuta delle aziende che, secondo le stime di Banca d’Italia, dovrebbe rappresentare circa il 45% dell’incremento dei fallimenti.

Questa quadro di grande allarme sta creando aspettative negative nell’ambito delle relazioni sindacali in vista di possibili licenziamenti di massa ma anche nell’ambito bancario. 

Le banche infatti su indicazioni, e talvolta pressioni, da parte degli Organi di Vigilanza (BCE e Banca d’Italia) sono portate ad effettuare accantonamenti straordinari per potenziali perdite su crediti, con effetti di rilievo oltre che sui propri bilanci, anche sulla disponibilità del credito offerta al mercato. Quest’ultimo effetto non potrà che peggiorare la situazione delle imprese minori e delle microimprese che oggi, e probabilmente ancor più in futuro, si troveranno a soffrire per la riduzione di offerta di credito (si veda al riguardo anche la nostra Newsletter n. 8 dell’ottobre 2020).

A fronte di questi preoccupanti dati è necessario chiedersi se sia giustificato questo allarmismo sulle future crisi e sui fallimenti. 

A nostro avviso no.

Già nell’aprile 2020 (ancora in lockdown), in polemica con il Sole 24 Ore che scriveva “Occorre un Piano per arginare la desertificazione industriale”, sostenevamo che non c’era in vista alcuna desertificazione e scrivevamo: “Dunque, la desertificazione sarebbe certa e, se siamo proprio bravi, possiamo solo arginarla. E invece no! Se non facciamo errori catastrofici non c’è nessun pericolo di desertificazione. Ben poca cosa sarebbe l’impresa italiana se bastassero due mesi di fermata forzosa da pandemia mondiale per ridurla a un deserto. Una volta avviato un ragionevole possibile calendario di apertura, le imprese italiane potranno rientrare nei mercati addirittura in posizione di vantaggio se saranno messe in condizione di mitigare gli effetti delle due criticità che stanno affrontando, quella della perdita di fatturato e quella di uscita dalla filiera di fornitura”.

Nella nostra Newsletter n. 12 del giugno 2021 avevamo avuto modo di evidenziare quanto la manifattura italiana abbia reagito positivamente alla crisi posizionandosi in molti settori a livelli di eccellenza europei davanti a Germania e Francia.

Altri dati più recenti confermano la buona salute del sistema economico produttivo italiano. Un’analisi di Intesa Sanpaolo evidenzia che nei primi cinque mesi dell’anno il fatturato dell’industria italiana non solo ha recuperato quanto perso nel 2020 ma è cresciuto ulteriormente, registrando un dato del +5,3% rispetto al pari periodo del 2019.

Dato molto interessante è che gli investimenti stanno crescendo più dei consumi, segnale che molte imprese hanno reagito con grande vigore e determinazione alle sfide poste dal Covid che, come più volte detto, ha accelerato processi di cambiamento che erano già in atto e ne ha posti di nuovi.

Il Sole 24 Ore dell’1 settembre titolava: “Lavoro, nessun effetto licenziamenti a luglio 24 mila assunzioni in più”. Le imprese stanno assumendo e da gennaio, secondo i dati Istat, gli occupati sono saliti di 550 mila unità. Il tutto a testimonianza che nessuna desertificazione ci aspetta, anzi.

Tante imprese italiane, e noi ne abbiamo diretta testimonianza, stanno valutando percorsi di sviluppo basati su acquisizioni anche di imprese estere come realizzazione di seri e duraturi percorsi di internazionalizzazione sui loro principali mercati di sbocco. Tante imprese stanno lavorando sul proprio modello di business, talvolta si tratta di aggiustamenti ma spesso anche di revisioni più profonde e strutturali. In ogni caso si sono aperti cantieri strategici rilevanti. 

Di grande significato è il fatto che queste positive attitudini non sono oggi solo delle grandi imprese, ma si sono diffuse in modo sostanziale e stabile anche presso le PMI che, attraverso questi percorsi, stanno dando anche una concreta risposta alle questioni potenzialmente pericolose legate alle minori dimensioni aziendali che hanno caratterizzato l’apparato produttivo ed imprenditoriale italiano.

In sostanza il quadro che oggi è davanti ai nostri occhi è quello di un sistema produttivo italiano molto vivace che ha dato prova di saper prontamente comprendere le “provocazioni” del cigno nero Covid-19, cogliendone gli stimoli e le opportunità che, come sempre, le crisi offrono.

Questa reazione, pronta ed efficace, del sistema produttivo italiano ha il suo fondamento sugli investimenti e sul cambiamento che già prima del Covid le imprese italiane, soprattutto quelle familiari, avevano avviato, sia in campo produttivo e tecnologico (anche sostenuto dal piano Industry 4.0) che in quello più ampio e generale imprenditoriale, gestendo meglio del passato non solo il tema della convivenza generazionale nell’impresa, ma anche quello della progressiva managerializzazione dell’impresa via via che la stessa si sviluppa e la complessità gestionale aumenta.

Certamente vi sono settori che soffrono ancora per il Covid (turismo, trasporti, ristorazione, tessile, ecc.), per i quali saranno probabilmente necessari ancora interventi di solidarietà pubblica, ma nel complesso, a nostro avviso, il quadro è molto meno preoccupante dei foschi resoconti sui futuri fallimenti che ancora oggi purtroppo da più parti ci vengono proposti.

Quindi, col senno non di oggi ma di aprile 2020, diciamo che non ha alcun senso fare terrorismo sull’assetto produttivo italiano.

È in questo contesto che quindi leggiamo molto positivamente la riforma del Codice della crisi che il Governo Draghi ha avviato nei mesi scorsi e che affrontiamo più in dettaglio nell’articolo che segue. La riforma pare consenta di affrontare la crisi d’impresa non solo nell’ottica “liquidatoria” tipica di una procedura fallimentare, ma pone le basi per affrontare la crisi nell’ottica della continuità aziendale, sul presupposto che il primo interesse dei creditori è il ritorno ad un corretto ed economico funzionamento dell’impresa transitoriamente in crisi.

E' cambiato il vento sull'approccio alla crisi d'impresa

Tempo di lettura: 6 min

Nella Newsletter n. 12/2021 dello scorso giugno abbiamo pubblicato una relazione di Marco Vitale, tenuta il 19 maggio 2021 al Lions Club di Mirandola, intitolata “Il Cigno nero è arrivato per davvero, ma c’è anche del buono nella sua bisaccia”.  

Possiamo dire che l’estate ha portato nella bisaccia del cigno nero del Covid un’altra cosa buona: l’archiviazione della parte più pericolosa del D. Lgs. 14/2019 c.d. “Codice della Crisi” (normativa non ancora in vigore e che sostituirà l’attuale legge fallimentare del 1942), ovvero il meccanismo dei “sistema di allerta” e degli “OCRI” (Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa che avrebbero dovuto essere istituiti presso le Camere di Commercio).

Da par nostro, non appena la disciplina era stata resa nota nel 2019, avevamo fortemente criticato l’impostazione dei sistemi di allerta e degli OCRI (si veda la Newsletter n. 1/2019 e la Newsletter n. 9/2020) individuandone le storture ed il rischio che il risultato finale fosse esattamente l’opposto dello spirito della riforma, ovvero quello di compromettere in modo definitivo la continuità di imprese che, con adeguati approcci e interventi, possono invece efficacemente affrontare e risolvere situazioni che presentino concrete prospettive di risanamento.

Le principali criticità che avevamo evidenziato erano riconducibili al rischio che molte imprese, per il solo fatto di non rispettare degli indicatori contabili che possono non essere sintomatici di una effettiva “crisi”, venissero forzosamente fatte precipitare nel perverso meccanismo dell’OCRI fino alla possibile segnalazione al Pubblico Ministero. Avevamo inoltre messo in luce le criticità legate alla composizione dell’OCRI, i cui membri dovevano documentare competenze ed esperienze fondamentalmente nel campo delle procedure concorsuali, ovvero in processi di liquidazione del patrimonio aziendale.

“Grazie” al Covid il Governo Draghi ha ritenuto opportuno, dopo una iniziale proroga dell’entrata in vigore del Codice della Crisi (prevista al 15 agosto 2020), incaricare presso il Ministero della Giustizia una apposita commissione (c.d. “Commissione Pagni” dal nome della sua presidente Prof.ssa Ilaria Pagni) al fine di elaborare proposte di modifica al Codice stesso. La Commissione Pagni, a differenza della Commissione Rordorf che elaborò la prima versione della normativa, non è composta solo da magistrati ma anche da docenti e professionisti effettivamente vicini ai temi dell’impresa.

Il 24 agosto 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il frutto del lavoro della Commissione Pagni, ovvero il DL 24 agosto 2021, n. 118 “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”. 

I principali effetti del DL 118/2021 in materia di crisi d’impresa possono essere così riepilogati:

  • differimento dell’entrata in vigore del Codice della Crisi al 16 maggio 2022;
  • differimento dell’entrata in vigore della disciplina dei sistemi di allerta e degli OCRI al 31 dicembre 2023;
  • introduzione del nuovo meccanismo stragiudiziale “composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa”;
  • anticipazione dell’entrata in vigore di alcuni meccanismi previsti dal Codice della Crisi.

Il differimento al 2023 dei sistemi di allerta e degli OCRI è considerato dai principali commentatori ed esperti della materia come propedeutico ad una probabile (quanto auspicabile, aggiungiamo noi) loro archiviazione definitiva, o comunque ad un radicale ripensamento della loro impostazione.

Oltre al rinvio/eliminazione della disciplina dell’allerta e degli OCRI, la principale novità è rappresentata dall’introduzione della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, meccanismo stragiudiziale attivabile su base volontaria da parte di imprese che si trovano in difficoltà, ma che conservano i presupposti per il superamento della crisi attraverso accordi stragiudiziali con i creditori. 

In estrema sintesi l’istituto prevede che l’impresa possa chiedere la nomina di un esperto, che non si sostituisce ai suoi consulenti, la cui funzione è quella di agevolare le trattative e la negoziazione con i creditori anche attraverso poteri di moral suasion. 

L’accesso all’istituto garantisce per il debitore misure premiali di carattere fiscale, nonché tutele sia per il debitore (possibilità di accedere durante le negoziazioni a misure protettive e cautelari sul patrimonio, ed esonero da responsabilità penali per bancarotta in caso di fallimento) che per i creditori (protezione da azioni revocatorie in caso di fallimento).

Senza scendere troppo negli aspetti tecnici (la disciplina è piuttosto complessa e articolata), riepiloghiamo di seguito gli aspetti della composizione negoziata che ci sembrano più rilevanti: 

  • l’impresa in crisi, di qualunque dimensione e settore, può decidere liberamente se attivare o meno la composizione negoziata con uno o più creditori (secondo l’impostazione precedente la segnalazione all’OCRI, e l’avvio forzoso del relativo iter, poteva invece essere effettuata autonomamente dagli organi di controllo societari dell’impresa o da suoi creditori pubblici qualificati quali Agenzia delle Entrate e INPS);
  • l’impresa nel corso della composizione negoziata è in bonis e mantiene tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione;
  • l’esperto, che dovrà essere iscritto in un apposito elenco, è una figura singola (e non una commissione di tre membri com’era l’OCRI), il cui profilo deve comprendere competenze nella risoluzione di crisi attraverso la negoziazione con i creditori, e non dovrà quindi essere un curatore fallimentare esclusivamente specializzato nei processi di liquidazione delle aziende (com’era invece sostanzialmente previsto per i membri dell’OCRI). L’esperto dovrà quindi avere competenze in ambito di ristrutturazioni, quindi avere un taglio aziendalistico; 
  • in caso di successivo fallimento dell’impresa, i creditori sono protetti dall’azione revocatoria per i pagamenti ricevuti durante la composizione negoziata;  
  • l’impresa, durante le negoziazioni, può richiedere misure protettive nei confronti di azioni esecutive e da istanze di fallimento;
  • l’impresa può chiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili, da terzi o anche dai suoi soci;
  • è previsto che tutte le parti coinvolte nelle trattative debbano dare riscontro alle proposte ed alle richieste con risposte tempestive e motivate. È inoltre previsto uno specifico obbligo in capo alle banche ed agli intermediari finanziari, nonché ai loro mandatari e cessionari dei loro crediti, di partecipare alle trattive in modo attivo e informato (tale previsione è volta ad accelerare i burocratici iter decisionali interni delle banche, compresi gli operatori specializzati nell’acquisto dei crediti problematici c.d. NPL/UTP). Inoltre, è esplicitato che l’accesso alla composizione negoziata non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari;
  • durante la composizione negoziata l’impresa può richiedere, in caso di riduzione o perdita del capitale sociale, la deroga all’obbligo civilistico di ricapitalizzazione o scioglimento della società;
  • in caso di fallimento è previsto, con riferimento alle operazioni compiute durante la composizione negoziata, l’esonero per l’imprenditore da responsabilità penali per i reati di bancarotta fraudolenta preferenziale e bancarotta semplice;
  • qualora le negoziazioni non portino all’accordo con i creditori, non scatta alcuna misura punitiva per l’impresa (l’impostazione precedente prevedeva la segnalazione al Pubblico Ministero da parte dell’OCRI), e la stessa rimane libera di intraprendere tutte le strade alternative previste dalla legge fallimentare (es: piano attestato di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo ecc…).

La composizione negoziata entrerà in vigore il 15 novembre 2021, a valle dell’emanazione di alcuni decreti ministeriali che dovranno disciplinare alcuni aspetti operativi.

Riteniamo che lo strumento della composizione negoziata abbia le caratteristiche per rappresentare una interessante opzione per l’impresa in crisi, arricchendo il panorama degli strumenti già in essere per la gestione negoziale delle crisi, quali i piani attestati di risanamento (art. 67 LF) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis LF cui si aggiungono alcune interessanti novità sempre portate dal DL 118/2021).

L’aspetto più rilevante e significativo è però rappresentato dal cambio di approccio e di paradigma che permea la nuova normativa. Emerge infatti un contesto realmente costruttivo e volto a favorire il recupero dell’impresa in crisi. Diversamente dalla disciplina dell’OCRI e dal suo approccio sostanzialmente inefficace, poliziesco e punitivo nei confronti dell’impresa in crisi. 

Anche per questo dobbiamo ringraziare il cigno nero del Covid, ma non solo. Ringraziamo infatti anche quel ripensamento chiaramente sviluppato da alcuni soggetti incaricati di affrontare questo delicato tema. Plaudiamo a questo ripensamento sia in sé stesso sia perché è raro che il “legislatore” cambi idea rispetto a tante sciocchezze che impone. 

Nel plaudire pensiamo che sia anche necessario rendersi conto come, perché e da chi sia stata concepita, la struttura legislativa ora modificata. Bisogna capirlo per cercare di evitare che visioni così perverse ritornino alla ribalta.

Misure urgenti in materia di crisi d’impresa:
verso il superamento del CCII?

Tempo di lettura: 4 min

Ci fa molto piacere in merito al tema dell’articolo precedente ospitare alcune riflessioni dell’Avvocato Carlo Alberto Giovanardi sullo spirito di fondo del nuovo decreto dedicato alla gestione della crisi d’impresa. 

L’Avvocato Giovanardi è tra i professionisti più esperti ed apprezzati nel settore restructuring che da sempre riserva grande sensibilità e attenzione al valore ed alla funzione sociale dell’impresa, e quindi a preservare, dove ne ricorrano i presupposti, la continuità aziendale.

Il DL 24 agosto 2021 n. 118, trattando di Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale [] (DL 118/2021), dimostra la vitalità di un impegno normativo diretto a disciplinare in maniera funzionale la materia della crisi d’impresa. La crescente attenzione a tutti i c.d. stakeholders, che vede affermarsi progressivamente la nozione di pluralistic stakeholderism, la consapevolezza del valore sociale dell’impresa, che ha portato la scienza socioeconomica a riconoscere in essa il ruolo di trustee della società civile, la struttura patrimoniale delle società di capitali, che, reggendosi sulla continuità aziendale, porta alla oggettiva obliterazione del concetto di garanzia patrimoniale generica espressione di un contesto liquidatorio, costituiscono tutti fattori dai quali il legislatore della crisi non può prescindere.

Da qui, nel momento in cui è apparso ineludibile il rischio di sistema connesso a una situazione di crisi diffusa, indotta nella specie dalla pandemia, ha preso forza l’azione diretta alla profonda rivisitazione critica di un impianto normativo, il Codice della Crisi e dell’Insolvenza di cui al D.Lgs. 14/2019 (CCII), la cui inadeguatezza è stata diffusamente denunciata in tutti gli ambiti professionali.

Fa dunque piacere riscontrare che il DL 118/2021, seppure in forma, indiretta, prende significativamente le distanze dal CCII, rovesciandone o quantomeno indebolendone alcuni fondamentali.

Il testo normativo del recente decreto è chiaramente sofferto e tutt’altro che organico. Ciononostante, più che rivolgere facili critiche a incongruenze variamente distribuite nel testo del decreto e negli istituti introdotti, mi fa piacere sottolinearne alcuni aspetti, che meritano attenzione.

Il primo tema di rilievo riguarda il rinvio delle disposizioni del CCII rispettivamente alla prossima primavera, per la generalità delle norme ad oggi non entrate in vigore, ed al 31 dicembre 2023 per le norme relative alle c.d. procedure di allerta e di composizione assistita, delle quali è stato così decretato il giusto fallimento, prima ancora che le stesse potessero essere sperimentate a spese di un sistema economico già in difficoltà. Esprimo l’auspicio che questa presa di coscienza si estenda all’intero CCII, con l’idea di mettere finalmente mano a una sistematica disciplina della crisi, che riconosca il sistema giudiziario al servizio dell’impresa e della cultura aziendalista e non viceversa.

Il secondo tema vede la riacquisita dignità della gestione privatistica, con l’introduzione dell’istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (art. 2 e ss.), praticabile nelle varie graduazioni di quest’ultima, inclusa la “probabilità di insolvenza”, concetto sul quale ci sarebbe molto da dire. Coerente con l’impegno propositivo di cui sopra, mi limito a notare con piacere che il pendolo tra la gestione privatistica e la gestione giudiziale, cui fu dato slancio in favore della prima nel 2005, dopo ripetute riforme e controriforme, riconosce nuovamente prevalenza funzionale al negoziato ed alle professionalità che possono essere messe utilmente al servizio di esso.

Il terzo tema attiene ad altro pendolo, in costante oscillazione, del quale fatico a cogliere il senso, se non per finalità che nulla hanno a che fare con la gestione della crisi: mi riferisco alla contrapposizione tra gli interessi dei creditori e l’interesse dell’impresa, che ha visto, nei diversi enunciati normativi susseguitisi negli anni, una scomposta oscillazione, con l’attenzione rivolta ora agli uni, ora, apparentemente, all’altra. Continuo a non capirne il senso. Ho accennato sopra al fatto che la struttura patrimoniale dell’impresa di oggi, debole sotto il profilo del capitale di rischio, è caratterizzata per lo più da intangibili (diretti o sotto forma di immobilizzazioni finanziarie che a loro volta sono riferite a strutture patrimoniali con prevalenza di intangibili) o da tangibili il cui valore è strettamente connesso alla continuità. Tale circostanza fa sì che la garanzia principale per i creditori sia data dalla continuità, non potendosi fare alcun affidamento sulla garanzia patrimoniale generica liquidatoria. Credo che tutto ciò trovi ampia conferma nei dati delle imbarazzanti performance liquidatorie nei contesti fallimentari. E se è così, ne consegue che la miglior tutela per i creditori è data dalla ricerca delle condizioni per la salvaguardia della continuità dell’impresa, la cui rilevanza, in una prospettiva di pluralistic stakholderism, ben può esprimere i suoi effetti positivi anche oltre il circoscritto interesse dei creditori. Non vado forse lontano dal vero nell’immaginare che il denunciato pendolo nasconda nella sua oscillazione, non l’interesse dell’impresa, quanto di un titolare dell’impresa che continua ad essere legittimato a troppa invasività nella governance dei contesti di crisi, senza necessariamente meritare i galloni dell’imprenditore (i.e.: vogliamo tutelare la continuità del titolare o dell’impresa?).

Il quarto e ultimo punto su cui richiamo l’attenzione in queste brevi note riguarda l’istituto del concordato liquidatorio semplificato, disciplinato dagli artt. 18 e 19 del DL 118/2021, che, in pochi commi, potrebbe arrivare a obliterare, aprendo a operazione in continuità esterna o c.d. mista (parziale continuità esterna e liquidatoria) la grande parte delle fattispecie nelle quali il concordato preventivo di cui alla legge fallimentare (liquidatorio o in continuità) e, ancor peggio, di cui al CCII, sarebbe stato concretamente difficilissimo, se non impraticabile. Rivolgo un caloroso benvenuto al neonato istituto, che mi auguro possa affinarsi nella legge di conversione, mantenendo un buon grado di libertà da pastoie incompatibili con la varianza che caratterizza le crisi d’impresa e che sappia veramente tutelare quel che si può salvare dell’impresa, a beneficio dei creditori e del sistema sociale, con l’attenzione di non farne uno strumento nelle mani di imprenditori spregiudicati o, quantomeno, inadeguati.

Angelo Zegna, l'uomo alla ricerca del "nuovo"

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Lo scorso 19 agosto è mancato all’età di 97 anni Angelo Zegna, presidente onorario del Gruppo Ermenegildo Zegna e figlio del fondatore, che per mezzo secolo è stato formidabile protagonista dell’industria italiana del tessile e abbigliamento. Marco Vitale ha affiancato per decenni il Gruppo Ermenegildo Zegna nel suo percorso di sviluppo, riportiamo di seguito il suo ricordo di Angelo Zegna pubblicato sul Corriere della Sera del 21 agosto, il cui titolo originario è “Angelo Zegna un imprenditore autentico”.

Angelo Zegna, presidente onorario del gruppo Ermenegildo Zegna e, per mezzo secolo, formidabile protagonista dello stesso e dell’industria italiana del tessile e abbigliamento ha concluso la sua vita terrena, lunga, operosa, fertile. Lo conobbi a metà degli anni ’70, nel pieno della maturità imprenditoriale. Conduceva il gruppo con il fratello Aldo, altro imprenditore di grande valore, ma il leader come creatività e spinta era indiscutibilmente Angelo. Io ero allora un giovane partner della società di revisione Arthur Andersen. Ci intendemmo rapidamente perché avevamo una concezione molto simile dell’impresa, del management, dei rapporti tra impresa e famiglia. Angelo e il gruppo erano impegnati su alcune difficili direzioni: completare la trasformazione da azienda industriale concentrata sulla fabbrica a gruppo integrato di tessile e abbigliamento con al centro lo stile e il marketing, la creatività, l’eleganza unita sempre alla qualità; sviluppare la presenza internazionale; favorire l’inserimento e la crescita manageriale della terza generazione, curando, al contempo, la compattezza della famiglia. Lavorare su questi temi è stato per me di grande soddisfazione. Ma la collaborazione personale con Angelo fu un’esperienza particolare: non era solo un grande operativo, ma un vero e proprio studioso di management e dei suoi principali esponenti, in particolare di Peter Drucker. Avevo nel frattempo lasciato l’Arthur Andersen e quando ci incontravamo Angelo arrivava con un quadernetto dove aveva segnato tutti i temi che voleva discutere. Ma accanto ai singoli argomenti aveva già preparato le risposte, frutto delle sue analisi accurate e documentate.

Pensai a lui quando, anni dopo, scoprii il più interessante libro di management della letteratura italiana: il Libro dell’Arte della Mercatura scritto nel 1458 da Benedetto Cotrugli, mercante raguseo secondo il quale il buon imprenditore «deve sapere tutto quello che può sapere uno homo» e deve essere addestrato a «ricordarsi delle cose passate, considerare le presenti, prevedere le future». Era il profilo di Angelo Zegna, uomo d’azione, ma sempre alla ricerca delle cose nuove. Un assoluto pioniere in molti campi e soprattutto nell’intuire lo sviluppo che avrebbe avuto la Cina, andando in una Pechino dove non c’erano negozi ma bisognava vendere nella hall dei pochi hotel esistenti. Dopo dieci anni, mi invitò a far parte del consiglio di amministrazione, nel quale per anni sono stato l’unico esterno alla famiglia. Ho partecipato all’inserimento della generazione oggi al comando. Questa fase mi ha permesso di capire che se le qualità intellettuali e morali di Angelo erano un dono personale esse, tuttavia, avevano radici solidissime nei valori di fondo della famiglia e del territorio dai quali essi scaturiscono, quel territorio dove egli si è spento serenamente. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la morte della cara moglie, Angelo si era un po’ allontanato dall’azienda. Ma la sua presenza era sempre viva e il suo parere richiesto e ascoltato. Da lui io ho imparato molto e penso che molti imprenditori italiani abbiano da lui da imparare. Lascia il gruppo in mani forti, ma soprattutto lascia un gruppo familiare compatto e che ha interiorizzato che l’azienda è un bene comune affidato a una famiglia proprietaria che ha la responsabilità di proteggerlo e trasferirlo più forte e più solido alle nuove generazioni.

Proverbi riletti per l'impresa

La solitudine non paga

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Proseguiamo con i proverbi popolari che possono contenere insegnamenti validi anche per una buona gestione d’impresa. Questa volta suggeriamo un proverbio siciliano e l’estratto del commento tratti dal libro di Marco Vitale “I proverbi di Calatafimi”, pag. 68, Edizioni Studio Domenicano, 2009.

“Unu sulu nun è bonu mancu ‘n paradisu”.

“Uno da solo non va bene neanche in paradiso”.

È qui espresso, in forma icastica, efficace e sintetica, un tema al quale negli ultimi anni in tutte le scuole di management del mondo sono state dedicate migliaia di ore di lezioni e centinaia di libri: il valore del lavoro in team, la necessità di fare squadra, il disvalore della solitudine. Forse qualcuno che non ha conosciuto il mondo agricolo potrà meravigliarsi che questo principio faccia parte della cultura contadina. Ma chi ha conosciuto e ricorda le vendemmie, le fienagioni, il lavoro delle mondine, tipici lavori di squadra svolti in allegria, non condividerà certo questo sorpresa. Fosco Maraini, una ventina di anni fa, in una bellissima lezione in Bocconi sul Giappone, ci spiegò che la predisposizione dei giapponesi al team working aziendale deriva dalla coltura del riso. Nella coltivazione del riso, infatti, si lavora sempre in squadra, o meglio in squadre, ciascuna dedicata ad una funzione e tutte armonicamente inserite l’una nell’altra.

Ma il proverbio va oltre il puro tema del lavoro; sembra riferirsi a un approccio più generale verso la vita. Si può vivere in solitudine e non essere soli. Si può vivere in una posizione di potere con migliaia di relazioni, si può essere CEO di un’importante azienda, ed essere soli.

Ho raccontato in C’è posta per Dio (a cura di Francesco Antonioli, Piemme, 2005) la storia di un anziano contadino che ricordo con affetto come fosse un padre, il quale era sempre vissuto solo, senza sposarsi. Quando morì ultraottantenne nel recarmi al funerale temevo che ci sarebbero state poche persone: i parenti erano pochi, i commilitoni quasi tutti scomparsi. Quale fu la mia sorpresa e la mia gioia nel vedere che al funerale di Piero c’era moltissima gente, tutto il paese, vecchi e giovani, e persone che l’avevano conosciuto tanti anni prima, come il figlio del padrone presso il quale andava a tagliare il fieno in Engadina, da ragazzo.

Pur vivendo da solo, Piero non era mai stato solo. La sua onestà, la sua generosità (era sempre pronto a dare insegnamenti, a chi li chiedeva, sia di agricoltura che di apicultura, dove era un maestro), l’innato senso di giustizia che da lui emanava, la sua modestia accoppiata alla fortitudine, avevano tracciato intorno a lui una rete infinita di invisibili connessioni con la comunità, di grande rispetto, pur avendo sempre vissuto da solo.

Garibaldi amava la solitudine. Amava stare da solo a contemplare il mare, alzarsi prestissimo la mattina per contemplare l’alba. Amava ritirarsi a Caprera, nella sua solitaria Caprera. Ma non fu mai un uomo solo. Era accompagnato da milioni di cuori in tutto il mondo, che lo amavano. Ma anche operativamente aveva sempre dei valentissimi collaboratori. Nella spedizione dei Mille, Bixio, Crispi, La Masa, Türr erano collaboratori di grande valore e pienamente responsabilizzati, cioè valorizzati.

La concezione di leadership di Shackleton, che tra il 1914 e il 1917 in condizioni proibitive guidò per due anni tutto l’equipaggio della sua nave, bloccata tra i ghiacci, attraverso l’Antartide via terra e via mare portandoli tutti in salvo è esemplare:

“Ci sono molte cose buone al mondo, ma probabilmente lo spirito di gruppo è la migliore fra tutte (…). Per me la vita è un grande gioco di squadra che va condotto seguendo le regole dell’equità e della giustizia, e in cui l’obiettivo principale non è la vittoria in sé, ma vincere con onore e nella maniera più pulita. Per arrivarci ci vogliono alcune qualità. Una è la lealtà. Poi c’è la disciplina. E l’altruismo. Il coraggio, anche. Una certa dose di ottimismo non guasta. L’intelligenza, certo. E, per finire, la compassione e il cameratismo.”

Quante parole si spendono per illustrare il concetto che il mutto siciliano ha sintetizzato in otto parole!

Notizie IN

Approvata la legge per la diffusione dei defribillatori e la depenalizzazione dell’uso

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Grazie al supporto unanime delle forze politiche, a luglio 2021 ha avuto il via libera definitivo dalla Commissione Affari Sociali della Camera la legge che prevede la diffusione dei c.d. DAE, defibrillatori automatici esterni, nei luoghi pubblici e di lavoro, prevedendo anche percorsi formativi nelle scuole. 

La legge prevede vari interventi finalizzati a rafforzare il primo soccorso in caso di arresto cardiaco, come l’obbligo dell’introduzione a scuola dell’insegnamento delle manovre di rianimazione cardiopolmonare, l’obbligo per le società sportive professionistiche e dilettantistiche di dotarsi di defibrillatori, uno stanziamento di 10 milioni di euro per la diffusione nei prossimi cinque anni dei DAE in luoghi molto frequentati come aeroporti, stazioni ferroviarie, porti, scuole e università e sui mezzi di trasporto (aerei, treni, navi).

La legge introduce inoltre importanti novità anche all’interno del codice penale italiano, prevedendo che in situazioni di emergenza non vi sarà più alcun rischio di dover eventualmente rispondere penalmente per eventuali manovre errate nell’utilizzo del DAE. Si tratta di consentire a chiunque si ritrovi in uno stato di necessità nel dover utilizzare il defibrillatore in contesti extraospedalieri, di poter agire anche laddove non sia adeguatamente formato al suo utilizzo. 

La legge è il frutto di una battaglia portata avanti da Daniela Aschieri, primario di cardiologia di Castel San Giovanni e ora di Piacenza, che nel giugno 2019 illustrò il progetto alla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. 

La nuova legge rappresenta un intervento di civiltà, che promuove la concreta diffusione della cultura della prevenzione e del primo soccorso. 

Sull’importanza di adeguati interventi in campo sanitario, riprendiamo le parole di Marco Vitale riportate in un recente intervento (relazione tenuta il 19 maggio 2021 al Lions Club di Mirandola, intitolata “Il Cigno nero è arrivato per davvero, ma c’è anche del buono nella sua bisaccia): “Diciamo a voce molto alta che tutto ciò che aiuta la salute del nostro popolo non è una spesa, è un investimento prezioso il cui ritorno economico è estremamente più utile di quanto si spende. Poche spese sono più redditizie, nel lungo termine, di quelle che si sostengono per la salute del popolo”.

La medaglia Dirac per la prima volta ad una scienziata italiana

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Lo scorso 8 agosto la scienziata Alessandra Buonanno è stata la seconda donna in assoluto, e la prima italiana, a ricevere la prestigiosa medaglia Dirac (premio istituito 42 anni fa e intitolato al fisico britannico Paul Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933 e tra i fondatori della teoria quantistica), uno dei più importanti premi mondiali per la fisica assegnato ogni anno dall'International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste. 

Dopo la laurea e il dottorato di ricerca in Fisica all’Università di Pisa, Buonanno ha lavorato al Cern di Ginevra e poi in Francia, nell’Institut des Hautes Etudes Scientifiques (Ihes). Ha inoltre lavorato nel Laboratorio di Astrofisica e Cosmologia (APC) di Parigi (2001), nell’Università del Maryland (2005) e nel 2014 è stata nominata co-direttrice dell'Istituto tedesco Max Planck per la fisica gravitazionale di Potsdam, dove dirige il Dipartimento di Relatività Astrofisica e Cosmologica.

La comunità scientifica riconosce a Buonanno il grande merito, insieme al suo team di lavoro, di aver creato le basi, grazie alle ricerche sui modelli di relatività analitica e relatività numerica, per osservare le onde gravitazionali prodotte dall'unione di un sistema binario di buchi neri, deducendo le loro proprietà astrofisiche e cosmologiche. 

Un secolo dopo Einstein, che teorizzò le onde gravitazionali nel 1915 nell’ambito della teoria della relatività generale, questi fenomeni si sono svelati ai sofisticati strumenti dell’uomo. 

Dopo la notizia del premio, Buonanno ha dichiarato: “Sono molto grata all’Italia, per gli studi che ho fatto all’università di Pisa, prima per la laurea e poi per il dottorato, e penso che la preparazione che si può avere in Italia sia ancora di altissimo livello. È una cosa straordinaria che come esseri viventi abbiamo costruito un linguaggio, con la matematica e la fisica, che ci permette di andare indietro nel tempo e capire come era l'Universo miliardi di anni fa”.

È una notizia che dà lustro al nostro Paese nell’ambito della ricerca scientifica, in una fase dove viene data troppa voce e risonanza a credenze ed opinioni che nulla hanno a che fare con la scienza, al rigore del suo metodo ed agli incalcolabili benefici che ha apportato ed apporterà all’umanità.

Notizie OUT

Lago di Garda: si rompe l’equilibrio turista-residente?
Necessità di ripensare il modello di turismo.

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Nel mese di giugno nelle acque del golfo di Salò due giovani (lui 37 anni lei 25) sono stati uccisi da un motoscafo di turisti tedeschi (probabilmente ubriachi) che hanno travolto il piccolo natante sui cui i due si trovavano. Si tratta di una tragedia che non era mai capitata e che ha colpito in modo molto significativo la comunità locale del Lago di Garda e che ha avuto anche un rilievo nazionale.

Al di là dell’evidente drammaticità dell’accaduto in sé, per i ragazzi le famiglie e gli amici, questo tragico evento ha reso evidente un tema che sul lago di Garda, ma non solo, non è mai stato, colpevolmente, affrontato in modo serio e responsabile e cioè il modello di sviluppo turistico, la sua sostenibilità ed il rapporto tra turista e residente. 

Troppo spesso territori di grande valore culturale e bellezza naturale vengono completamente annientati e svenduti da politiche turistiche miopi che antepongono “le presenze” al rispetto della cultura e della vita locale. “Al turista tutto è permesso”, questo era il commento diffuso tra i residenti (ma anche tra i commercianti) nei giorni seguenti la tragedia, anzi l’omicidio.

Il turista frequenta con piacere una località quando si sente accolto, quando percepisce l’ospitalità diffusa. Se il modello di turismo attuato non è rispettoso della cultura locale e sovrasta la popolazione residente, viene meno l’elemento essenziale su cui si fonda uno sviluppo turistico duraturo: la convivenza equilibrata tra residenti e visitatori. 

Sul lago di Garda questo equilibrio probabilmente è profondamente compromesso, e non da oggi.

Pensiamo sia utile a tale riguardo riportare i principi che l’English Tourist Board riassume efficacemente nei seguenti sette punti:

  1. L’ambiente possiede un valore intrinseco, che viene reso disponibile come risorsa turistica, ma questa opzione non può andare a discapito delle future generazioni pregiudicandone il godimento.
  2. Il turismo va concepito nel vantaggio reciproco delle comunità locali e dei visitatori.
  3. Vanno graduati gli impatti, in modo tale che l’esercizio durevole dell’attività turistica non abbia come conseguenza il progressivo depauperamento delle risorse ambientali.
  4. Il turismo deve mantenersi coerente con le specificità culturali e naturali dei luoghi.
  5. Nelle località turistiche va conservata l’armonia fra bisogni dei visitatori, della comunità ospitante e dell’ambiente interessato.
  6. Gli adattamenti, indispensabili, non devono avvenire al prezzo di questi principi irrinunciabili.
  7. E’ dovere di tutti, operatori turistici, comunità locali, istituzioni pubbliche, rispettare questi principi collaborando per la loro concreta realizzazione.

VNZ News

Nuovo Premio Vergani 2021:
Marco Vitale tra i premiati


Il premio «Milan col cöeur in man» è stato attribuito a Marco Vitale e Giangiacomo Schiavi del Corriere della Sera «per il servizio e l’attenzione al futuro della filantropia».

Lettera di Marco Vitale e notifica premio
Giornale di Brescia, 27 giugno 2021

Vitale-Zane & Co. al Master dell’Università Cattolica di Brescia
 

Il 2 luglio Stefano Zane è intervenuto al master in “Gestione e comunicazione della sostenibilità” con una relazione dal titolo “Sostenibilità nelle imprese: il patto generazionale”.
 

Presentazione del libro
“La Human Satisfaction con il Metodo Ere”


A cura di Marzio Bonferroni
Martedì 19 ottobre, ore 17.00
Evento online organizzato da Egea – Piattaforma Teams.
Il volume contiene un capitolo scritto da Marco Vitale dal titolo: “Luana non doveva morire”

Consulta la locandina per maggiori informazioni e per l’iscrizione all’evento

Il mondo che cambia
e che è cambiato.


Primo incontro del ciclo "Cultura del Lavoro - Lavoro come Cultura"
Lunedì 11 ottobre 2021 ore 17:00
Sala Beretta, via Cefalonia 60 - Brescia

Intervento Marco Vitale
(Economista d'impresa)

Consulta la locandina

 

Da non perdere

L'azienda calcio in Italia: alla ricerca dell'economicità


Mario Nicoliello,
con postfazione di Marco Vitale
2021, Giuffrè,collana di studi
economico-aziendali "E. Giannessi"
Pag. 319 | 33,25 €


Tempo di lettura 50 sec

Una prospettiva fresca e inusuale quella che viene fornita in questo volume in merito ai club calcistici: tra consistenti diritti televisivi e gli stipendi del personale tecnico a molti zeri si può dire che questo tipo di imprese risponde a criteri di economicità? Dopo una premessa sull'origine dei club calcistici come associazioni e la svolta che si è avuta a partire dal "caso Bosman" l'autore indaga la natura e le peculiari caratteristiche aziendali del club calcistico italiano attuando dapprima un'analisi qualitativa e poi quantitativa (con una vera e propria analisi del bilancio delle singole società) della loro attività d'impresa per poi confrontarli con quelli di altri paesi europei di grande tradizione calcistica come Gran Bretagna, Spagna, Francia e Germania. La panoramica a tutto tondo permette all'autore di suggerire a conclusione del volume una serie di strategie per improntare la società calcistica a una più stringente logica di economicità a maggior ragione adesso - dopo che le interruzioni dovute all'emergenza sanitaria hanno ancor più messo in evidenza le falle della corrente gestione aziendale.

I racconti della Resistenza. Tre grandi storie per difendere la nostra libertà


Roberto Denti, Lia Levi, Annalisa Strada
2020, Piemme
Pag. 423 | 13,77 €


Tempo di lettura 34 sec

Sullo sfondo buio della guerra brillano le eccezionali imprese che anche bambini e ragazzi si possono ritrovare a fronteggiare. Come gli amici di "Ancora un giorno", che nella Milano del coprifuoco e dei razionamenti fanno i messaggeri per la Resistenza. Come Riccardo, che in "Io ci sarò" percorre avventurosamente mezza Italia per ritrovare la sua famiglia, perseguitata in quanto ebrea, e si unisce ai partigiani. E come Lapo, che nella storia vera "Il rogo di Stazzema" è uno dei pochi sopravvissuti e può raccontare di come i nazisti hanno braccato sui monti e sterminato centinaia di persone inermi, sfollate nella "zona bianca" vicino a Lucca. Storie di coraggio e di solidarietà umana, perché la libertà va conquistata tutti assieme. Età di lettura: da 9 anni.

Manifestazione culturale
“Meccaniche della Meraviglia”


Tempo di lettura 45 sec

È stata inaugurata la 15esima edizione di “Meccaniche della Meraviglia", manifestazione culturale che rende accessibili al grande pubblico fino a domenica 10 ottobre monumenti ed edifici architettonici del territorio solitamente non accessibili e non conosciuti, attraverso installazioni artistiche site-specific. L’inaugurazione di sabato 11 settembre è stata dedicata al Comune di Brescia, con le installazioni di Giorgio Bertelli a Caionvico, di Silvia Infranco al Museo di Scienze Naturali e di Medhat Shafik al MO.CA. di via Moretto. Domenica 12 invece l'attenzione si è spostata sul lago di Garda con gli allestimenti di Agostino Perrini a Puegnago del Garda, di Angelica Consoli a San Felice del Benaco e di Valdi Spagnulo a Moniga del Garda. La manifestazione vede la contaminazione delle attività produttive dei territori interessati, interagendo con attività legate al Food, alle cantine e alle strade dei vini e sarà completata da un catalogo che raccoglierà tutte le mostre e le vedute delle installazioni site-specific negli spazi coinvolti.​

Per maggiori informazioni

L'ombra delle spie


Gran Bretagna, 2020
Thriller, Drammatico
Durata: 111 minuti


Tempo di lettura 30 sec

L'ombra delle spie, film diretto da Dominic Cooke, racconta la storia vera di Greville Wynne (Benedict Cumberbatch), un uomo d'affari inglese, che durante gli anni della Guerra Fredda divenne una spia, reclutata dall'MI6 - l'intelligence britannica - per ottenere informazioni. A causa del suo lavoro, infatti, Wynne era solito viaggiare nell'Europa orientale, cosa che spinse i servizi segreti a ingaggiarlo come corriere, così da ottenere dalla sua fonte russa, Oleg Penkovsky (Merab Ninidze), le informazioni top-secret sul programma nucleare sovietico e la crisi dei missili cubani. Un reclutamento, quello di Wynne, che lo ha portato a percorrere vie pericolose e a rischiare la sua stessa vita, pur di salvare il mondo da una catastrofe nucleare.

 

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola Boni, Lamberto Correggiari, Elena Gabusi, Domenico Gamarro, Carlo Alberto Giovanardi,
Margherita Saldi, Luca Soressi, Erika Veschini, Marco Vitale, Stefano Zane.

Progetto editoriale a cura di Luca Vitale e Associati
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